9 gennaio 2024

L’ORATORIO DI NATALE 2023-2024

Orchestra Barocca: sorti regressive?


Progetto senza titolo (19)

La sera dell’Epifania, come ormai ogni anno dal 2010, l’Orchestra Barocca di Milano, già “laVerdiBarocca”, ha eseguito all’Auditorium di Largo Mahler l’Oratorio di Natale di J.S. Bach (Oratorium tempore Nativitatis Christi o Weihnachts Oratorium, BWV 248) nella formula diventata ormai tradizionale: la prima parte fra le 18 e le 19,30, cena placée nel foyer del teatro, e la seconda parte fra le 21 e le 22,30. Formula sicuramente simpatica ed accattivante ancorché l’interruzione tolga compattezza all’opera e concentrazione all’ascolto, e disturbi non poco gli ascoltatori più preparati ed esigenti. Anche se, quando nacque – per il Natale 1734 – l’Oratorio veniva eseguito addirittura frazionato in sei diverse giornate, distribuite lungo le feste che si susseguono fra il Natale e l’Epifania.

La direzione è sempre stata di Ruben Jais, il coro preparato da Jacopo Facchini. Le quattro voci cambiano di anno in anno, in funzione della disponibilità dei cantanti. Ieri sera erano quelle di M.L. Werneburg soprano, A. Potter contro-tenore, T. Hobbs tenore, M. Siccardin basso che ha sostituito all’ultimo momento il baritono J. Held.

Ho ascoltato – e recensito su ArcipelagoMilano – la prima di queste esecuzioni (6 gennaio 2010) nel 2012 (17 gennaio), nel 2020 (9 gennaio) e l’ultima (6 gennaio 2023) e devo dire con profondo rammarico che, se la prima aveva qualche opacità e rigidità, le recite successive hanno vieppiù deluso. Questa volta si è avuta la sensazione che sia stato molto lesinato sul tempo delle prove e che sia dunque mancata una approfondita concertazione; il suono non era né quello dell’orchestra settecentesca, né tantomeno un bel suono da orchestra moderna; era semplicemente grigio e privo di leggerezza. Soprattutto è apparsa modesta l’interpretazione di fondo del testo bachiano, la parola “piattezza” dominava i commenti degli spettatori; i più moderati hanno lamentato l’assenza di giubilo nell’Avvento, i più arditi si sono spinti a parlar di “noia” ed è sembrato che alla “gioia” per la Natività si fosse sostituita la “mestizia” di un Funerale.

Già nel 2010 scrivevo che Jais si dimostrava a proprio agio più con il coro che con l’orchestra, e lo ha ancora dimostrato l’altro giorno con il bis di un corale di Michael Prätorius, ottimamente eseguito “a cappella”. Nell’Oratorio gli unici momenti di vivacità, capaci di dare un minimo di emozione (l’esplosione di gioia per l’evento), hanno coinciso con le parti corali, mentre i brani esclusivamente orchestrali non hanno mai raggiunto il cuore degli ascoltatori. 

Neanche i solisti hanno brillato più del minimo sindacale e l’insieme è risultato esangue e privo di energia. Negli anni passati abbiamo ascoltato, in San Marco e non solo, esecuzioni indimenticabili di questo Oratorio come quelle di Koopman (1995 e 1999), di Kuijken (1997), di King (1998), di Herreweghe (2000), di Creed (2001), di Pinnok (2002), sempre con orchestre e cori in trasferta dal nord Europa e tutti – chi più, chi meno – specializzati nell’approccio “filologico” e nella prassi d’epoca. Un abisso rispetto a quello di cui stiamo scrivendo. Mi chiedo se a Milano, in più di dieci anni, non sia stato possibile far crescere questa orchestra per portarla al livello di quelle che ho citato. «Milano merita l’eccellenza in campo musicale», dice l’amico Eduardo Szego, colto musicofilo ed assiduo frequentatore dell’Auditorium, «e ne ha tutti i presupposti: tradizione culturale specifica, tradizione di mecenatismo culturale, grande disponibilità economica …., una sede eccellente…..».

Rivolgo dunque un accorato appello alla dirigenza dell’Auditorium ricordando gli anni in cui ha avuto meriti grandiosi, dalla nascita – miracolosa – voluta nel 1993 da Corbani e Delman al breve periodo di Carlo Maria Giulini, e poi la bella stagione di Riccardo Chailly quando (non solo io) scrissi che era diventata la migliore orchestra italiana! Poi, nel 2005, con l’uscita di Chailly dal teatro, è cominciato il lento declino dell’orchestra, nella infruttuosa ricerca di direttori stabili credibili, per non dire degli anni oscuri della Zhang e di Flor; eppure, su quel podio son passati tanti giovani direttori bravissimi (Jader Bignamini, Robert Trevino, Gaetano d’Espinosa solo per ricordarne alcuni), possibile che non si sia riusciti a trattenerne uno? Sappiamo delle difficoltà economiche che hanno afflitto laVerdi per anni, ma è inverosimile che in questa città non si trovino i mezzi per assicurare dignitosa esistenza all’unica sua orchestra privata, secondo o terzo tempio cittadino della musica di alta qualità, con tutti i meriti che ha acquisito in questi trent’anni.

È urgente un risveglio, bisogna abbandonare qualcuno senza troppi rimpianti (a cosa servono tutti questi direttori “emeriti”, “residenti”, “principali ospiti”, ecc?), trovare le energie per un vero rinnovamento, con talenti giovani che vogliano impegnarsi a fondo; credo che disporre stabilmente di un’orchestra come la Sinfonica di Milano sia un boccone assai ghiotto per un giovane direttore che voglia costruirsi una carriera artistica importante su basi solide, senza dover svolazzare da un continente all’altro con la superficialità che caratterizza oggi il “mercato” della musica!

C’è anche un problema di pubblico. È noto che l’Auditorium ha fidelizzato un vasto pubblico che gli riempie quasi sempre la sala ed è prodigo di applausi (e anche di urla da stadio, ahimé) per i suoi beniamini. Ma non mi illuderei sulla tenuta di questo pubblico che ovviamente va acculturandosi e che dunque pretenderà sempre di più. E il pubblico è una di quelle cose che, se per disgrazia la si perde, è molto difficile da riacquistare!

Paolo Viola

 

 



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