2 maggio 2023

MEGLIO IL FUORISALONE

Scoperte da "riscoprire"


Copia di rification (5)

Il Salone del mobile insieme con i suoi annessi e connessi (leggi Fuorisalone) gode, a porte chiuse, al pari di altri eventi del genere, del trionfo (o del trionfalismo) dei numeri. Come per il raccolto annuale delle patate: si pesa, molto meno si giudica del pregio. La cernita verrà dopo. Il Salone, passati i sessant’anni, avrebbe attirato trecentomila visitatori (più quindici per cento rispetto all’anno scorso), insieme con il Fuorisalone avrebbe disperso in città circa duecento milioni di euro a beneficio di albergatori, baristi, ristoratori, locatori tipo airbnb (una volta si diceva “affittacamere”, protagonisti di tanti film di guerra e dopoguerra: memorabile Vittorio De Sica, il conte Max, perennemente in ritardo con il pagamento della pigione).

Leggiamo ancora e trascriviamo: “Il Salone del Mobile Milano 2023 supera le aspettative… La sessantunesima edizione ha visto la partecipazione di più di duemila brand espositori, tra cui 550 giovani designer da 31 Paesi e 28 Scuole e Università di design. In termini di affluenza di visitatori, le presenze della sessantunesima edizione abbracciano ben 181 Paesi. Particolarmente significativo il 65 per cento di buyer e operatori di settore provenienti dall’estero. La Cina è tornata a essere il primo Paese dopo l’Italia, seguita da Germania, Francia, Stati Uniti, Spagna con Brasile e India a pari merito. Oltre 5.400 i giornalisti accreditati, il 47 per cento dei quali provenienti dall’estero”.

Tutto ciò ci rende felici, perché sappiamo che il settore, cioè la filiera legno-arredo, conta assai nell’economia del paese: vale (dati di Federlegno) 49 miliardi di euro (4,7 per cento del manifatturiero italiano), di cui 18 miliardi di euro destinati all’export, con settantamila imprese e quasi trecentomila addetti. Il pullulare milanese di visitatori potrebbe essere la rappresentazione di questa fortuna (crescita nel 2022 grazie al superbonus, rallentamento in questi mesi), anche se stupisce tanto entusiasmo popolare, italiano e straniero, per l’industria del mobile e per il design, per installazioni e suppellettili varie, in una panoramica che sa di affari e di stravaganze, di lavoro e di intrattenimento.

Abbiamo letto “primavera della creatività”, “il calore della gente del mondo ha riempito Milano”, “test definitivo della rinascita”, “invasione festosa”, “indotto economico”, “la gioia di stare in coda”, “finito il design toccherà al calcio con il doppio derby europeo”, “archiviato il Covid”. Le code ci sono state, lunghe, anche se non quanto quelle per il vaccino, e già s’odono i clamori per il doppio derby di Champions.

Ci sono i critici, ovviamente: c’è chi si lamenta perché c’è troppa roba da vedere e non è riuscito a vedere tutto. C’è chi propone di allungarlo il prossimo anno di qualche giorno. C’è chi esalta persino i miracolosi benefici del Salone sulla viabilità: “In auto si girava meglio”.  Nessuno protesta per i prezzi di un panino o di un letto qualsiasi, saliti ormai alle stelle. Nessuno critica la “merce” esposta…

Eppure qualche considerazione sarebbe utile a proposito della qualità di ciò che si produce e della attendibilità di chi osserva e, magari, giudica. Il ricorso costante, imperterrito, alla definizione di “design” lascia alle volte perplessi, effettivamente. Ma forse chiediamo troppo, perché viviamo nell’epoca della comunicazione e la comunicazione non solo “comunica”, ma anche distorce, affligge, impone, orienta secondo il maistream o il senso comune o la moda, in virtù del marchio, per le Nike come per il Salone, che è in fondo una fiera, al quale non si può chiedere troppo al di là dei buoni incassi e delle alte prenotazioni. Per questo le possibili personali sensazioni di noia e di superfluo, di eccesso e di ripetitività, di gratuite fantasie di presunta modernità, contano poco. Stiamo al gioco, insomma, senza arricciare il naso. Ad altri il compito di tracciare bilanci critici di una lunga stagione ormai, che ha vissuto tante crisi, anche della cultura e del gusto, in direzione della vacuità non certo del rigore.

Piuttosto mi domando come la città euforica del Salone, la città che vive una settimana, si rifletta nell’altra città, non solo nella città “estranea”, ma anche nella città futura. Che cosa possa lasciare. Sicuramente, lascerà una immagine e una eco, più efficaci dei manifesti della Santanchè. Un invito al turista e Milano è diventata una città turistica, una distesa di tavolini per mediocri colazioni e una successione diffusa di camere d’affitto, che smantellano lo stesso “valore” residenziale di strade e quartieri (non parlo di euro al metro quadro, ma del rapporto tra persone, lavori, servizi, funzioni vitali, della sopravvivenza insomma di una comunità…).

Forse siamo di fronte ad una marcia trionfale, che solo il nuovo Covid o qualcosa del genere, tipo una crisi bancaria o una bolla immobiliare, potrebbe fermare. Una marcia inarrestabile nella trasformazione culturale e sociale di Milano, alle prese con la quale nulla è consentito obiettare: i soldi valgono molto di più delle nostre obiezioni. E’ il trend, anche questo “trionfalistico”, imposto dall’Expo in poi, cui non si sono date correzione o compensazione. Il modello alternativo, quando esiste nelle sue imperfezioni, pure nelle sue idealità, lo sostengono in pochi: ma è compito delle minoranze guardare un poco più in la del presente.

Torniamo da capo, però: che città ci lasciano il Salone o il Fuorisalone? Smontati gli stand, ripartiti i designer, rincasati turisti e curiosi…

Di questa storia, c’è un merito che andrebbe ricordato. Anche quest’anno il Fuorisalone ha “scoperto” edifici altrimenti ignorati o comunque chiusi o addirittura impenetrabili (a molti, almeno): da Palazzo Broggi a Palazzo Serbelloni, dalla Palazzina Appiani a  Palazzo Orsini, a Palazzo Visconti,  eccetera eccetera. Lunghe code per una visita, quando l’attenzione è più attratta dalle mura che dagli oggetti esposti. Penso però soprattutto a due sedi in particolare, sottratte alla polvere e alla oscurità: l’ex Macello di Porta Vittoria e l’Istituto Marchiondi, l’immenso capannone di ingegneria industriale e l’ex scuola (nata per ospitare ragazzi difficili) esempio di architettura brutalista. Una sorpresa entrambi per chi li ha visitati: colpiva la dimensione del primo, il suo impianto, le attrezzature che potevano suggerire anche la durezza fino alla tragicità del lavoro lì dentro, una sanguinosa catena di montaggio, del secondo poteva emozionare il senso della rovina di una struttura potente, persino aggressiva.

Dell’opera di Vittoriano Viganò, costruito tra il 1953 e il 1957, in stato di abbandono dalla fine degli anni settanta, di tanto in tanto si parla in vista di un riutilizzo. Per ora regge il cemento armato, la vegetazione dilaga, i pavimenti sono tappeti di calcinacci. Per l’area intera (quindici ettari) dell’ex Macello di Porta Vittoria si conosce un progetto, si sono viste immagini già popolate di allegre famigliole e da severi studenti, perché lì troveranno spazio molte case e pure la scuola di design, tanti alberi e pure un laghetto…

L’anno passato il Fuorisalone aprì ai curiosi alcune palazzine dell’ospedale militare di viale delle Forze Armate, di fronte alla gigantesca Piazza d’Armi, una quarantina d’ettari di alberi e prati, desolatamente reclusi tra alte mura. Luoghi misteriosi e sorprendenti. Delle palazzine dell’ospedale militare si poteva cogliere l’eleganza, la sobrietà, il gusto liberty, persino la raffinatezza del disegno dei pavimenti. Nelle edizioni precedenti era capitato alle fabbriche di Lambrate.

Grazie al Fuorisalone si sono aperte alcune porte, sono stati spalancati alcune cancelli, sono stati superati persino reticolati e cartelli intimidatori: “Zona militare”.

Ma, concluso il Fuorisalone, siamo convinti che per lungo tempo non si parlerà più delle palazzine militari e neppure dell’istituto Marchiondi. Si saprà dell’ex Macello di Porta Vittoria, perché quell’area è percorsa dal vento della speculazione edilizia, che non criminalizzo (quanta parte di Milano si potrebbe ascrivere al genere “speculazione edilizia”) e che riconosco come un fondamentale propulsore.

Ma qui, da inesperto in materia, vorrei aggiungere una considerazione generale, perché da banale osservatore, con qualsiasi mezzo io mi muova (il treno è il più efficace da questo punto di vista), potrei compilare una chilometrica lista di “abbandoni”. Non so se qualcuno abbia mai fatto il conto dei metri quadri o dei metri cubi che giacciono dimenticati. Mi chiedo se una mappa non sarebbe utile insieme con una regia pubblica che magari spingesse qualcuno al recupero, risparmiando qualche ettaro e qualche gru. Oppure, avendone la forza, si vada alla pulizia, cioè alla demolizione.  Macerie, ruderi, scheletri, palazzi interi ormai rivestiti solo di polvere non giovano alla città.

Oreste Pivetta



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  1. Vincenzo LoconsoloTrovo condivisibili molte, se non tutte, delle considerazioni esposte nell'articolo, ma soprattutto l'ultima è un tarlo che da anni mi affligge. L'abbandono di molti edifici non è solo un problema estetico o, in modo molto più preoccupante, un problema di consumo di suolo. E' anche un problema di sicurezza (quanti di questi edifici diventano rifugi "impropri"). Se a tutto ciò aggiungiamo il problema, tante volte affrontato in queste pagine, dell'edilizia popolare abbiamo forse un desolante quadro completo. Ma per non limitarmi alle "lamentele" avanzo una proposta: si potrebbe iniziare dal costruire un database degli edifici abbandonati magari, almeno inizialmente, solo con indirizzo e qualche foto? Potrebbe essere questo sito ad ospitare il database? Io mi offro volontario per la segnalazione dei casi a mia conoscenza.
    3 maggio 2023 • 08:27Rispondi
    • Oreste PivettaUna foto e un indirizzo per un "catalogo dei beni dispersi ".
      3 maggio 2023 • 10:43
  2. Roberto PerettaGrazie, Oreste. Non mi sembrano del resto queste tue osservazioni in contrasto con - casomai in supporto a - quelle di Stefano Boeri sul Sole di domenica l'altra in tema di rapporto fra Salone e FuoriSalone. In rete non mi pare ci sia il loro articolo. Mi riduco spesso a leggere carta :-)
    3 maggio 2023 • 21:31Rispondi
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