7 novembre 2023

CONTROCANTO MILANESE

Milano cosa sarà?


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L’insegnamento, la trasmissione dei saperi, a volte la corrente di pensiero, necessita di un momento di convergenza forte, tra chi ascolta e chi parla. Quanto più avviene con rigore tanto più si compie la trasmissione definitiva dei concetti (o precetti) tra persone.

A Milano ci sono molte voci che si ergono al livello dell’insegnamento e certamente molte di queste sono autorevoli, attendibili, ascrivibili tra le migliori menti meneghine se non italiane e internazionali, ma è il pensiero dominante non sempre autorevole che sovrasta, si annida in certi ambienti e ciò va dedotto come dominio del pensiero comune, in quanto mediocremente rassicurante.

Se andassimo in dietro nel tempo, ci sarebbe da stare tranquilli sulla gerarchia del verbo, tant’è la classica piramide in cui l’intellighenzia si trovava al vertice appena sotto l’aristocrazia vestita di democratica indulgenza, la quale prosperava e sovrastava tutto e tutti e che oggi non è cambiata in una Milano internazionalizzata e tuttavia medievale, gentrificata e talvolta invasa da dialetti se non lingue, per la verità poco amate dai più. In questo c’è una parte dei milanesi che non appare preoccupata, se mai attenta a non doversi difendere dai suoi stessi concittadini a tutela dei propri privilegi.

Questa visione, probabilmente contaminata dal vissuto, trova conforto in alcuni segnali che si riconoscono solo se dotanti di un certo tipo di pensiero nella Milano del XXI secolo in cui tutti sono ben accettati e accolti nell’ottica dell’utilità socioeconomica, sempre se accondiscendenti o silenti, come vincoli di una par condicio tra benestanti e sofferenti obbligatoriamente da sottoscrivere, pena l’oblio forzato, l’isolamento preventivo a tutela di qualcosa, qualsiasi cosa che possa ascriversi alla radice meneghina. Tuttavia Milano accoglie e promuove chi si rimbocca le maniche.

I segnali di cui sopra, sono chiari e sottomessi all’approvazione di chi insegna a lavorare per Milano pro domo sua.

Ma cos’è Milano? Chi è Milano? Certamente non c’è attendibilità nella mia ridotta milanese, ma forse dare la parola a degli scrittori aiuta, dunque leggiamoli.

Ci prova Lucia Tozzi nel suo libro ”Costruire Milano”. “La capricciosità del capitalismo contemporaneo, di cui ha a lungo parlato David Harvey, che agisce in maniera selettiva e imprevedibile, creando una nuova mappa dei territori e disegnando nuovi squilibri sociali e territoriali, privilegiando a volte in maniera casuale un luogo piuttosto che un altro. Qui, dunque, le origini della Milano attuale, in cui predomina una sorta di monocultura dell’immobiliare, alimentata e riprodotta dalla rincorsa continua a sempre nuovi “Grandi Eventi”, e in cui si accentuano le differenze di reddito tra quartieri, mentre giovani e abitanti a basso reddito vengono sfrattati, espulsi e ricacciati sempre più lontano dalle zone centrali, verso i comuni della fascia più esterna, che assurgono a nuova periferia. Milano cresce, ma macina abitanti, ne attira nuovi e ne allontana vecchi, in un incessante turn-over. Sono fenomeni rilevanti che dovrebbero alimentare qualche riflessione che è stata sinora parziale o completamente assente.

Milano o la città. Così, attraverso frammenti di esistenze eccentriche, che sono poi le giornate di persone appartenenti alla nuova realtà urbana, “vogliono rappresentare che cosa vuol dire vivere insieme in una città oggi. E che cosa vuol dire vivere una città nell’epoca in cui sembra smarrita la possibilità di riconoscerne un’identità”. Eppure nei personaggi diversi, ma accomunati dall’accettare come ordinario lo straordinario della loro vita cittadina, giunge comunque e si fissa l’atmosfera unica dei luoghi abitati dai caratteri.”.

Giorgio Fontana (premio Campiello 2014) raffigura «la capacità di Milano di essere più reale di ogni sogno o perversione» attraverso l’estate «atlantica» di un giovane sbandato, l’estate degli sgomberi dei centri sociali. Per Helena Janeczek la metropoli emerge come un ologramma colorato dagli sprazzi di conversazione di un ragazzino che parla dentro un gioco elettronico con un partner che sta lontano, a Caltanissetta, e, a poco a poco, diventa presente e amico più dei compagni vicini. L’ingegnere slavo di Di Stefano confessa al commissario la sua assurda ribellione perché «Milano non era più il paradiso grigio che avevo conosciuto all’arrivo». L’esperienza urbana del supplente di Marco Balzano culmina nell’incontro con un alunno ricoverato in una casa alloggio per pazienti psichiatrici. Neige De Benedetti trova la città in un tram perché «l’unica cosa di cui si parla a Milano è partire». E «dove voi siete io sono già stato, dove vado io è dove voi non arriverete» conclude il suo racconto il fuggitivo di Francesco M. Cataluccio: una specie di eterno viandante, profugo siriano mezzo ebreo che nelle architetture pretenziose della stazione rivive luoghi percorsi da generazioni passate.

Dunque una Milano secondo i punti di vista, le esperienze, le aspettative ma soprattutto la realtà possibile.

Per quanto possibile va fatta una operazione lontana da Social e influencer intesi come espressione del pensiero veritiero a prescindere, probabilmente dominante su menti forse eccessivamente rilassate o semplicemente spente. Allora leggiamo una mente accesa.

 Ecco una descrizione di Milo De Angelis, uomo della periferia, da: “Metropoli e pensiero tragico” di Mario Borio.

“La metropoli di De Angelis è Milano, rappresentata soprattutto come una vasta, oceanica periferia che si trasforma in un vertiginoso teatro esistenziale dove ogni cosa è percepita per «innestare il mondo elegiaco in quello tragico», per «far sì che un paesaggio diventi un destino». In De Angelis, infatti, la metropoli non è soltanto quell’eterogeneo agglomerato, dominato da un’essenziale e drammatica disomogeneità, che caratterizza l’esistenza plurima, multispaziale, multicentrata e, al tempo stesso, monadica del vivere contemporaneo. In questa Milano c’è soprattutto la radice figurativa del pensiero tragico che è la molla di una poesia ferita dal dolore della vita, ma anche instancabile portatrice di domande che non concedono mai al nulla di esistere come un apriori assoluto e che non si sottomettono al nichilismo come fosse un destino predeterminato.”.

Appare chiaro che la Città porta a riflettere talvolta profondamente, e questo lo si tocca con mano, ogni giorno che si decide di vivere a Milano, sia da cittadini che da pendolari, sia da studenti che da lavoratori.

 Una Milano che sa essere effettivamente bella, avvolgente e unica ma cannibale.

Mi sono chiesto spesso quale sia l’essenza della cittadinanza milanese. Forse tutto è racchiuso in estrema sintesi in queste parole di una canzone:

“Lassa pur ch’el mond el disa /ma Milan l’è on gran Milan), canzone milanese scritta in musica da Giovanni D’Anzi e in parole da Alfredo Bracchi nel 1939.

Andrebbe pensato un destino possibile, una Milano di domani che sarà come vorranno che sia.  Dunque l’espressione del mio pensiero è necessariamente condizionata e contaminata da quella mancanza di milanesità, da quel DNA che oggi risiede solo nelle classi sociali barricate in ambienti protetti dalla politica e dalla società di mezzo, tenuta in vita dal sistema con il preciso intento di avere una distanza di sicurezza dalle vicende del vulgo.

Ma con quale prospettiva si potrà davvero sperare, dare continuità a chi ci succederà in questa Milano normale dove viviamo noialtri? Come essere pronti ad ammettere che, anche se vincenti si è fallito, dando voce a chi parla per conto terzi. Per questo ci troviamo in una zona incerta dove si naviga a vista.

Nel pensiero complesso della massa, si annida anche la predisposizione a tollerare la sofferenza, grazie alla resilienza che aumenta con il passare degli anni in una periferia del pensiero oltre che fisica, nonostante si compiano percorsi di eccellenza civica, o altro. Dunque un mio punto di vista potrà essere atteso o rifiutato perché divergente, tuttavia esisto e dunque peso, gravo come tanti su una piattaforma esistenziale in equilibrio precario che altri controllano per me, nonostante io sia sveglio, o meglio non completamente addormentato. “Queto non inerte” del Dannunzio.

Ho conosciuto delle persone, ho parlato con loro delle mie ragioni e loro con me, erano donne e uomini che hanno fatto e fanno tanto per il bene comune. Infondo quasi ingenuamente, crediamo di poter cambiare qualcosa, sentiamo di potercela fare. Ma quale realtà possiamo considerare realizzabile? Ci sono giovani politici che si muovono nei municipi, sono le promesse di un futuro migliore e si spera prendano il posto degli attuali.

Siamo una civiltà incompiuta che non riconosco, e nonostante abbia anche ascoltato in modo attento, la catechesi dell’ostentazione fatta saggezza, essa mi deprime e al tempo stesso mi stimola, unica via d’uscita per un controcanto che solo qualcuno gradisce e approva, nella speranza che sia il cittadino qualunque a muovere l’opinione e talvolta la storia. Eppure questa Milano è giovane e maturerà se sarà nelle mani dei giovani. Si riverbera quel: “andiamo avanti “.

Ma dove?

“Quam ob rem ut improbo et stulto et inerti nemini bene esse potest, sic bonus vir et fortis et sapiens miser esse non potest. Nec vero cuius virtus moresque laudandi sunt eius non laudanda vita est, neque” *, diceva Cicerone in Paradoxa storicum.

Gianluca Gennai

*(Pertanto, come nessun uomo malvagio, stolto e ozioso può avere benessere, così l’uomo buono, coraggioso e saggio non può essere infelice. Né tuttavia può non vivere colui la cui virtù e il cui carattere meritano lode).

 

 



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