18 gennaio 2017

cinema – PATERSON


PATERSON
di Jim Jarmusch [USA, 2016, 113′]
con Adam Driver, Golshifteh Farahani, Kara Hayward, Sterling Jerins, Jared Gilman

cinema02FBSe digitate su Google Paterson scoprite che è una cittadina del New Jersey, una volta nota come Silk City, città della seta, per le sue numerose fabbriche di tessitura serica ed era anche uno dei luoghi di produzione delle Colt, le famose pistole. Qui nell’Ottocento sono giunti operai dall’Europa e qui Gaetano Bresci, l’anarchico che sparò al re Umberto I, organizzò scioperi e proteste in difesa dei diritti dei tessitori poco più che bambini.

Paterson è il luogo in cui è girato l’ultimo film di Jim Jarmush e anche il nome del protagonista del film, che sembra identificarsi con un certo spirito della città. Paterson (Adam Drive) è un trentenne che guida gli autobus cittadini, vive in una casetta con la porta rosa insieme alla moglie Laura e al bulldog Marvin. Il film narra una settimana della vita di Paterson. Ogni mattina si sveglia tra le 6 e le 6.30, lo vediamo inquadrato dall’alto e abbracciato alla moglie. Si alza, fa colazione e si reca a piedi al lavoro portando con sé il cestino del pranzo e un taccuino. Passate le fabbriche di mattoni rossi in disuso si ritrova al deposito dei bus.

In attesa di cominciare la giornata annota versi. Paterson è un poeta, la città stessa ha respirato poesia con un suo illustre cittadino, William Carlos William, medico e poeta e pediatra prima e poi ispiratore di versi ad Allen Ginsberg che a Paterson visse alcuni anni. Ogni giorno il nostro autista chiude il suo taccuino e accende il motore del bus, guida ascoltando i suoi passeggeri, riprende i versi scritti nella pausa pranzo, passata davanti a una cascata che sicuramente una volta alimentava le fabbriche tessili. E, finito il turno, se non vi sono intoppi come quando l’autobus si è guastato, si presenta a casa con la poesia quotidiana praticamente finita.

A casa lo aspetta la giovane e vivace moglie, Laura, che passa la giornata a ornare di grafismi tende, abiti, pareti, a cucinare cupcake decoratissimi e a suonare una chitarra decorata anch’essa, insomma a tentare di sfondare in qualche cosa. Paterson sembra invece accontentarsi delle sue poesie, della cena, dell’uscita serale con Marvin che si conclude con una birra al bar di Doc. Ogni giorno tende a ripetersi con pochissime varianti, si richiude in sé come i cerchi che Laura disegna. Tutto appare immobile, quello descritto sembra un mondo di piccole cose anche se la sua quietudine porta sottotraccia il desiderio che qualcosa accada a scompigliare la quotidianità.

Gli eventi si susseguono in modo ripetitivo e solo un atto creativo inutile come produrre versi permette di individuare il filo nascosto che lega le cose e dona loro un senso necessario anche se effimero. Eccone alcuni:

Passo attraverso/ trilioni di molecole/ Che si fanno da parte/ per lasciare passare me/ mentre su entrambi i lati/ altri trilioni/ restano dove sono./ Le spazzole del tergicristallo/ cominciano a scricchiolare/ La pioggia si è fermata/ Io mi fermo/ All’angolo/ Un bambino/ Con un impermeabile giallo/ Stringe la mano di sua madre

(La Corsa di Ron Padgett, poeta, autore di più di 20 raccolte di poesie. Jarmush ha utilizzato alcune poesie di Padgett attribuendole all’autista Paterson ).

Paterson è un film fragile e poetico, al centro ha la vita apparentemente banale di persone comuni, Paterson stessa appare una città priva di attrattive eppure Woody Allen vi ha girato La rosa purpurea del Cairo, Bob Dylan l’ha nominata in Hurricane, Kerouac nel suo On the Road, Allen Ginsberg l’ha citata più volte , per non parlare di William Carlos William.

Dorothy Parker

 

questa rubrica è a cura degli Anonimi Milanesi

rubriche@arcipelagomilano.org



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