29 marzo 2017

sipario – PETER PAN GUARDA SOTTO LE GONNE … LA FIABA


regia Livia Ferracchiati
drammaturgia di Greta Cappelletti e Livia Ferracchiati
con Linda Caridi, Luciano Ariel Lanza, Chiara Leoncini, Alice Raffaelli
voci di Ferdinando Bruni e Mariangela Granelli
con il sostegno di Campo Teatrale e CAOS Centro Arti Opificio Siri
Produzione The Baby Walk

sipario12FBTempo fa Sipario – dietro le quinte ha incontrato la giovane e capace regista Livia Ferracchiati e la sua compagnia The Baby Walk, nata attorno al progetto di una “Trilogia sulla transessualità”, per riflettere e far riflettere sui diversi aspetti del disagio di vivere in un corpo “non proprio” e dover perseguire la difficile conquista della propria identità (sessuale e non solo) attraverso le diverse fasi della vita. Perciò, quando il primo capitolo Peter Pan guarda sotto le gonne è tornato in scena a Milano, non ho potuto perdere l’occasione di assistervi.

Peter Pan è il bambino che non vuole crescere, che non vuole darsi una “definizione” adulta né rinunciare alla libertà originaria che può solo derivare dalla prospettiva di un’eterna infanzia, di un divenire non vincolante e infinito, di un futuro sconfinato e ricco di prospettive, che tuttavia sono destinate a non realizzarsi mai, per non far finire il “sogno”.

Il nome del personaggio, nato dalla penna dello scozzese J. M. Berrie, evoca il Pan della mitologia greca, dio sempre allegro dalle sembianze di satiro, personificazione della genuinità istintiva della natura perdutasi con l’avvento della “civiltà” (l’età adulta della storia umana). Pan ama le selve e i piaceri carnali, abita non nell’Olimpo ma sui monti e nei pascoli, nello spazio perfetto, libero e sospeso fuori dal tempo della mitica Arcadia.

A essa corrispondono, nel racconto moderno, i Giardini di Kensington, e poi la dimensione fantastica dell’Isola che non c’è, dove Peter Pan si rifugia per sottrarsi all’inevitabilità della crescita e dove tutto assume la consistenza effimera del sogno, dell’impossibile, dell’irreale.

Anche il protagonista dello spettacolo di The Baby Walk vorrebbe fuggire, sottrarsi al senso di inadeguatezza, alle aspettative dei genitori, all’essere nato in un corpo sbagliato. Peter è un bambino di 11 anni e mezzo che ama il calcio e il karate, ma è nato in un corpo femminile, ha lunghi capelli biondi e vestiti rosa che detesta. Vorrebbe fuggire dunque, innanzitutto da se stesso, smettere di crescere per non darsi un ruolo sociale né un’identità sessuale, rifugiarsi nell’ambiguità del non-essere, vivere su un albero con la sua amica Wendy, per giocare a marito e moglie e poterle guardare con innocenza sotto la gonna.

Come il personaggio dell’autore scozzese, anche Peter vorrebbe la sua isola, un luogo ideale in cui smettere di sentirsi naufrago e riconoscersi in un “io” unitario annullando lo scarto tra corpo e spirito; ma come quello era costretto a combattere con la sua ombra per tenerla legata a sé come testimonianza della propria consistenza reale, Peter deve confrontarsi con l’immagine del vero se stesso adulto e maschio, inscenando con essa una lotta leggera ed elegante, che è quasi una danza di corteggiamento. Entrare in contatto con questa parte di sé e riconoscerla come propria essenza è fondamentale perché Peter possa accettarsi e avviarsi verso l’età adulta.

A tale scopo, è provvidenziale l’intervento di Tinker Bell (“Rattoppa Campane”), fatina sui generis, che non ha la bacchetta magica ma indossa uno zainetto di pelle, non realizza desideri ma legge i fondi della birra, non distribuisce polvere di stelle ma utili consigli (assieme a qualche polaroid per dimostrare che «le fate esistono»). È lei a mettere Peter di fronte alla realtà del suo essere «non esattamente una femmina, ma precisamente un maschio» e a prospettargli la crescita non come costrizione, bensì come libertà di scegliere chi essere e cosa diventare.

Tinker Bell gli insegna a “volare” verso quell’isola che egli porta dentro di sé e che non è solo un sogno infantile e impossibile, una dimensione irreale in cui rifugiarsi e sottrarsi a qualsiasi costrizione, bensì un luogo simbolico di conquista della propria identità, di autodefinizione, affermazione e felicità, la meta del viaggio verso la sua seconda “vera” nascita.

Chiara Di Paola

In scena al Teatro Elfo Puccini (Sala Bausch) dal 15 al 19 marzo 2017.

questa rubrica è a cura di Domenico G. Muscianisi e Chiara Di Paola

rubriche@arcipelagomilano.org



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