16 novembre 2016
NERUDA
di Pablo Larrain [Argentina, Cile, Spagna, Francia, 2016, 107′]
con Luis Gnecco, Gael García Bernal, Mercedes Morán, Diego Muñoz, Pablo Derqui
Pablo Neruda per i cileni è un eroe, un patrimonio del paese. Il regista cileno Pablo Larrain ha deciso di giocare con questo eroe. Impossibile ricostruirne la vita, troppo intensa e sfaccettata, il regista ha deciso di soffermarsi sulla sua fuga del 1948 per evitare la prigione.
Pablo Neruda è un senatore comunista e, dopo il discorso in cui accusa (il famoso “Yo acuso”) il governo di Gabriel Gonzalez Videla di imprigionare i minatori in campi di concentramento (uno dei quali gestito da un giovane Pinochet), è costretto alla fuga. Il partito comunista si occupa di proteggerlo in case di militanti, poi tenta di farlo imbarcare a Valparaiso e infine lo aiuta a raggiungere l’Argentina attraversando le Ande innevate.
Questa lunga fuga, durata 13 mesi, è raccontata anche attraverso gli occhi del poliziotto (Oscar Peluchonneau, un bravo Gael Garcia Bernal) che lo insegue tappa per tappa. Neruda vorrebbe conoscerlo e gli lascia indizi (suoi libri) che l’uomo raccoglie e legge. Inutile dire che queste letture trasformano e plasmano Oscar. Cacciatore e preda si avvicinano, si cercano, in un duello che li fa sfiorare e li costringe a dare il massimo. Leggendo i testi del poeta il poliziotto diventa sempre “nerudiano”, simile a una creatura letteraria. Allo stesso tempo nell’inseguimento il poeta definisce meglio la sua immagine di artista rivoluzionario.
Per raccontare questa fuga e il suo protagonista il regista ricorre a una struttura complessa, alla Borges, e ricorre a un mix di generi e linguaggi cinematografici. Dichiara: “Neruda è un noir, una black comedy, un road movie, un western. Un film su Neruda non puoi metterlo in una scatola: devi viaggiare libero nella sua poesia“.
Il film riunisce, così, momenti di ricostruzione storica e di invenzione, introduce scene oniriche e coinvolge lo spettatore in una sorta di gioco sulle abilità narrative del regista. Alcune scene sono memorabili, come quella in cui il poeta si trova in un bordello nascosto con parrucca tra le prostitute e Oscar, che fa irruzione, riconosce che sua madre era una prostituta e che non sa chi sia suo padre. Eppure pubblicamente si dice figlio del prefetto di polizia Peluchonneau. Per essere un buon poliziotto, avere un ruolo nella vita, Oscar si era assegnato come genitore il poliziotto simbolo del paese, immortalato in una statua.
Nel film la poesia ha un ruolo importante (e viene recitata), la sua forza è tale da modificare la realtà trasformandola in letteratura.
Dorothy Parker
questa rubrica è a cura degli Anonimi Milanesi