22 maggio 2018

MILANO 2030

Quello che si è sentito alla Triennale


Sabato 19 maggio si è svolto alla Triennale di via Alemagna il primo di tre incontri per presentare il PGT prossimo venturo.

07cafiero19FBIl suggestivo titolo, Milano 2030, riecheggia film o serie di fantascienza della nostra infanzia (da Spazio 1999 a 2001 Odissea nello spazio), ma stringi stringi si tratta di promesse urbanistiche con (pochi) effetti speciali.

Facciamo subito una doverosa premessa. Quella che segue è una breve cronaca della mattinata, in cui sintetizzerò i contenuti dell’intervento dell’Assessore all’Urbanistica Maran con qualche cenno agli altri interventi più significativi, aggiungendo dove necessario un piccolo commento. Si tratta comunque di una prima impressione a caldo. Rimandiamo una analisi puntuale a quando avremo letto i documenti che il Comune pubblicherà.

È già difficile andare oltre, cercando di approfondire i temi, perché le tre ore di interventi, iniziati dall’Assessore Maran e conclusi con una chiosa indolore del Sindaco Sala, sono state null’altro che una piacevole ricognizione nel mondo dei desiderata e delle buone intenzioni. Ottime idee, tutte condivisibili, alcune intuizioni sicuramente interessanti. Insomma un bel passo avanti rispetto al DUP. Si è detto cosa ci sarà nel nuovo PGT, ma ancora una volta mi è sembrato che mancasse un disegno forte, una prefigurazione di cosa si vuole che Milano diventi o sia nel 2030.

E in più ci sono sempre le solite elusioni. Ma ne parliamo più avanti.

Andiamo con ordine.

Maran ci racconta che a Milano da qui al 2030 ci sarà un rilevante incremento di due fasce della popolazione, quella dei grandi anziani e quella dei giovani. Quindi serviranno case e servizi per loro.

C’è quindi la volontà di governare la crescita senza lasciare indietro nessuno. Sia le persone, sia i quartieri. E deve essere una crescita sostenibile. Sfido chiunque a dissentire.

Il nuovo PGT avrà un apparato normativo più snello del precedente, di circa due terzi. Va detto che parlare di “nuovo” PGT appare improprio perché per come è concepito, il PGT non ha una scadenza e quindi è sempre rinnovabile. Solo il Documento di Piano ha un limite temporale di 5 anni.

Le novità del PGT possono essere comunque sintetizzate in 5 punti.

Punto numero uno: una città connessa, metropolitana e globale. Citando Piero Bassetti che paradossalmente ma giustamente afferma che il vero PGT di Milano lo hanno fatto le Ferrovie dello Stato, creando l’infrastruttura dell’alta velocità, Maran ci mostra una mappa del nord Italia con le connessioni su ferro e gli aeroporti. Scende poi di scala per porre l’attenzione sui nodi di interscambio gomma/ferro costituiti dai capolinea delle metropolitane, oggetto di una norma interessante del PGT che verrà. In quelle aree non ci sarà un indice massimo, ma si potranno liberamente costruire funzioni terziarie o di servizio non solo per chi transita, ma soprattutto per chi vive in quei luoghi. Successivamente Cino Zucchi cercherà di illustrare le potenzialità di queste categorie di luoghi, anche con esempi già realizzati all’estero.

Una città di opportunità, attrattiva e inclusiva” è il titolo del secondo punto. Che riguarda alcune aree di trasformazione, come quella della “Goccia” in Bovisa o della Piazza d’Armi a Baggio. Aree su cui si potrà edificare, ma solo con l’indice base della città (0,35 mq/mq) e solo con funzioni compatibili con la vocazione di quell’area. Vedremo come verrà implementata la norma, ma così com’è non mi sembra molto “attrattiva”. Più interessante è il ragionamento che ha portato alla eliminazione degli oneri per il cambio d’uso tra quelle che vengono definite le “attività economiche”. In pratica si inseriscono il produttivo, il terziario, il ricettivo, l’artigianale, etc. in un’unica macro categoria, che non necessita di cambio d’uso.

Infine vi sarà una riduzione del pagamento delle dotazioni per chi in edilizia libera costruisce residenza per l’affitto.

Mi sia concessa una piccola parentesi. Ogni periodo storico ha i suoi slogan, le sue etichette. E se ciò è vero in generale, lo è ancor più nel campo dell’architettura e dell’urbanistica. In principio la parola d’ordine era partecipazione. Se non partecipavi eri un bieco reazionario. Poi quando tutti si son messi a partecipare, ci si è dovuti inventare un altro leitmotiv, quello della sostenibilità o del green (guai a non ficcare nel testo qualche anglicismo, non sarebbe cool!). Purtroppo (o per fortuna) è arrivato un tale a dirci di piantarla con tutta questa verdolatria e allora ci siamo buttati a peso morto sulla resilienza. E quindi sappiate che le città oggi devono essere resilienti.

Torniamo ai cinque punti. Il terzo è intitolato: una città green, vivibile e resiliente. Oops…

Passiamo al quarto: una città, 88 quartieri da chiamare per nome. Ovvero la definizione dell’identità cittadina attraverso il mantenimento delle identità di quartiere. Immagino che questo si riverberi nel Piano dei Servizi.

Ultimo punto: una città che si rigenera. Ovvero il tema delle periferie, ma raccontato in maniera diversa. Il meccanismo è quello delle premialità (edificatorie) in aree periferiche con l’obbiettivo dichiarato di rigenerarle in termini di qualità della vita con le giuste dotazioni di servizi. E ci saranno grandi “bastonate” per chi possiede edifici abbandonati e non li riqualifica. Prevedo ricorsi in massa.

Ci sarebbero da raccontare anche gli altri interventi, ma penso che ci ritorneremo sopra nei prossimi numeri. Per ora ci fermiamo qui.

Cosa mi è piaciuto?

In generale un certo pragmatismo, molto milanese, nel dire che questo non sarà il migliore dei PGT possibili, ma che è comunque un avanzamento importante rispetto a quello vigente. Ho apprezzato che ci si aspetti di affinarlo attraverso le osservazioni della cosiddetta società civile. Perché –Maran dixit- lo strumento è così complesso da contenere lo “scibile umano” e quindi ci sta che non si possa tener conto di tutto e che si possa anche sbagliare. E ho visto con grande interesse l’idea di superare il concetto di indici edificatori, soprattutto nelle zone che maggiormente necessitano di massicce dosi di rigenerazione urbana (altro termine di cui tutti ormai abusiamo). Torna di moda anche la “densificazione”.

Cosa non mi ha convinto?

Torniamo alle elusioni di cui accennavo all’inizio.

La prima cosa che balza agli occhi è che tutta questa teoria (intesa in senso letterario) di punti, temi, idee, alla fine non riesca a delineare una visione complessiva e sintetica della città che si vuole. Mi spiego. Se la vision della Milano futura è quella espressa in tre punti da Maran all’inizio del suo intervento, mi sa che stiamo volando piuttosto basso, sfiorando radenti il mare delle ovvietà. O forse sono io che non ho sufficiente capacità di comprensione.

Andiamo oltre.

Il termine Città Metropolitana è stato citato più volte, a parole e nelle slide. Ma si è preferito accostarlo unicamente al tema della mobilità, dei trasporti e delle connessioni. Poco o nulla a proposito del tema vero. Cosa è la città metropolitana, come la si gestisce. Si è citato Bassetti, ma si è (volutamente?) dimenticata la sua critica nei confronti della Legge Delrio e della Città Metropolitana in essa contenuta. Ricordo che Bassetti parla addirittura di scala meta-regionale.

Ancora una volta manca totalmente una critica allo strumento. Possibile che da parte del Sindaco e dell’Assessore non venga mai messo in discussione lo strumento PGT, così come è concepito dalla legge 12/2005? Anche solo politicamente sarebbe logico aspettarsi, da parte del centro sinistra, una critica ragionata nei confronti di uno strumento figlio delle teorie urbanistiche della parte avversa.

Io rimango perplesso. E se devo dirla tutta mi auguro che nel 2030 il PGT non esista più.

Pietro Cafiero

07cafiero19-02



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