22 ottobre 2014
ANIME NERE
di Francesco Muzzi [2014, Italia Francia, 103′]
con: Marco Leonardi, Peppino Mazzotta, Fabrizio Ferracane, Barbara Bobulova, Aurora Quattrocchi.
Luciano, Rocco e Luigi. Luciano è un agricoltore nella Locride; Rocco un costruttore a Milano; Luigi un narcotrafficante attivo tra la Locride e Milano. I tre uomini sono fratelli. Il loro padre è stato assassinato molti anni prima in una guerra tra cosche. La trama del film, tratto dall’omonimo romanzo di Gioacchino Criaco, prende l’avvio quando il figlio di Luciano, Leo, per vendicare uno sgarbo, distrugge le vetrine di un bar protetto da una cosca.
Leo è molto critico nei confronti di Luciano che, essendo il maggiore dei tre fratelli non aveva vendicato l’uccisione del proprio padre, ma aveva cercato di superare pacificamente quella profonda ferita. Il gesto di Leo rompe l’equilibrio che Luciano aveva faticosamente costruito. Luciano vorrebbe piegare la testa, fare ammenda per il gesto del figlio, Luigi invece cerca alleanze e la famiglia entra in guerra.
È un film fortissimo, carnale e passionale. Nemmeno di fronte alla morte violenta di un congiunto, le forze dell’ordine vengono percepite come solidali o amiche; lo Stato che entra nelle case, che indaga sui morti della famiglia è estraneo, è nemico, forse più nemico degli stessi assassini.
Le donne della famiglia sono totalmente consentanee ai gesti degli uomini. L’anziana madre dei tre uomini, interpretata da una straordinaria Aurora Quattrocchi, piange i suoi lutti, ma ritrova tutto il suo orgoglio, la sua fierezza nell’odio invincibile verso la polizia che le entra in casa. La milanese moglie di Rocco, l’unica estranea, che aveva creduto di poter vivere lambendo, senza esserne coinvolta, quel mondo, viene trascinata nel gorgo della faida. I patti tra le famiglie, e son patti criminali, si stringono arcaicamente mangiando insieme, e facendo fidanzare i figli.
Il film è recitato in dialetto calabrese, girato ad Africo nella Locride, le comparse sono locali. È un film da vedere, recitato benissimo, con una fotografia che gioca con la luce che dà spazio, e lo toglie, ai gesti, agli sguardi. I dialoghi sono essenziali. È un linguaggio tribale, fatto di poche parole, pochi gesti, tutto teso alla sopravvivenza, al dominio. Alla religione uomini e donne si aggrappano non come a una fede, ma come a una superstizione.
Il regista Francesco Muzzi è riuscito a cogliere l’umanità in una galleria umana che sarebbe stato tanto più semplice stigmatizzare altrimenti. È un film da non perdere, aldilà dei fatti criminali e violenti, quel che si sente fortissimo è l’amore che unisce questi uomini, questa gente, questa civiltà. Un amore che lega, vincola, e forse non rende liberi, un amore al quale sembra impossibile sottrarsi. Un amore sbagliato, si potrebbe dire. Un amore da ricostruire. Comunque un amore.
Tootsie
questa rubrica è a cura degli Anonimi Milanesi