23 gennaio 2024

ATTUALIZZARE L’IDEA DI RIGENERAZIONE METROPOLITANA

Un rinnovo democratico?


Progetto senza titolo (11)

Una recente inchiesta della Procura di Milano mette in discussione, attraverso un’azione penale, l’ennesima interpretazione in “rito ambrosiano” della normativa edilizia vigente.  Il caso in discussione riguarda il passaggio  da una destinazione produttiva riguardante edifici industriali dismessi, e quindi, a bassa pressione ambientale,  ad una destinazione residenziale (’grattacieli’) ad alta intensità edificatoria, e, quindi, ad altissima pressione ambientale. Il tutto senza alcuna attenzione, oltre alle esternalità ambientali, anche alle esternalità sociali, in quanto l’azione della magistratura sottolinea l’assenza di adeguati servizi destinati alla comunità negli interventi in questione.

Non entro nel merito degli aspetti giudiziari della vicenda, ma mi sembra emblematico l’atteggiamento dei soggetti coinvolti, funzionari comunali, avvocati, architetti,  i quali, in base alle loro dichiarazioni alla stampa, hanno una reazione di grande stupore di fronte al provvedimento della magistratura.  Un atteggiamento che ricorda  il film ‘Underground’ di Kusturika, dove Marko ed i suoi amici  vivono per 15 anni in un sotterraneo coltivando un’illusione falsificatrice, ben lontana dalla realtà che si consuma nella Iugoslavia di allora.

Come Marko, l’ecosistema dei funzionari comunali e del mondo economico e professionale che ruota intorno all’edilizia milanese ha vissuto per anni (e stanno vivendo tutt’ora) di una narrazione del tutto arbitraria della buona prassi urbanistica, costruita dalla legislazione municipale in materia di edificare, elaborata dall’amministrazione Pisapia (2011-2016). Infatti, in occasione della presentazione del regolamento edilizio targato De Cesaris, facevo notare su questo giornale (articolo “Regolamento edilizio: far irrompere la modernità” 26 febbraio 2014) l’arretratezza dell’impostazione dello strumento, la cui logica non si discostava da quella novecentesca del Regolamento edilizio di Berlino: era impositivo, il centro erano i m3 con un ruolo residuale per l’ambiente, non considerava il ciclo di vita dell’edificio, confondeva la sostenibilità con alcune caratteristiche di ecoefficienza dell’edificio. Ma sopratutto, nell’era della cibernetica, ignorava il ruolo dei dati e, di conseguenza, dei nuovi processi ubiqui e interattivi che avrebbero dominato non solo la gestione del territorio, ma del complesso delle relazioni sociali, quindi, della democrazia.

La municipalità  non comprendeva che con l’inizio del millennio la  struttura degli strumenti urbanistici doveva cambiare radicalmente: doveva prendere atto del limite delle risorse, dell’esaurirsi dei ‘serbatoi’ ambientali in cui venivano scaricate le esternalità, e, soprattutto, la gestione di una realtà che si annunciava sempre più dirompente doveva abbandonare il tradizionale atteggiamento di controllo a favore di strumenti innovativi, interattivi ed aperti, a servizio di una burocrazia,  e dei relativi supporti culturali e professionali, ‘agenti’. In sostanza il corpo cultural amministrativo della metropoli era chiamato a sviluppare processi collaborativi e creativi con sistemi sociali sempre più variegati ed ampi.

Ma, come è sotto gli occhi di tutti, l’ecosistema amministrativo, anziché impegnarsi in una difficile ricerca di nuovi valori e socialità, ha preferito rinchiudersi in un  ‘underground’ fatto di aumento esponenziale delle cubature del cemento armato, nell’illusione che questa visione dello ‘sviluppo’ fosse protetta dalla ‘certezza’ del diritto. Da ciò deriva una narrazione costruita su rigenerazione urbana e liberismo, che altro non sono che una speculazione in rotta di collisione con i parametri ed i comportamenti raccomandati dal corpo scientifico internazionale e dalle Convenzioni globali sull’ambiente.

Ma qualcosa è andato tremendamente storto.

Si può ritenere che le attuali  problematiche climatiche, ambientali e sociali della metropoli milanese possano essere ricondotte alla mancata capacità di interpretare i cambiamenti dirompenti che hanno investito la metropoli stessa: la rivoluzione della connettività ha messo in crisi il modo di trattare il territorio come merce fisica riferita ad un luogo geografico delimitato,  gestito sotto un’esclusiva giurisdizione locale e amministrato in base a periodiche sfide logistiche legate al conteggio delle schede elettorali cartacee. 

Ma la rivoluzione generata dalla dimensione ‘ubiqua’ dello spazio  ha superato la storica idea di ‘confine’ e, di conseguenza, ha messo in discussione il valore dell’articolazione dello spazio amministrativo;

– questa dimensione, coniugata con la consapevolezza del limite delle risorse, ha messo in crisi l’uso legale dello spazio basato sulla ‘recinzione’, la possibilità di estrazione illimitata di valore dalla terra , l’uso indiscriminato dei beni della natura come contenitori di rifiuti;

– la rivoluzione dei dati ed i suoi successivi sviluppi verso l’intelligenza artificiale, hanno fatto emergere percorsi e strutture di potere che puntano all’eliminazione dell’uomo nei processi produttivi e nei processi sociali. In breve all’annientamento della democrazia. 

– il manifestarsi contemporaneamente di più cambiamenti dirompenti ha posto il problema della gestione delle policrisi che colpiscono contemporaneamente un’ampia gamma di sistemi, da quello finanziario e ambientale a quello sociale e politico. Questa natura interconnessa delle crisi implica un riassetto globale della pubblica amministrazione, la quale dovrebbe abbandonare il tradizionale approccio lineare ai problemi a favore di approcci sistemici.

Se le cose sono andate così le politiche di ‘rigenerazione urbana’ fondate su colate esponenziali di cemento sono la dimostrazione sostanziale dell’incapacità di rinnovo della gestione democratica della nostra metropoli (e del nostro paese). 

Che fare?

La recente letteratura su politiche urbane e priorità di intervento per contrastare le policrisi sottolinea come non sia sufficiente programmare un insieme di interventi tecnologici, ma questi devono essere accompagnati da ‘punti di ribaltamento’ destinati a modificare il comportamento sociale, nel nostro caso rispetto ai processi sostenibili di sviluppo della metropoli.

In sintesi la priorità sembra andare alla progettazione e realizzazione di infrastrutture pubbliche decentralizzate, operanti attraverso sistemi di rete ‘aperti’, perché le nuove tecnologie implicano nuovi modelli di organizzazione e spostano l’’agenzia’ dalle  infrastrutture tradizionali, siano esse pubbliche o  di società private, verso reti che consentano di esercitare l’agenzia a livello di comunità auto-organizzate. 

Per realizzare queste infrastrutture occorre elaborare una nuova grammatica per l’educazione civica, basata sull’implementazione delle capacità digitali necessarie per la partecipazione sociale: come l’identificazione, la transazione, lo scambio di dati, la contrattazione, l’associazione e altro ancora.

Questa nuovo sillabario dovrebbe essere la base per educare la popolazione, politici compresi, alle regole della complessità.

In sostanza l’ecosistema ‘underground’ ha procurato un gran danno ecosistemico alla comunità ambrosiana, il rimedio passa attraverso un salto scalare della sua dignità civica e democratica, ma superare la cultura della supremazia dei m3 non sarà  un esercizio facile.

c

Nota di approfondimento:

– per l’esperienza del regolamento edilizio dell’Amministrazione Pisapia:

“Regolamento edilizio: far irrompere la modernità”, in: ArcipelagoMilano 26 febbraio 2014 

https://www.arcipelagomilano.org/archives/30742

– per il rinnovo delle infrastrutture civiche raccomando la lettura dell’esperienza di Taiwan, in:

Towards decentralized civic infrastructure: transforming civics with web3, in:

https://www.radicalxchange.org/media/blog/towards-decentralized-civic-infrastructure/



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  1. Annalisa ferrarioCome diceva Cassiodoro «Togli al mondo il calcolo, e la cieca ignoranza avvolgerà ogni cosa; chi non comprende la quantità non può essere diverso dagli animali» E invece, nell' epoca dei Big Data, abbiamo un PGT fatto solo di retorica e di slogan da quattro soldi. Ma qui siamo a Milano, i problemi siamo abituati ad esaminarli per quello che sono, e a cercare risposte vere, non chiacchiere. Saluti
    24 gennaio 2024 • 08:45Rispondi
  2. Cesare MocchiSu certi dirigenti comunali verrebbe da rispolverare il vecchio detto: "nel paese dei ciechi, l' orbo è Re." Nel senso che la qualità media è talmente bassa, che basta poco per rifulgere...
    25 gennaio 2024 • 08:33Rispondi
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