27 marzo 2018
MILANO EUROPEA E LE SUE GIUSTE AMBIZIONI
La 'missione 19' nel Documento di Programmazione
27 marzo 2018
La 'missione 19' nel Documento di Programmazione
Il Documento Unico di Programmazione (DUP) 2018-2020 del Comune di Milano individua nella sua missione 19 l’obiettivo di promuovere Milano come città internazionale. Il programma e le sue finalità sono ambiziosi e necessari, perché anche per Milano il contesto internazionale è decisivo, non solo per design e moda. In una nota a margine come questa va notato che, pur a valle del successo di Expo, alla fin fine l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) è atterrata a Amsterdam, per scoprire che le infrastrutture necessarie vi sono ancora incomplete. Nei giochi intergovernativi le mosse non sempre sono trasparenti e corrette, e forse v’è anche modo di far valere le proprie ragioni.
Milano in quanto città, più che come amministrazione, ha tuttavia la più ampia responsabilità di discutere e comprendere il contesto europeo in cui ci muoviamo in quanto italiani e non solo milanesi. Nelle recenti elezioni abbiamo fatto il verso a Brexit, certo senza volerlo, altrettanto certamente senza saperlo. Anche da noi il leader europeista ha pensato che sostenere l’UE significa criticarla (non senza motivi, ma sono di per sé evidenti), a loro volta gli elettori hanno premiato partiti antieuropeisti, anche se per risolvere i nostri problemi il 38% di loro dichiara moltissima/molta fiducia nell’UE, ma solo metà (19%) la dichiara invece per lo stato italiano. Il paradosso è che è così in tutti gli schieramenti, e anzi di più nel M5s (28 contro 12%) e Lega (22 contro 7%) [la Repubblica, 12/03/2018, p. 5]. Come in Brexit, perciò, se il voto è cosa seria, la responsabilità sostanziale è di elettori arrabbiati, confusi e manipolati, e nondimeno dichiaratasi per loro volontà contro l’UE.
Va da sé, contro questa UE socialmente insensibile, ma lo stesso vale per gli altri elettori europei occidentali, attenti però a non bruciarsi i vascelli alle spalle, come invece sembriamo aver fatto noi con gli inglesi, che diversamente da noi possono contare su un’industria finanziaria che a noi manca, anche se a Milano ha sede Borsa Italiana, dal 2007 socio minoritario del London Stock Exchange Group. La finanza è infatti un percorso strategico anche per noi cittadini comuni in una UE che, scrive l’economista francese Pierre-Cyrille Hautcœur, deve ora prepararsi a un’unione politica vera, pur se minimale, in ragione del fatto che le sue cinque maggiori banche rappresentano (senza contare le filiali) il 45% del bilancio totale del settore, contro il 30% del 2008. Nella prossima crisi finanziaria globale – incerta nel ‘quando’, ma non nel ‘se’, perdurando il nuovo tornante lassista USA – nessuno stato avrà risorse sufficienti a salvarle, lo potrà solo l’UE politica, sia pure nel formato minimale intergovernativo dei paesi dell’area Euro che ne rispettino i patti fondanti, escludendo perciò qualsiasi presa in carico del debito del Sud da parte del Nord [Le Monde Éco&Entreprise, 17/03/2018, p. 7].
Il gioco non si annuncia pesante, lo è già, come mostrano, insieme a questa ipotesi, il caso EMA e il virtuale blocco dei confini al Brennero e a Ventimiglia. A ognuno il suo lavoro, tocca ai milanesi europei – per vocazione, cultura, convenienza – maturare e far maturare per tempo una riflessione adeguata su un’Unione Europea della quale noi italiani siamo, per ora, parte significativa. I lussi della Brexit non sono per noi, ma possiamo risparmiarci le sofferenze della Grecia, soprattutto a chi già più soffre. È una solidarietà dovuta, sul piano un po’ gretto, ma ben concreto, della qualità della vita, e soprattutto in termini di intelligenza umana e politica, perché ci sono volute due guerre mondiali per spingerci a costruire faticosamente un’unione tuttora socialmente inadempiente, eppure più avanti del resto del mondo, e molto, nella pacifica convivenza civile.
È molto probabile che ancora una volta un passo avanti importante sia reso possibile e necessario da una condivisa, disastrosa sofferenza. Non lo è quella delle migrazioni dal Medio Oriente e dalla Africa in guerra, di cui al momento siamo solo spettatori. Lo sarà invece la prossima crisi finanziaria globale, comunque preferibile a un’altra guerra. Sarà allora importante non trovarci fuori dall’Europa.
Giuseppe Gario