17 aprile 2018

cinema – UN POSTO TRANQUILLO


A Quiet Place – Un posto tranquillo
Diretto da John Krasinski, con Emily Blunt e John Krasinski
Genere: drammatico, thriller, horror
Anno: 2018
Durata: 90 minuti
Distribuito da 20th Century Fox Italia

cinema15FBSiamo nel 2020 e la terra è infestata da temibili e feroci creature aliene che, guidate esclusivamente da un sensibilissimo udito, sono in grado di individuare e distruggere tutto ciò che produce anche il minimo suono, esseri umani in primo luogo.

In questa cornice post-apocalittica, ansiogena e claustrofobica, che a tratti evoca le atmosfere solitarie e disperate de “La strada” di Cormac McCarthy, si dipana la tesa trama di “A quiet place”, originale fanta-thriller diretto ed interpretato da John Krasinski. Il mondo ha cambiato radicalmente le proprie regole e la vita dei protagonisti della storia ne è la angosciante testimonianza. L’obiettivo unico che la famiglia Abbot può perseguire è la sopravvivenza, scampare ad una morte atroce rinchiudendosi in un sistema di protezione che ha come prima e ferrea regola il silenzio, a dispetto del titolo ambivalente ed anche ironico a suo modo, un posto tutt’altro che tranquillo. Qualunque rumore può attirare il nemico, come purtroppo la famiglia sa bene per una terribile esperienza diretta; l’assenza di qualunque suono, parola e voce sono la sola possibilità di salvezza.

Ed è così dalla primissima scena che lo spettatore viene coinvolto in un film violentemente silenzioso e “muto”, scandito esclusivamente da fruscii, impercettibili bisbigli, passi attutiti dal contatto di piedi scalzi su tappetti di tessuto o di sabbia per smorzare ogni rumore, ogni segnale sonoro che possa esporre alla morte. Nessuna comunicazione deve passare dalla parola ma dal gesto, per esempio attraverso il linguaggio dei segni dei sordomuti utilizzato dai personaggi. Ogni emozione, indipendentemente dall’intensità con la quale viene percepita, deve restare muta, non può produrre suono, non può e non deve trovare parole. La comunicazione cambia forzatamente codici e lo sguardo, il gesto, il contatto visivo e fisico diventano l’unica modalità attraverso la quale i personaggi possono relazionarsi, in una incessante e snervante attenzione a non farsi individuare dal nemico.

Il film riesce efficacemente a porre, attraverso l’uso della metafora, l’inquietante interrogativo di come possa essere una vita priva di suono, di parola e di qualunque rumore. E di come soprattutto ciò possa essere possibile in una società come quella odierna dove la quantità e la qualità di suoni che, spesso al di là della nostra consapevolezza, popolano ed invadono la nostra quotidianità.

Il silenzio del film assorda rumorosamente i sensi dello spettatore e crea una tensione emotiva piuttosto efficace, costante per tutta la durata della storia. La paura, il dolore, lo sgomento -così come la gioia e la vitalità del pianto di un neonato- devono essere taciute, smorzate e soffocate. Nessuno spazio per la spontaneità, nessuna concessione alle sbadataggini che possono portare a far cadere un oggetto, a sbattere una porta, ad emettere un gemito, un colpo di tosse, un grido, sia esso di piacere, di sorpresa o di puro terrore.

Il plot risulta nel suo insieme ben riuscito e i colpi di scena sono sapientemente dosati così come gli effetti speciali, che ben si accordano con una regia ed una recitazione curate e di ottima qualità.

Si tenga conto che i dialoghi e le battute nel film sono veramente pochissimi ed i due protagonisti principali, Emily Blunt e John Krasinki, coppia sullo schermo così come nella vita, si muovono in modo convincente e nervoso in una danza silenziosa. Altrettanto si può dire degli altri due attori del film, i giovanissimi Millicent Simmons e Cade Woodward, che interpretano egregiamente i due figli.

Interessante come il tema della protezione di sé e della propria famiglia siano centrali in tutta la narrazione, e come l’amore e la cura delle persone amate siano il contraltare delle innumerevoli e intense sfumature della paura che permeano il film.

I personaggi si muovono a passi felpati, accorti e precisi in un campo di terrore e amore, alla costante ricerca di nuove strategie per sopravvivere, proteggersi ed amarsi.

Come è possibile sentire l’altro nell’impossibilità di dare voce alla parola? Come manifestare l’intensità e la naturalezza delle nostre emozioni se dobbiamo renderle mute? Come dire ai nostri figli, ai nostri genitori, ai nostri partner, ai nostri fratelli che li amiamo, che stiamo soffrendo, che siamo felici, che siamo arrabbiati o spaventati se non possiamo farlo attraverso un suono? Come mettere al mondo una nuova vita se il suo vagito vitale si scontra con le regole del nostro mondo?

Il film ci chiama a riflettere su quanto inutile, dannoso e molesto frastuono sovrasti le nostre vite, a discapito di un silenzio fecondo e accorto che ci riporti ad un contatto più intimo con noi stessi e con ciò che realmente ci sta a cuore.

Nella visione apocalittica e orrorifica del film è evidente la sollecitazione a scegliere di eliminare alcuni superflui rumori, senza i quali magari le nostre vite potrebbero arricchirsi di consapevolezza e di intimità più profonde.

Cari spettatori, se per esempio cominciassimo tutti a spegnere il cellulare quando siamo al cinema e ci vedessimo il nostro film in silenzio?

È solo un’idea, ma chissà che non ci porti alla “salvezza”.

Fabrizio Delle Grotti

Questa rubrica è a cura dei Cinefili del Venerdì
rubriche@arcipelagomilano.org

 



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