10 aprile 2018

DUP: SCUSATE, ABBIAMO SOLO FATTO IL COMPITINO

Parturient montes, nascetur ridiculus mus


Come avete già letto nel numero precedente di Arcipelago, il Comune di Milano ha approvato il DUP 2018-2020. Documento Unico di Programmazione. Un nome che riecheggia i piani quinquennali di sovietica memoria. 311 pagine in totale. 30 di queste (da pag. 166 a pag. 196) sono dedicate ai temi del territorio e dell’edilizia abitativa, mentre altre 12 parlano di sviluppo sostenibile e di ambiente. Si è già spiegato su queste pagine che una legge del 2000 prevede che gli enti locali predispongano questo documento anche ai fini dell’approvazione del Bilancio. Quindi si tratta di un documento obbligatorio. Ne consegue (a voler applicare la logica del buon senso, che è spesso assai distante dai meccanismi a cui si confanno politica e amministrazione della cosa pubblica) che se io non trovo nel DUP un certo tema, vuol dire che il tema in questione è solo aria fritta. Chiacchere (senza distintivo, cit.). Slogan elettoralistico.

cafiero14FBVediamo quindi cosa c’è e cosa manca in questo splendido esercizio di burocratica letteratura. Ovviamente il focus è sull’urbanistica e sulla gestione del territorio, dato che in altri articoli della settimana scorsa e di questa si analizza il DUP rispetto a temi differenti. Intanto va detto che il documento è diviso in due parti. Una strategica e una operativa. Prima stabiliamo “cosa” fare e poi anche “come” lo mettiamo in opera.

La parte strategica è in buona sostanza un elenco di desiderata che ricalca un qualsiasi programma elettorale degli ultimi 10/20 anni. Potete leggervi frasi come queste: “Promuovere l’innovazione per creare lavoro. Case popolari. Obiettivo zero case vuote nel giro dei primi due anni. Più uomini, più tecnologia e periferie al centro del nostro investimento in sicurezza.” Non ho trovato “chiù pilu pi tutti”, ma forse non ho fatto una ricerca accurata. Ed è rassicurante sapere che “il Comune opererà per liberare ogni energia, interesse di tutta la comunità, definendo obiettivi strategici condivisi per una stagione di rigenerazione urbana diffusa che faccia scuola in Europa”. Giuro, da quando l’ho letto, dormo molto più sereno.

C’è poi la parte operativa. Ovvero il “come”, almeno in teoria.

Verrà messa in atto una revisione del PGT. Sappiate che non è una grande notizia. Perché per legge (quella regionale del 2005) il PGT va puntualmente “revisionato”. Il Documento di Piano ha una scadenza naturale di 5 anni e quindi va comunque rifatto. Gli altri due strumenti che compongono il PGT, ovvero il Piano delle Regole e il Piano dei Servizi, non hanno una data di scadenza, ma possono essere modificati sempre e comunque. Niente di nuovo sotto il sole, quindi. Segue poi l’elenco delle trasformazioni che si metteranno in programma, la cosiddetta “Pianificazione degli interventi di trasformazione urbana”.

Ma quando si arriva al “come”? Vabbè, dai, cerchiamo di non essere troppo pignoli. Da notare che ad una superficiale analisi sintattica, emerge la prevalenza dell’indicativo futuro come modo verbale più utilizzato. Siamo ancora nel campo delle promesse, detto in altri termini. Al primo punto spicca l’Accordo di Programma per gli Scali Ferroviari. Siamo nella sezione operativa quindi immagino che troveremo tutti i dati relativi alle trasformazioni, gli schemi di masterplan, i quadri economici… Ehm, no. Nulla di tutto ciò. Siccome l’accordo è già stato sottoscritto ci si limita a dire che è stato avviato l’iter per la sua ratifica.

Seguono una serie di aree su cui si dice che verrà attuato il relativo strumento urbanistico. Quartiere Adriano, Gallaratese, Cascina Gobba, Bovisa, Porto di Mare, Santa Giulia, le Caserme. E così via. La stessa impostazione vale per la gestione del territorio dal punto di vista ambientale, per il patrimonio immobiliare abitativo, per il verde. Tante belle cose, sulla carta. Ma senza una gerarchia, un ordine, un disegno. E soprattutto non si dice come queste cose verranno fatte, in che ordine, per ottenere cosa e nemmeno con quali soldi.

Giusto per togliermi uno sfizio sono andato a verificare quanto spazio fosse riservato al tema della Città Metropolitana, a quello dei Municipi e ad un’altra questione che va molto di moda in questo periodo, il tema della riapertura dei Navigli.

Se stiamo al DUP il Comune di Milano vuole “fare della Città Metropolitana un luogo di elaborazione strategica delle funzioni fondamentali: mobilità, sviluppo economico, ambiente, pianificazione territoriale, investimenti in infrastrutture.” Viene garantito l’impegno “per il rafforzamento della Città Metropolitana, dialogando con Governo e Regione per definire uno status speciale per la Grande Milano”. Nulla da eccepire, ma nemmeno sul fatto che l’acqua bagni e disseti mi pare che si possa avere qualcosa in contrario.

Sappiamo anche che il Comune vuole “dare piena attuazione alla riforma dei Municipi, rafforzando il loro ruolo con deleghe, maggiore autonomia finanziaria, ed un forte ruolo di indirizzo e controllo”. Tutto questo perché “i Municipi sono il luogo nuovo di decisione e partecipazione della città. Decidere, nei Municipi, sulle opere e sugli interventi locali, vuol dire misurare le possibili scelte con più attenzione ai quartieri, alle richieste dei cittadini, degli operatori, dei comitati, delle associazioni, del volontariato”. Concetti condivisibili. Ma solo concetti. Niente di più, niente di meno.

Dulcis in fundo i Navigli! Da pagina 45 a pagina 67 c’è una tabella che elenca in modo puntuale tutte le trasformazioni in atto, in qualche caso i fondi per realizzarle e gli attori, oltre allo strumento urbanistico utilizzato. Forse mi è sfuggito, ma io non ho trovato neanche un cenno alla riapertura dei Navigli. Allora mi sono messo a cercare all’interno del DUP qualsiasi riferimento a questa mirabile trasformazione urbana. Ecco cosa ho trovato:

Il Documento di Piano dovrà affrontare il tema strategico quale la riapertura e la valorizzazione del Sistema dei Navigli. (pag. 167). Il progetto verrà affiancato ad interventi di riqualificazione di alcuni ambiti significativi che potranno contemplare anche la riapertura di alcuni tratti della cerchia interno dei navigli, previa condivisione della validità del progetto da parte della cittadinanza (pag. 204). Se ne deduce che forse dei Navigli ne riparliamo dopo il 2020. Anzi no. Ne parleremo da oggi fino al 2020, ma saranno, appunto, solo chiacchere perché nel DUP ci sono solo quelle. Non un numero, una data, una quantità.

Immagino che ne abbiate abbastanza. Inutile continuare a girarci intorno. Vi dico quale è il mio sospetto. Dal momento che non posso credere che un’Amministrazione di alto profilo come quella milanese, guidata da un Sindaco che ha un trascorso di manager di respiro internazionale possa partorire un documento così povero in termini di contenuti, ma soprattutto di così piccolo cabotaggio; la conclusione che rimane è solo una.

Come lo studente svogliato che deve per forza consegnare il compitino, ma preferirebbe passare la giornata all’aria aperta a tirare quattro calci ad un pallone, il Comune di Milano ha fatto il minimo indispensabile per ottemperare agli obblighi di legge, ma nulla più.

È l’unico modo per spiegare un documento così privo di un disegno strategico (in realtà non ci sono né disegni, né schemi, né immagini), così privo di progettualità e di vision. Non vale neppure la pena di chiedersi se l’idea di Milano che emerge da questo svogliato documento sia di destra o di sinistra. Perché non vi è traccia di idee. È un mero elenco di cose da fare, slogan e ovvietà, senza una gerarchia, un ordine. Un senso.

L’apparato analitico presente nelle prime pagine del DUP è poco più di un copia/incolla dei dati dell’ultimo censimento o di ciò che si può trovare su Wikipedia. Io voglio pensare che le cose serie che questa amministrazione ha in serbo per Milano siano rimaste nei cassetti degli uffici comunali, nelle menti illuminate dei tecnici e dei politici. Pronte ad essere estratte dal cilindro al momento giusto. Anche perché se il futuro di Milano fosse veramente in quelle 300 paginette, beh forse converrebbe sperare che un refolo di vento primaverile se le portasse via.

Pietro Cafiero

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