22 marzo 2022

IL CAVALIERE, CENERENTOLA, LA MM 4 LUMACA, IL CARO CASA

La non-sobrietà d’una Milano che rincorre sé stessa


garzonio (1)

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Tre notizie spiccano negli ultimi giorni. Berlusconi festeggia il suo non-matrimonio con la sua non-Cenerentola (un modo per ridimensionare i non-fasti della non-elezione a Capo dello Stato, cercare di far sopravvivere il mito a sé stesso e, nel contesto, parlando d’altro, evitare l’imbarazzo dei trascorsi con Putin e di una forse impossibile presa di distanza). 

La linea 4 del Metrò procede a passo di lumaca (cumulati 30 mesi di ritardi dall’inizio lavori: colpa del Covid – il virus ormai è scusa buona per tante inadempienze – e dei reperti archeologici che tutti sapevano giacere sotto quelle superfici, figurarsi se dell’attitudine a far previsioni rosee sulle grandi opere: tanto a pagare sono i disagi dei cittadini, delle piccole realtà economiche, le revisioni costi). Gli affitti delle case registrano un secco più 11 per cento (vittime gli studenti e le giovani coppie: evidentemente l’ubriacatura di condomini e imprese per i vari bonus edilizi non ha placato gli appetiti immobiliari). 

Tre casi di rilevanza diversa ma contigui, un costume di cui sono espressione, esempi di una Milano nei cui radar etici, sociali, culturali la sobrietà compare sempre più raramente. La città sembra ormai protesa verso stili di vita, privati e pubblici, comportamenti estranei a una virtù civica ambrosiana tra le più importanti e caratteristiche, la sobrietà appunto. Questa sarebbe quanto mai necessaria, se ripresa e resilienza corrispondessero a dati e volontà reali, non rappresentassero invece formule che servono ai partiti per mettere bandierine e pasturare fette di elettorato in vista delle prossime politiche, regredire, tornare a far tutto “come prima”. 

Sarebbe importante poter disporre di sobrietà in un periodo di crisi epocali, trasformazioni, punti di riferimento sbiaditi o saltati, paurosi baratri, tra una pandemia che passa il testimone ad una guerra proditoria, dicendole «Io ho fatto sin qui ciò che potevo per distruggere persone e convivenza; adesso tocca a te: vediamo cosa sai fare e se cambia qualcosa». Riassumerei l’attualità delle componenti di tale virtù ambrosiana in una sorta di decalogo. 

  1. Fare il passo secondo la gamba (vale per le scelte individuali, del “buon padre di famiglia” come s’è detto per secoli, e collettive: insediamenti; grattacieli; cantieri; piste ciclabili a patchwork; il governo della città, insomma). 
  2. Stare al proprio posto, non per inerzia o quieto vivere, ma per osservare con coscienza, documentarsi, valutare quando muoversi è “conveniente” (“cum-venire”: convergere di istanze di bene comune, non tornaconto; un esempio: quel che ha scritto su queste pagine recentemente Luigi Corbani circa la vendita di aziende pubbliche). 
  3. Non far conto solo cu ciò che si ha (l’esistente può essere il ricettacolo di molte inadeguatezze: l’esperienza disastrosa del primo approccio alla Pandemia da parte della Regione insegna), né ostentare le “eccellenze” che si hanno (di nuovo il Pirellone che usa i buoni risultati di certe strutture sanitarie per offuscare i fallimenti in termini di medicina sul territorio e insistere sul privilegiare una sanità ospedali centrica, con occhio di riguardo ai privati). 
  4. Evitare di sbandierare quanto si desidererebbe conquistare e possedere, ma non è ragionevolmente a portata di mano (il Covid ha insegnato poco o nulla circa del’indispensabilità della prevenzione a proposito di riforma sanitaria e welfare).
  5. Mantenere la parola data, come si fa nei patti sigillati con una stretta di mano vigorosa (le periferie sarebbero risanate da tempo se le promesse degli amministratori fossero cosa seria).  
  6. Prender le distanze da artifici (quelli contabili soprattutto: nei bilanci pubblici, ma anche in molte imprese), apparenze, superfluo (il Comune che fa consultazioni che costano, invece di presentare alcune proposte, motivarle corredarle di documentazione così che si determino scelte consapevoli e partecipate),
  7. Essere accorti nel leggere i segni di tempi che cambiano, i limiti che le condizioni esterne presentano (Milano-Cortina 2026 non potrà corrispondere ai progetti iniziali dopo pandemia e guerra). 
  8. Agendo, essere professionali nel mettercisi e generosi nel profondere energie, nutrire consapevolezza piena che frutti immediati potrebbero non prodursi (quando i partiti ripristineranno le vecchie scuole di politica, per recuperare in competenze e, magari, in umiltà?). 
  9. Tener conto di quanto ci rimanda il corso delle generazioni (sobrietà è realizzare che qualcuno ci ha messo al mondo e che il pianeta lo lasceremo a chi viene dopo in condizioni migliori o peggiori a seconda delle scelte assennate o egoiste che faremo). 
  10. Disporre della lungimiranza del: alius seminat, alius metet; cioè: c’è chi semina e c’è chi raccoglie e che si raccoglie l’esito di ciò di quello che si è seminato: nel grande e nel piccolo (ci voleva il Sindaco polacco di una città di confine con l’Ucraina per svergognare Salvini e la sua maglietta di Putin: noi abbiamo per anni digerito tutto: dal mercatino delle figurine delle figurine della politica – “ due Mattarella per mezzo Putin” offriva l’ammaccato leader della Lega – e gli incontri all’hotel Metropol di Mosca di esponenti del Carroccio con colleghi russi a parlare di forniture energetiche, quelle che oggi ci legano alla Russia per il 40 per cento, come cappio al collo!). 

Lo dice la parola: sobrio è il “non ebbro”, cioè colui che non è in preda ai fumi dell’alcool; ma nemmeno schiavi degli effetti psicotropi di altre sostanze. Riguardo a queste, il ventaglio da considerare è ampio. C’è chi vi ricorre effettivamente (sono noti i dati sull’alto consumo di stupefacenti a Milano, zone e quartieri di spaccio, sistemi di consegna a domicilio). C’è l’approccio ideologico e politico della liberalizzazione dell’uso (il Consiglio Comunale che non ha dedicato sedute per sensibilizzare l’opinione pubblica su scelte urbanistiche, codice degli appalti, riforma sanitaria, ha votato recentemente una mozione sulla liberalizzazione della cannabis e dei suoi derivati, che è materia di Parlamento nazionale).

C’è infine una gran parte della popolazione che non ricorre materialmente a qualche “aiutino” della chimica per “tenersi su”, ma che finisce per partecipare alla mentalità diffusa di una città un po’ ebbra in cui la competizione la fa da padrona, si corre, ci si affanna, si sgomita, si costruiscono grattacieli (abitati? Da chi?) e si sfratta con ritmi non dissimili, si va su e giù dai marciapiedi o contromano con bici e monopattini, si moltiplicano le offerte universitarie (senza però prevedere sistemazioni adeguate per gli studenti), non si creano luoghi di aggregazione per i giovani (e poi si protesta per la movida), si scoraggia il traffico privato ma non cresce l’offerta di trasporti pubblici. E si potrebbe continuare negli esempi di una situazione che in altra epoca trovò in Oscar Wilde la definizione di una società che considera «il prezzo di tutto e il valore di niente».

Milano ha gli anticorpi: stanno nelle sue radici, a volerli attivare. È stato Ambrogio 1700 anni fa a porre la sobrietà a cardine del vivere civile e a forgiarne una virtù che dal suo nome è detta ambrosiana. Il Patrono, che di crisi epocali e di necessità di governare le trasformazioni se ne intendeva, spronava i milanesi alla «sobria ebbrezza dello Spirito». Un ossimoro per dire che l’ebbrezza materiale (vita frenetica, invasamenti ideologici e magari alcool e sostanze) appagano al momento: fanno uscire da sé stessi e danno l’illusione di vivere al di sopra dei propri mezzi, delle proprie possibilità presenti e future, della realtà insomma. 

Esaurito l’effetto (o lo sballo) però la realtà torna e porta con sé tutti problemi non risolti e gli interessi sul debito maturati nel frattempo. Ambrogio spiega che se invece non ci si fa possedere dalle cose e dall’attaccamento ad esse, se cioè si rimane sobri, si praticano stili di vita umani, si è consapevoli delle proprie responsabilità, coi piedi per terra (pragmatismo ambrosiano) e si tiene lo sguardo alto, d’assieme, sul mondo e sulla storia, allora la mente rimane sgombra e libera, può accostarsi all’esistenza, alle esigenze complesse di essa, agli altri e, insieme, ambire ai valori dello Spirito, in essi ritrovarsi ed esaltarsi. Tali valori, nel mix straordinario avviato grazie all’opera di inseminazione di Ambrogio nella cultura della città sono entrati nel dna di Milano: sono quelli religiosi e quelli umani, quelli di chi va in chiesa e quelli di chi si fa carico della cosa pubblica, quelli di chi ispira la propria vita al vangelo delle Beatitudini e quelli di chi si batte per la giustizia nel mondo, per aiutare i poveri, accoglierli, ridurre le piaghe delle discriminazioni. In una parola: cambiare sé stessi e il mondo.

Forse, bisognerebbe recarsi un po’ tutti e più spesso a Palazzo Marino per non lasciarsi impaniare dagli stati depressivi provocati  dal Covid e dalla guerra (tanto più paralizzanti perché virus e aggressione russa han restituito problemi antichi, magari incancreniti dalla pervicace ignavia, elevati a maggior potenza in quanto non visti, nono affrontati e tanto meno risolti) e per non fuggire da se stessi rincorrendosi in un frustante inseguimento di chi continua a correre, a ripetere a ciò che faceva prima e con le stesse modalità,. 

Nella Sala Alessi, fermarsi davanti al Gonfalone della città, contemplare il volto severo di Ambrogio e provare a sentire sfiorare la propria pelle dai colpi dello staffile che il Patrono secondo tradizione brandisce: rappresentano il simbolo del risveglio delle coscienze, di quelle che nella tradizione ambrosiana riprendono in mano le fila del vivere civile e danno senso alla storia. Perché anche nei momenti più duri, di buio e di smarrimento Risorgeva Milano (Antonio Greppi, sindaco socialista della Liberazione) e attingeva “alla sobria ebbrezza dello Spirito” (Ambrogio).

Marco Garzonio

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