28 novembre 2017

cinema – GLI SDRAIATI


GLI SDRAIATI

Regia di Francesca Archibugi – Con: Claudio Bisio, Gaddo Bacchini, Cochi Ponzoni, Antonia Truppo, Gigio Alberti; Fotografia: Kika Ungaro; montaggio Esmeralda Calabria; Suono: Roberto Mozzarelli; scenografia Sandro Vannucci – Italia, 2017, 103 minuti.

cinema39FBLiberamente tratto dall’omonimo libro di Michele Serra edito da Feltrinelli, il film Gli sdraiati, esce nelle sale in questi giorni, molto atteso, sembra, da genitori e figli adolescenti.

Francesca Archibugi, che firma anche la sceneggiatura con Francesco Piccolo, ci racconta la storia di Giorgio Selva interpretato da Claudio Bisio, un uomo realizzato che conduce una popolare trasmissione televisiva, abita in una casa da dieci milioni al metro quadro e avrebbe una vita appagante, ma vive una guerra quotidiana con il figlio Tito, di cui ha ottenuto l’affido condiviso.

Tito ha una banda di amici, tutti maschi, troppo lunghi, troppo grassi, troppo magri, spaccano

rovesciano inzaccherano mentono fuggono puzzano. Stanno sempre appiccicati, da scuola al

divano, dal divano a scuola: sono francamente irritanti, non parlano con gli adulti se non a monosillabi e a frasi fatte, lo sforzo di Giorgio di coinvolgere Tito, è praticamente inutile. Anche perché, contravvenendo alle regole del branco, Tito si innamora di Alice, la figlia di Rosalba, una donna che era stata a casa loro diciassette anni prima. Era un po’ domestica, assistente, factotum

e, scopriamo, amante di Giorgio, il quale sospetta che Alice sia anch’essa figlia sua. Presupponendo l’incesto tra fratelli, non si dà pace. Giorgio, alterna comportamenti da padre adulto ad atteggiamenti da adolescente immaturo, compiendo un unico atto consapevole quando decide di non firmare la petizione di quei genitori che vorrebbero rimuovere dall’incarico il professore esigente: troppo poco per garantire la sua autorevolezza e il suo ruolo di padre.

“Perché un uomo realizzato, rispettato, non riesce ad ottenere rispetto dal figlio, accettazione di

regole minime, di comprensione dei propri punti di vista? E soprattutto, perché se ne dà la colpa? Perché reagisce in modo scomposto, inseguendolo, sbottando, perdonando, non sapendo sostanzialmente che fare? Perché subisce troppo, subisce sempre? Dello strapotere dei bambini, e poi degli adolescenti, si dice scherzando (ma nemmeno tanto) che ha portato a cose mai viste nella storia dell’umanità”.

Gli sceneggiatori questo si chiedono, ma nel film tutto si ferma in superficie, e non rimane nulla, nemmeno il tentativo di approfondire il rapporto archetipo della paternità. Nel nostro immaginario epico, è Enea che si carica il vecchio Anchise sulle spalle mentre brucia Troia. “Ecco – dice Francesca Archibugi – a Milano, dentro i bastioni, come in ogni quartiere centrale e borghese delle nostre città, si rovescia l’immagine classica che ci si è fissata in testa dai libri di scuola. Nella nostra Odissea contemporanea, Anchise fino a che non muore si carica sul groppone figli più grossi di lui, li consola, li giustifica, li subisce, li mantiene”.

Queste le intenzioni degli autori, ma la patina che riveste tutto il contesto rende impermeabili a qualsiasi emozione, che invece nel libro trovavano spazio tra le parole: Milano è filmata nelle sue nuove e perfette architetture, molto stereotipata, piena di cliché, a volte ridicola (come nella scena in cui il nonno materno di Tito, che fa il taxista, un ottimo Cochi Ponzoni, torna nella sua casetta di periferia, contornata da palazzoni, con macchina bruciata fuori dal cancello, ci mancava solo il cassonetto rovesciato, forse perché non siamo a Roma). Gli attori giovani sono una banda simpatica a cui però la presa diretta non giova (solito difetto di molti i film italiani!), gli adulti maschi gigioneggiano, mentre i ruoli femminili sono appena accennati, se non nell’improbabile Rosalba, interpretata da Antonia Truppo, che ha dato il meglio di sé in altre occasioni. Dispiace che la Archibugi non abbia trovato, lei così sensibile, una chiave per non lasciarci smarriti davanti a questo affresco sbiadito di vita famigliare, una fotografia a luce diffusa dove i ragazzi sono persi e gli adulti ancora di più.

Thelma Dickinson

questa rubrica è a cura degli Anonimi Milanesi
rubriche@arcipelagomilano.org



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