16 maggio 2017

L’URBANISTICA TRA CACIO E RICOTTA

I misteri degli Scali nella staffetta tra assessori


L’Urbanistica in Italia è come il latte, lo si fa cagliare e se ne cava cacio, la parte pregiata, destinata ad alcuni e ricotta, che non è nemmeno un formaggio ma solo un latticino, per altri: il cacio ai privati la ricotta ai beni comuni. Vecchia storia da sempre, ancora prima dell’Unità d’Italia, quando forse l’Urbanistica come disciplina non esisteva ancora.

01editoriale18FBL’altra questione riguarda le trasformazioni di aziende pubbliche in aziende private, lo smantellamento delle allora Imprese Statali, sotto la spinta dell’efficienza e della separazione tra politica e affari: i risultati di questa separazione non sono brillanti perché affari e politica vanno ancora a braccetto, sempre, quotidianamente, per altre vie. Comunque, aziende di servizio pubblico come le Ferrovie dello Stato sono ormai entità di difficile collocazione che assomigliano all’Eni di Enrico Mattei: loro fanno la politica economica e non il Governo, con buona pace dei Governi di destra, di sinistra (se mai ve ne sono stati o ve ne sono) e di centrosinistra.

La terza questione che intreccia le prime due riguarda tutti i beni riconducibili ai demani pubblici e la loro negata vocazione ad essere beni comuni per le necessità delle collettività locali. Detto di passaggio c’è stato un momento, ai tempi duri della Lega separatista, in cui qualcuno affacciò addirittura l’ipotesi che questi beni demaniali dovessero passare direttamente in capo alle Regioni: non sarebbe stato male. Il Governo, da sempre centralista, non ha mollato.

Forse si sarà capito che sto andando a parare sul nodo “scali ferroviari milanesi”, una vicenda di latte, cacio e ricotta e dei cinque assessori che si sono passati il testimone, vicenda che comunque va conclusa e senza perdere tempo a tutela del ben comune.

Da un lato vi sono sempre due attori per conto delle Ferrovie dello Stato: Renato Mazzoncini in FS dal 1997 e Carlo De Vito che c’è pure da prima, dal 1977: due vecchi dell’azienda con una passione per gli sviluppi immobiliari, affamati di cacio. Oggi Renato Mazzoncini è Amministratore Delegato e Direttore Generale del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane e Carlo De Vito Amministratore di FS Sistemi Urbani dal 2009.

Dall’altra cinque assessori che si sono passati il testimone: Maurizio Lupi (dal 1997 al 2001 Giunta Albertini 1°), Gianni Verga (dal 2001 al 2006, Albertini 2°), Carlo Masseroli (dal 2006 al 2011, Giunta Moratti), Ada Lucia De Cesaris (dal 2011 al 2015 – dimissioni – Giunta Pisapia), breve ma enigmatico passaggio di Alessandro Balducci (sempre Giunta Pisapia) e, per finire, dal 2016 Pierfrancesco Maran, “urbanista, giardiniere e agricoltore” come da delega assessorile.

Di Lupi sul fronte scali scarse notizie a mia memoria, mentre Gianni Verga è stato molto attivo. A lui e ad Albertini dobbiamo il primo documento ufficiale, l’Accordo quadro, nel 2005: accordo che oggi forse rimpiangiamo perché il pubblico ne usciva meglio che nel documento successivo del duo Masseroli – Moratti: poco cacio e molta ricotta. Fiero di quest’accordo Verga va a Francoforte nel 2006, alla scadenza del suo mandato, a offrire agli operatori convenuti alla manifestazione “Mercati e opportunità crossborder. Investire nell’immobiliare in Italia”, tra le altre aree dismesse milanesi anche gli scali. (Andare in giro a vendere Milano e le sue aree è uno sport che è piaciuto anche al duo Sala – Maran).

Gli succede Carlo Masseroli che ama vedere in grande – Milano con 2.000.000 di abitanti e altre facezie – e a lui dobbiamo già nel 2007 l’impianto dello sciagurato Accordo di Programma, poi naufragato sugli scogli del Consiglio Comunale del dicembre del 2015. L’accordo passato attraverso le cure dell’assessora Ada Lucia De Cesaris, pur con qualche resistenza con il sindaco Pisapia che tace e acconsente: molto cacio e poca ricotta.

Confesso una mia colpa. Quando, a metà 2015, ho visto arrivare in dirittura l’Accordo di Programma, ho scritto su queste colonne che era l’accordo migliore possibile visto il contesto: mai avrei immaginato un sussulto di orgoglio del Consiglio Comunale. Dopo questo sussulto mi sono domandato perché mai si dovesse continuare su quella strada.

La Giunta Pisapia sul piano urbanistico era stata debole. Appena insediata approvò, seppure con varianti, un Piano di Governo del Territorio tipicamente masseroliano, anche qui molto cacio e poca ricotta. Si temevano reazioni degli operatori immobiliari che preconizzavano una paralisi della loro attività, per altro già più che ferma assente: si diede credito a una previsione assolutamente strumentale che rassicurasse soprattutto le banche impegnate con gli immobiliaristi.

Ma perché tanta debolezza anche sul fronte dell’Accordo di Programma e di Ferrovie dello Stato? Questo si potrebbe spiegare facilmente “pensando male”.

A questo punto una domanda sorge spontanea: tutto il dibattito, lo sforzo progettuale, tutte le “visioni” che si sono sin qui fatte, sarebbero stati gli stessi se non si fosse in alcun modo “voluto” remunerare le FFSS? Se le aree degli scali fossero state liberamente disponibili per la collettività locale?

Purtroppo si è lasciato cagliare il latte e, come tutti sanno, quando il latte caglia non si torna indietro, però la divisione tra cacio e ricotta la possiamo ridiscutere con un moto di orgoglio cittadino, lasciando cadere questa sorta di “ultimatum” di Maran di voler concludere il tutto in una delibera da approvare entro luglio. L’assessore della giunta Sala, l’ultimo della staffetta, deve ricevere il testimone senza battere ciglio? Deve consegnarlo alle FFSS che lo aspettano?

Possibile che non ci si renda conto che il “pallino” l’ha in mano il Comune, l’unico ente che ha le chiavi dell’edificabilità? Possibile che non si abbia il coraggio di andare a Roma a dire che non rinunciamo a gestire gli scali a piacer nostro? Che non ce ne importa un fico dei presunti, ipotetici ricavi per FS Sistemi urbani (poco più di un miliardo di euro), che sono una goccia del suo bilancio?

Il concambio che propone FFSS è un potenziamento del nodo di Milano: lo facciano in realtà come deve essere fatto, se ci sono le risorse da parte dello Stato, magari dentro il Patto per Milano. Se è invece è una strategia industriale di FFSS lo valuti e lo faccia: se è utile aumenterà i loro ricavi e gli investimenti necessari vadano a trovarseli sul mercato. FFSS non sono una azienda privata che vuole andare in Borsa? Prima hanno bisogno di drenare risorse milanesi? Ma mi facciano il piacere! Comunque i costi per un reale potenziamento del nodo di Milano (vedi il secondo Passante) non sono certo i 50 milioni indicati nell’Accordo di Programma.

Ribadisco: perché la data limite per deliberare l’Accordo di Programma è la fine di luglio?

Chi l’ha detto? Dietro tanta fretta che c’è? E se alla fine ci accorgessimo che il “nuovo” Accordo di Programma è una fotocopia di quello vecchio e le densità sono rimaste le stesse?

Luca Beltrami Gadola



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