17 ottobre 2023

TEMPI DELLA POLITICA, TEMPI DELLA SOCIETÀ

Dopo la lunga stagione dei rinnovi congressuali, Milano attende la politica


Copia di Copia di rification (1)

In questi giorni prendono forma gli organi dirigenti del PD metropolitano e regionale. Faticosamente, ma la democrazia chiede impegno, sudore e tempo. O no? I mesi dedicati alla elezione dei segretari di circolo, metropolitano e regionale, e poi alla costruzione di assemblee, direzioni, segreterie e dipartimenti, sono davvero tempo ben speso, mentre i dossier sociali si appesantiscono? Per qualcuno decisamente no, per altri sì, per altri ancora si potrebbe fare di più e meglio.

Chi guarda non troppo da vicino o non troppo da lontano, osserva che il tempo necessario per scegliere le persone alla guida di un grande partito è in linea di principio ben speso: meglio un eccesso di procedura che di semplificazione, piano inclinato che alla fine porta all’ uomo solo al comando. In un’epoca di partiti, e di amministrazioni, “personali”, la qualità della procedura elettiva democratica deve essere preservata e, se questo chiede tempo, va bene. Non sprechiamolo però, che Milano corre veloce.

E dunque, si potrebbe fare più rapidamente e meglio e come? Se la scelta dei gruppi dirigenti in democrazia si trova al punto magico di incontro (aleph) tra consenso e competenza, più che correre bisogna fare bene. Ma qui sta il punto, anche per il PD che ha i suoi problemi.

La questione di fondo che inquina pesantemente la selezione dei suoi gruppi dirigenti si chiama “listini bloccati”, l’opprimente criterio elettivo che toglie all’iscritto la possibilità di valutazione e scelta (o revoca) dei componenti dei direttivi e coordinamenti, lasciandola al gioco opaco delle contrattazioni tra correnti e subcorrenti.

La selezione dei dirigenti (rappresentanti) è sottratta al consenso dei rappresentati (iscritti), che, poveretti, quando devono eleggere il Segretario Nazionale sono posti sullo stesso piano degli elettori (se va bene), mentre quando eleggono i segretari di circolo, metropolitani o regionali, non hanno alcun potere per eleggere direttivi, direzioni e coordinamenti, “pre-scelti” per loro conto dai candidati segretario ed inseriti, con malizia sapiente, in listini preconfezionati ad arte proquota. Chi sta nei primi posti avrà maggiori chance e questa sua posizione sarà determinata più per fedeltà al capo che per merito riconosciuto dalla base. Il danno che ne deriva alla qualità del processo democratico, alla validità del gruppo dirigente ed infine alla stessa capacità politica del partito è pesante.

La preferenza, su cui incombe la damnatio memoriae dagli anni ’70, è negata in radice. Invece che il consenso della base, vige da decenni la cooptazione coatta dall’alto. Accade così che il processo democratico elettivo nel PD venga profondamente distorto, perpetuando, anche nell’epoca di Elly Schlein, la presa sorda, ma non meno feroce, delle correnti sulla vita del partito. La visione alternativa di un partito “poroso” verso l’esterno e venato di pratiche referendarie resta per ora solo visione.

Correnti che non sono morte, ma piuttosto si stanno riorganizzando nel nuovo tempo. Così, si scorgono in filigrana, dietro la foto dell’abbraccio Capelli – Roggiani, le dinamiche di posizionamento o riposizionamento dei diversi mondi del PD metropolitano: componenti più o meno risorgenti della sinistra storica, nuovi dirigenti schleininiani, franceschiniani,  vecchi e nuovi supporter di Silvia Roggiani, vera vincitrice di questa tornata elettorale:  mentre prende per sé senza neppure competere la segreteria regionale, mantiene una forte base di consenso e relazioni nel PD metropolitano. Consenso che domani potrà diventare condizionamento? La logica politica non lo esclude, anche perché bisognerà vedere la qualità e solidità della segreteria di Alessandro Cappelli, finora suo vice. Si vedrà.

In ogni caso, il nuovo segretario dovrà affrontare diverse questioni nodali e delicatissime, la prima delle quali essendo il rapporto con Beppe Sala.

Il sindaco è uscente.

Non si deve misurare con le insidie della rielezione nel 2026 e tende ad essere sempre più napoleonico, solitario nelle scelte, determinato nel sottrarsi, non solo alle logiche partitiche, ma anche all’ascolto ed alla mediazione con le altre istituzioni cittadine (Consiglio Comunale, questo fantasma?) e settori della società civile, accrescendo anche nei toni una già rilevante autoreferenzialità. Il fatto però è che questo modus operandi sembra trovare punti di frizione con alcune parti della società milanese. Forse un campanello d’allarme verso le prossime comunali ed una domanda politica essenziale: fino a che punto conviene al PD condividere o tacere sulle scelte e le esternazioni di Sala?

Non è solo questione di contenuti, “in modus est rebus”.

Se su molte questioni di grande sostanza (mobilità, casa, ambiente..) Alessandro Capelli ha mostrato il desiderio (si attendono le proposte) di ritrovare un PD capace di esprimere visione ed iniziative non necessariamente sovrapposte a quelle del Sindaco, negli ultimi tempi alcuni toni di Sala non sono sembrati del tutto in sintonia con la sensibilità del suo socio di maggioranza. Non si può non osservare il silenzio del Partito democratico milanese sulla questione S.Siro, dove il Sindaco contesta la Sovrintendenza, innervosito da un gioco dove il cerino resta fermo tra le sue dita e scotta sempre più.

E diversi nel PD non sono stati silenti di fronte al forte contrasto dialettico che ha opposto il Sindaco ai dirigenti della Comunità Ebraica di Milano. I toni della polemica, prima ancora dei contenuti, sono sembrati almeno inopportuni. Addebitare pubblicamente una certa vis polemica di Jarach o Meghnagi ad una loro maggior vicinanza al centrodestra non è apparsa, in questi giorni tragici, una scelta prudente e ben ponderata.

Si potrà poi discutere fin che si vuole della Torre da cui il nostro Direttore intende gettare la povera Arianna Censi, ma che le cose non vadano bene sul fronte della mobilità e della qualità di vita del cittadino è un fatto, che non può essere cancellato dall’entusiasmo di albergatori, ristoratori e baristi, beneficiati da un turismo alluvionale quanto sempre men governato.

Milano appare sempre più polarizzata tra chi (minoranza) riscuote il ricco dividendo del post covid e della “valorizzazione delle aree immobiliari pubbliche” e chi (maggioranza) resta schiacciato tra aumento del costo della vita e diminuzione della sua qualità. Le “piazze tattiche”, pur gradevoli per alcuni residenti, sono emblematiche di una gestione più attenta al marketing politico che alla soluzione delle questioni di fondo dello sviluppo urbano. Il limite a 30 Km orari, quando non si riesce a far rispettare quello dei 50, appare davvero un parlar d’altro. L’elenco potrebbe ampliarsi, ma non è cosa utile. Vale semmai la pena di sottolineare una volta di più la stretta relazione tra un certo superomismo dei sindaci e la legge Bassanini.

Il 2026 è lontano? Forse, però si avvicina e spinge il tempo della politica a rimettersi al passo con quello della società e dei suoi malesseri. Le derive di crisi del consenso partono in sordina, da lontano, ma poi arrivano e fanno male.

Chiusa finalmente la lunga stagione dei rinnovi congressuali, tocca prima di tutto al Partito Democratico di rimettere la politica al passo con le urgenze del tempo della società, ponendosi orecchio attento (ma davvero però) al malessere che serpeggia in città, e magari, mentre innova visione e contenuti, prova a sistemare nelle caselle più adeguate, e con reciproco vantaggio, il personale politico che dal 2026 sarà in esubero a Milano.

Beppe Sala, uomo avveduto, ci pensa, forse è meglio che ci pensi per tempo anche il PD.

Giuseppe Ucciero



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