23 maggio 2017

PROGETTARE GLI SPAZI PUBBLICI

A proposito delle “visioni” sugli scali ferroviari


Le “Visioni” erano un occasione per avere anticipazioni sulla qualità derivante da contesti esistenti, vincoli, norme. Né FS Sistemi Urbani né il Comune hanno adeguatamente istruito la progettazione, non l’hanno commentata criticamente dopo averla ottenuta. Sarebbero possibili miglioramenti se si leggessero gli errori, ma se non si vuol leggere, probabilmente si vuol solo chiudere un affare, e nel modo più semplice.

10bacigalupo19FBOttenere Progetti in libertà – Le “Visioni” esposte a Porta Genova dai 5 studi, da Comune e FS Sistemi Urbani e commentate in atmosfera ecumenica, sono nate impoverite dalla mancanza di indicazioni comunali su contenuti funzionali e confrontabilità dei progetti.

Le FS hanno eluso informazioni economiche indispensabili alla soluzione del problema ambientale dei binari in esercizio collocati in aree da urbanizzare, relativo a: Copertura verde delle rotaie, Interramento a cielo libero, Schermatura con riporto in terra contro muro alla quota attuale, Barriere verdi-acustiche a quota attuale.

Inoltre, dato il materiale rotabile le stazioni della Circle Line devono avere una distanza ottimale e comunque minima, e devono collaborare senza duplicare le funzioni sia delle filovie circolari esistenti potenziate, sia della M4 a sud e del passante a nord, già connesse con tutte le MM. Avremmo avuto “Visioni” più sobrie, utili, comparabili, e proposte di mobilità meglio inserite nei programmi esistenti.

In merito al tema cruciale del verde pubblico, la delibera di indirizzo sugli scali (20 ottobre 2016) votata dal Consiglio Comunale, sollecitava ad “aumentarne la dotazione complessiva e mettere a sistema le nuove aree a verde negli scali con il sistema delle aree verdi cittadine, per realizzare sulla cintura ferroviaria un sistema continuo” per farne “l’ossatura portante della urbanistica locale”.

Il documento programmatico anticipa e conferma così l’idea dell’architetto Stefano Boeri, che da tempo propone un parco lineare negli scali e lungo la ferrovia, mettendo gli altri progettisti in una posizione di sudditanza imbarazzante.

Quindi sempre lo stesso risultato: il “cestino edilizio” col parco dentro. Nella maggioranza dei progetti, infatti, il verde unitario si ripete centrale sulla ferrovia interrata il più possibile, le costruzioni sono perimetrali con numerosi grattacieli, tanto più alti quanto più è “aumentata la dotazione” di parco al centro, con rapporti volumetrici spesso disarmonici col contesto esistente, e la “privatizzazione” almeno percettiva del verde intercluso.

Soluzioni ripetitive, prive di identità specifica e di nuovi spazi pubblici, il contrario della città degli spazi “umani, belli, godibili, variati, identitari” indicati dai cittadini nella “Tre Giorni” di dicembre (vedi l’articolo di Giuseppe Bonomi su ArcipelagoMilano del 20 dicembre 2016).

Le “Visioni” hanno così alimentato in rete polemiche che contestano le vecchie densità, che insieme ad uno standard verde irrinunciabile portano obbligatoriamente a edifici elevati e barriere estese.

Molti estremismi scalpitano quindi per la diminuzione della densità, disposti a dimenticare ferrovia, mobilità e Città Metropolitana, pretendendo l’esproprio generalizzato per fare il massimo di verde per i soli milanesi, sostenuto dal minimo edificato indispensabile alla sua fattibilità economica.

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Anche C.z.a Cino Zucchi allo Scalo Romana non si sottrae al verde compatto e alle costruzioni perimetrali obbligate, pur gestite qui con attenzione ed identità specifica.

Non solo verde! Il problema è progettare spazi pubblici – Prima di vedere i progetti, sul numero 16 di ArcipelagoMilano del 21 febbraio 2017 sostenevo che una progettazione qualitativa è possibile senza ridurre le volumetrie. Se si impongono edifici senza recinzioni e individuazioni fondiarie, collocati nella continuità dello spazio esterno pubblico ciclopedonale, il sistema edilizio perde immediatamente ripetitività e anonimato. Nella città storica europea che visitiamo sempre ammirati, gli edifici si affacciano direttamente sulla strada.

Parcheggi e accessi funzionali verranno collocati solo agli interrati, mentre solo gli accessi di emergenza rimangono nella pedonalità, attrezzata a spazi standard compatibili col tessuto edilizio circostante, arricchito e connotato localmente. I piani terreni porticati risultano misti di accessi funzionali a residenza e uffici (portinerie, custodi), mentre servizi e commercio possono essere sviluppati anche all’interrato o ai piani superiori.

Fondando la progettazione sul disegno dello spazio pubblico inclusivo di verde e servizi sono possibili nuove e straordinarie qualità estetiche e di vivibilità dell’ambiente, e gli scali di Milano diventano un esempio innovativo, con maggiori possibilità di successo commerciale ed economico.

Cambiare rotta subito – Il Comune dovrebbe riconoscere le conseguenze di indici e standard, ben esemplificati nelle “Visioni”, e cambiare rotta con una nuova normativa urbanistica che indica la significativa quantità e natura del verde e dei servizi accettabili anche collocati nello spazio pubblico pedonale, incrementando il valore del verde totale, ma riducendo però lo standard verde richiesto compatto a parco, dato che i reciproci e vantaggiosi rapporti tra pedonalità e parco saranno continui.

A livello edilizio coperture e facciate verdi obbligatorie in relazione all’orientamento modificherebbero significativamente l’immagine edilizia, mentre eliminando le norme igienico edilizie arretrate, si otterrebbe un valido incremento della economicità e funzionalità del costruito. Era meglio arrivarci prima delle “Visioni”, ma basta che ci si arrivi.

Presto & Male SnC. No, è tutto giusto! – Molti indizi anticipano invece il peggio: la pendenza ricattatoria dei danni chiesti per la mancata approvazione del precedente Accordo di Programma, voler chiudere il nuovo entro luglio, il lunghissimo silenzio sui contenuti funzionali, la ricerca del consenso superficiale mostrata prima nella “Tre Giorni”, e poi a Porta Genova, le cortesie e l’autocompiacimento esibiti durante le discussioni tra le parti in causa e i progettisti; nessun cenno di autocritica, critica o ipotesi di miglioramento dei progetti. Ovvia la tentazione di concludere semplificando: grandi lotti, progettazioni omogenee, grandi studi.

Claudio Bacigalupo

Architetto

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