6 febbraio 2018

cinema – SUBURBICON


SUBURBICON
2017 regia George Clooney,
protagonisti Matt Damon, Julianne Moore e Oscar Isaac.

cinema05FB1957, sessanta anni fa, in California, nasce Suburbicon, un quartiere che incarna sogni e aspettative della lower middle class bianca. Come dice la pubblicità: le case sono confortevoli, dotate di giardino e ampi box, ci sono diverse chiese, le scuole e le cliniche sono di prim’ordine. Tutto scorre finché, accidenti, arriva una coppia nera, i Meyers, con ragazzino, che si insedia in una casetta come se tutto fosse normale. La loro abitazione è proprio accanto a quella dei Lodge, una famiglia di discendenza irlandese pura. I cittadini reagiscono, non per razzismo, figuriamoci. Si assembrano davanti alla casa dei nuovi venuti, fanno alzare palizzate per isolarli e non vederli e, intanto, nella casa accanto dei bianchissimi Lodge (padre manager, madre su una sedia a rotelle dopo un incidente stradale, figlioletto preadolescente e la gemella della mamma) succede qualcosa. Una sera tardi due balordi entrano in casa e sedano i componenti della famiglia; purtroppo eccedono con il cloroformio con l’inferma signora Lodge, che abbandona così la sua vita terrena. Il suo posto in famiglia verrà preso dalla sorella.

C’è, però, qualcosa che non torna, almeno così pensa l’assicuratore che deve liquidare la polizza vita della povera signora Lodge. Per questo indaga, interroga, osserva titubanze, raccoglie indizi e si persuade che i rapinatori non fossero andati a rapinare… Certo l’uomo fa troppe domande e fa capire che la versione ufficiale non lo convince, così gli succede qualcosa di poco carino, ma la cittadina non se ne accorge, rivolge la sua attenzione ai Meier e pensa a come farli sloggiare da un luogo che, in fondo, non è stato pensato per loro. C’è chiasso vicino a casa Lodge: il vociare di chi protesta, il rumore dei sassi che sfondano i vetri delle finestre, un chiasso funzionale a distrarre l’attenzione e a non vedere un uomo che rientra nella casa accanto con la camicia macchiata di sangue.

Le due vicende parallele, una delle quali fa da schermo all’altra, sono nate dall’unione di due sceneggiature: una dei fratelli Coen che avevano immaginato una vicenda comico-noir in una famiglia negli anni ’80, e una pensata da Clooney, che intendeva riproporre una vicenda vera, accaduta negli anni ’50 in Pennsylvania, quando una cittadina intera (Levittown) si ribellò al trasferimento sul suo territorio di una famiglia afroamericana.

Clooney, come per altri aspetti ha fatto Khatryn Bigelow in Detroit, affronta nuovamente la questione razziale (o meglio il razzismo) che periodicamente si ripropone negli Usa e che, con l’elezione di Trump e la sua campagna America First, ha ritrovato vigore e coinvolge, oltre agli afroamericani, anche latinos e persone originarie dei paesi a maggioranza musulmana. Clooney è abile nel gestire questa dark commedy venata da intenti sociali ed etici e, grazie allo humor, tiene a bada la retorica dei buoni sentimenti. Certo ai bambini Lodge e Meyer, che come bambini giocano a baseball, fregandosene delle diversità, affida il futuro. Le piccole smagliature della sceneggiatura sono compensate dalla recitazione di due mostri sacri come Matt Dammon e Julian Moore, che si esibisce nella duplice parte delle sorelle gemelle.

Dorothy Parker

Questa rubrica è a cura degli Anonimi Milanesi
rubriche@arcipelagomilano.org



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