21 marzo 2023
CACICCHI EX LEGE
La deriva personalistica dell'ordinamento regionale e locale
21 marzo 2023
La deriva personalistica dell'ordinamento regionale e locale
L’invettiva della neo-segretaria PD verso “cacicchi e capibastone” colpisce per l’espressione diretta e le possibili ripercussioni indirette sul futuro del tormentato partito. L’autocritica appare ferma e spietata proprio sul punto debole, etico prima che politico. Riguarda le motivazioni e le modalità del “fare politica” prima che gli obbiettivi e gli effetti della stessa.
Intanto va rilevata la differenza tra le due categorie prese audacemente di petto. I cacicchi “nel linguaggio della politica e del giornalismo svolgono l’esercizio personalistico del potere in ambito locale” (Treccani), mentre i capibastone “nell’organizzazione mafiosa sono a capo di una organizzazione territoriale limitata” (idem). Quest’ultima definizione certamente non va presa alla lettera, e tuttavia la metafora esprime efficacemente sdegno e rivolta morale.
Anche l’attribuzione di “cacicchi” non è da sottovalutare, trattandosi di “esercizio personalistico del potere” in evidente contrasto con gli elementi fondanti di una democrazia di partito: collegialità, trasparenza, partecipazione.
Peraltro entrambe le categorie in esame hanno una caratteristica comune che, qualora si volesse passare dalle dichiarazioni ai fatti, potrebbe fornire la chiave per operare un’effettiva svolta. Le sopra richiamate definizioni Treccani citano infatti in un caso “l’ambito locale” e nell’altro ”l’organizzazione territoriale limitata”.
Per passare dalla denuncia generica all’agire specifico occorre dunque partire dalla dimensione più prossima, dai “territori” per usare un’espressione ricorrente nel pessimo linguaggio politico odierno (peggio ancora le “praterie” elettorali da occupare!).
Corre allora l’obbligo, per ciascuna istanza di un partito disponibile sulla scia delle “primarie aperte” a contributi esterni, chiedersi se eventualmente anche in casa propria si ritrovino esponenti delle dannate categorie in oggetto. Possiamo dunque sottrarci a tale esame qui a Milano e in Lombardia? Se non altro per sfuggire al NIMBY ovvero al pregiudizio che la malapianta riguardi solamente i giardini altrui.
Un indiziato viene subito in evidenza! Ma bisogna riconoscere che il ruolo che ricopre deriva da una “personalizzazione” insita nella legislazione che, agli albori della seconda repubblica, instaurò l’elezione diretta della carica di sindaco in luogo di quella indiretta da parte del consiglio comunale, allora unico organo elettivo.
In realtà la nuova norma elettorale, perfezionata dalle vituperate “leggi Bassanini”, stabiliva una sorta di bilanciamento dei poteri tra i due livelli elettivi: Sindaco e Consiglio Comunale. Anzi ne definiva la gerarchia: al Consiglio i poteri di indirizzo politico e controllo di merito, al Sindaco (coadiuvato da una giunta collegiale di sua fiducia) la rappresentanza generale e le funzioni esecutive; ed infine all’apparato tecnico-burocratico la responsabilità operativa e gestionale (nonché la verifica formale degli atti).
Caso mai è stata l’insipienza della politica, complementare alla scaltrezza di una burocrazia abile a condizionare gli eletti di primo pelo ai desiderata degli “uffici”, a rovesciare i rapporti. La scelta dei partiti di inviare i propri rappresentanti ritenuti di serie A nelle giunte non elettive, e di serie B nei consigli ha snaturato il ruolo delle assemblee elettive ed esaltato il ruolo personale di un sindaco incoronato direttamente dal popolo!
A seguito della riforma del titolo V° della Costituzione un processo simile ha riguardato le Regioni, con l’elezione diretta dei “governatori”. Ma a completare l’opera è arrivata la legge Delrio con l’istituzione delle presunte Città metropolitane.
Senza ripercorrerne la storia basti citare il brevissimo passaggio documentato dalla registrazione del Consiglio metropolitano del 30 gennaio ultimo scorso. Il punto all’ordine del giorno recita: “Convenzione Quadro tra la Città Metropolitana di Milano ed il Comune di Milano ecc.“ riguardante anche l’attuazione del PNRR, che viene trattato nel giro di 5 minuti, di cui 2 per l’appello nominale, e approvato senza discussione nè obiezioni.
Eppure la domanda da rivolgere al Sindaco di Milano ma anche Metropolitano era ovvia: chi firma la convenzione in qualità di rappresentante legale dei due enti, entrambi dotati di personalità giuridica? Giuseppe Sala da un lato del tavolo e Sala Giuseppe dall’altro? Non è che, come rilevato dalla Corte Costituzionale il 7 dicembre 2021 (sotto la frusta di Sant’Ambrogio!): “L’attuale disciplina sui sindaci della Città metropolitane è in contrasto col principio dell’uguaglianza del voto e pregiudica la responsabilità politica del vertice dell’ente nei confronti degli elettori” ?
Si tratta di un banale esempio da cui si ricava una semplice morale: il cacicco sta in piedi da un lato in forza di legge, dall’altro grazie alla subalternità degli yes-men e di una politica debole ed acritica controproducente pure per l’uomo solo al comando.
Valentino Ballabio
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