3 maggio 2022

MILANO E LE ALTRE

Un primato non esente da rischi


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Dove va Milano? Che ruolo ricopre oggi in un sistema paese sempre più sgangherato, che da tempo ha cominciato a perdere pezzi? Rispetto a qualche decennio fa, a una epoca precedente della storia economica, si sono staccati due dei vagoncini del treno Norditalia, che rappresentano quel che resta di quello che fu il potente “triangolo industriale”: il primo vagone a rimanere indietro fino a sparire all’orizzonte è stato Genova, shrinking city già dagli anni Ottanta, imprigionata in una spirale involutiva dovuta alla crisi del suo sistema industriale-portuale. Una crisi che la ha portata a diventare la “Detroit” italiana, il simbolo di una riconversione industriale fallita e al tempo stesso realtà urbana sprofondata in un declino demografico ed economico da cui non si intravede ritorno, al di là delle vacue retoriche recenti sul “modello Genova”. 

Poi si è staccato il vagone Torino, per una serie di errori e di scelte amministrative sbagliate. L’asse Milano-Torino ha retto ancora per qualche decennio, e per tutti gli Ottanta e Novanta le élites politiche locali hanno ancora accarezzato il sogno di una ritrovata relazione tra le due città, che andasse oltre e al di là dei fasti orami tramontati dell’industrialismo. Ma quelle che erano già all’interno del “triangolo” le diverse vocazioni specifiche delle tre città (a Genova le attività portuali, a Torino l’industria fordista, a Milano la finanza e i servizi) hanno esercitato la loro influenza e hanno tracciato percorsi sempre più divergenti per i tre grandi centri. La storia della “Torino dopo la Fiat” sarà molto diversa da quella della “Milano dopo la metropoli” e da quella di Genova dopo l’Italsider e l’Ansaldo meccanico-nucleare.

Per Torino, città di industria pesante, è infatti risultato più difficile che per Milano individuare vocazioni nuove. Le scelte politiche si sono fatte sempre più complesse e gravide di conseguenze, dato che i mutamenti economici e sociali in atto hanno indebolito i ceti medi e aumentato la divaricazione fra ricchi e poveri. Torino si è mossa su di una direzione (turismo, cultura, Grandi Eventi) che ha finito per allontanarla da Milano, sia sotto il piano economico sia sotto quello della organizzazione degli spazi. 

I limiti del progetto turistico-culturale torinese nel corso del tempo si sono fatti sempre più evidenti, in termini di limitata ricaduta economica e di insufficiente trasformazione della città.  Nella guerra delle città, nella competizione inter-urbana prodotta dalla Globalizzazione, in cui alcuni centri urbani vincono e si affermano come riferimento a livello internazionale, mentre altri perdono, e divengono periferici, Genova e Torino sono dunque risultate sconfitte. Milano invece, pur in mancanza di una chiara specializzazione, metropoli in cui “si fa un po’ di tutto”, continua a godere di una rendita di posizione che la vede luogo di accesso privilegiato dei grandi capitali interessati all’Europa meridionale. Mentre Genova è da tempo affondata, e ormai ridotta a città piccola e marginale, e Torino per le sue scelte “localiste” si va in un certo senso provincializzando, Milano continua a proiettarsi sul piano internazionale.

Non a caso Milano ha ripreso negli ultimi a crescere anche sotto il profilo demografico (centomila abitanti in più in pochi anni), mentre Torino ristagna e pare a volte quasi una “sorella minore” del capoluogo lombardo, e Genova invece ha subito un quasi dimezzamento della sua popolazione nel giro di pochi decenni. Milano ha resistito principalmente in virtù del suo essere una gateway city, una città “porta di accesso” a tutto il mediterraneo per i grandi capitali internazionali.

Meglio non va con le altre grandi città che formano quella che dovrebbe essere l’armatura urbana del paese: Roma, Napoli, metropoli “mediterranee”, dai tratti sempre meno europei, alle prese con problemi enormi di tipo organizzativo, economico, spaziale. A Roma, da sempre metropoli terziaria e turistica, gli ultimi anni tra pandemia e guerra sono stati terribili sotto il profilo economico, con il collasso del piccolo commercio e la devastazione del sistema dell’ospitalità, a Napoli le varie quarantene hanno inflitto un colpo durissimo ai lavoretti a giornata e al sistema dell’economia sommersa su cui si regge in buona parte la città, facendo crescere il numero dei poveri e le famiglie in grave difficoltà. 

Anche l’ipotesi delle “reti di città”, popolare negli anni Novanta, secondo la quale le città medio-piccole del Nord sarebbero  progressivamente andate a integrare e a sostenere l’economia del capoluogo lombardo, appare oggi scarsamente fondata, e la stessa regione urbana milanese si mostra molto disomogenea e poco strutturata funzionalmente.

Un panorama urbano nazionale dunque in cui Milano appare sempre più sola, con relazioni che la legano maggiormente alle economie centro europee che al resto del paese. Ma la stessa Milano, pur rimanendo di gran lunga la città più ricca d’Italia appare fragile, e la sua ricchezza è sempre più dovuta a settori come quello immobiliare, estremamente discontinui nel tempo, ai capricci di capitali stranieri e di fondi sovrani. Tanto più precaria appare la ricchezza raggiunta se se ne considera la ricaduta e la distribuzione: mentre in città si acuiscono e si esasperano le disuguaglianze sociali, la “monocoltura” dell’immobiliare espelle giovani e ceti medi dal centro verso le periferie creando una città socialmente e spazialmente polarizzata. 

Dati recenti ci dicono che i differenziali di reddito tra i diversi quartieri sono cresciuti in maniera esponenziale, con rapporti che spesso superano il 4 a 1. Vale a dire che nelle zone centrali il reddito medio è quattro volte quello delle periferie. Così quella che è ancora oggi e in maniera incontrastata la capitale economica del paese sconta da una parte il suo relativo isolamento, dall’altra sperimenta una inedita fragilità del suo modello di sviluppo e di organizzazione socio-spaziale. Ma è preoccupante, tramontato da tempo e per sempre il triangolo industriale, e dissoltesi in buona parte negli anni anche le prospettive di “reti di città”, il combinarsi di due fattori: l’isolamento sul piano nazionale e gli elementi di fragilità interna, fattori che, nonostante il suo perdurante ruolo di nodo internazionale, espongono Milano a rischi che non depongono certo a favore del suo futuro…

Agostino Petrillo

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  1. marcello balboArgomentazione interessante, ovviamente ben articolata e scritta, e forse condivisibile. Tuttavia non sfugge al vizio assai diffuso di portare ben pochi elementi fattuali, in verità praticamente nessuno, a sostegno di ciò che viene affermato. Nemmeno dei "dati recenti", cui viene fatto riferimento, viene indicata la fonte. Per affermare che Milano è "fragile" e la sua ricchezza è "sempre più dovuta a settori come quello immobiliare", occorrerebbe fornire elementi concreti, altrimenti non si capisce su che basi poggino simili affermazioni (cosa significa "sempre più"?), per non parlare di che cosa si debba intendere per "fragile".
    4 maggio 2022 • 12:32Rispondi
  2. Giancarlo LizzeriOddio, mi pare sia un'analisi un pò limitata. Gran parte del Veneto non è certo in regresso, anzi. Così come gran parte dell'Emilia-Romagna. Stesso dicasi per Trentino e Aldo Adige. Firenze ha ripreso a correre bene e alla grande. Buona parte della Toscana pure. La parte sud-est della Puglia, Salento in particolare, sta bene. Catania e Ragusa (provincie) non stanno bene ma stanno meglio. E Milano non è proprio da sola in Lombardia. Brescia (provincia più che città) sta assai bene, Bergamo (provincia e città) pure. Dimenticarsi che l'Italia è fatta solo in piccola parte dalle città con più di 500.000 abitanti non mi pare il massimo. Su Milano, poi, capisco che chi insegna ad architettura abbia l'occhio specializzato sull'immobiliare, ma Milano vive prevalentemente di ben altro. Certo: esiste una grande differenza a Milano tra centro e periferia. Ma finalmente Milano sta incominciando ad essere un pò policentrica. E' obbligata a farlo se vuol crescere, ma valutare questo inizio di sano policentrismo sarebbe forse pure interessante. La popolazione di Milano, vien detto nell'articolo, sta crescendo, anche di parecchio. Di sicuro non sono tutti ricchi. E non molti lavorano nell'immobiliare. Chi sono?
    4 maggio 2022 • 16:31Rispondi
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