19 aprile 2022

LE GRANDI SINFONIE DI BRUCKNER E DI MAHLER ALLA SCALA

Con una coda riservata a due grandi pianisti


viola (1)

banner verde

Nei suoi ultimi concerti, la Filarmonica della Scala ha offerto smaglianti esecuzioni di due grandi capolavori del tardo sinfonismo, a cavallo fra l’800 e il 900, e cioè la Sinfonia numero 8 in do minore di Anton Bruckner, del 1884/87, con la direzione di Fabio Luisi, e la Sinfonia numero 9 in re maggiore di Gustav Mahler, del 1909, diretta da Myung-Whun Chung. Il pubblico sembra aver molto apprezzato entrambe le opere ma, letteralmente incantato da Mahler, non si è lasciato trascinare troppo dall’entusiasmo per Bruckner.

È molto curioso il rapporto del pubblico italiano con la musica di Bruckner; non si sente mai qualcuno che si dichiari fan del compositore austriaco che è sempre stato considerato – contro le sue intenzioni – l’antagonista di Brahms e inopinatamente accostato a Mahler (ma in realtà ci si divide fra “bruckneriani” e “mahleriani” quasi fossero due capiscuola di opposte tendenze e si dice anche che “si nasce mahleriani e si muore bruckneriani”, quasi a pensare che, per apprezzare Bruckner, occorra maggior maturità di quanta ne occorra per apprezzare Mahler!) 

La contrapposizione di Bruckner a Brahms è invece una pagina importante della storia della musica. Fra i due c’erano nove anni di differenza (Bruckner era del 1824, Brahms del 1833) e sono morti quasi contemporaneamente, a Vienna, tra la fine del 1896 l’inizio del 1897; il primo era austriaco e super-cattolico, il secondo tedesco e protestante. Mentre Brahms era introdotto nei circoli musicali europei più importanti dell’epoca – protetto giovanissimo da Schumann, poi per tutta la vita legato alla di lui moglie e grande pianista Clara Wieck – Bruckner al contrario era un provinciale, solitario, vissuto fin da ragazzo all’ombra delle chiese e delle abbazie di cui era il ricercatissimo organista. Bruckner fu coinvolto suo malgrado da Haslink – il potente critico musicale di quegli anni – nella feroce lotta fra wagneriani e brahmsiani ed assegnato prepotentemente alla “cricca neo-tedesca” di Wagner e Liszt. Mentre lui, a Vienna, viveva appartato e dedito soprattutto alla cosiddetta musica sacra, tenendosi sempre in disparte senza partecipare ad alcuna polemica, Brahms arrivò arrogantemente a scrivere che “Tutto ha un limite e Bruckner lo ha superato”! Non era proprio un suo estimatore. 

Venendo invece alla diffusa abitudine di accostare Bruckner a Mahler (che, come si sa, ha una storia tutta diversa: nato in Boemia nel 1860, dunque di ventisette anni più giovane dell’altro, ha vissuto molto poco – morì nel 1911 – e a differenza degli altri era ebreo, battezzato solo per necessità di carriera) è poco comprensibile se si considera che il secondo, noto più come direttore d’orchestra che come compositore (al Teatro dell’Opera di Vienna aveva la stessa notorietà di quella che aveva Toscanini al Teatro alla Scala), quando dirigeva le sinfonie di Bruckner era uso tagliarne intere parti perché le considerava prolisse! 

Nonostante le evidenti differenze fra le vite e i caratteri dei due autori, le Sinfonie di cui stiamo parlando hanno una grande quantità di tratti in comune e in particolare una palese monumentalità e una sofferta spiritualità, nel senso che sono tutte e due profondamente introverse e denotano uno stato di sofferenza o quantomeno un approccio meditativo, religioso, metafisico. Fabio Luisi e Myung-Whun Chung, pur essendo anch’essi profondamente diversi (basta osservarne i gesti, esuberanti e fortemente incisivi quelli del primo, minimali e super controllati quelli del secondo), hanno dato due letture simili, prive di enfasi e tutt’altro che declamatorie. Hanno diretto entrambi con grande libertà espressiva e senza bacchetta (Myung-Whun Chung anche senza spartito) quasi avessero a che fare con un coro anziché con un’orchestra, senza forzare mai i tempi, né quelli veloci né quelli lenti, come per non turbare la concentrazione degli ascoltatori. Molto significativo ed interessante il fatto che entrambe le esecuzioni sono durate ben 90 minuti e cioè molto di più degli 80 (per Bruckner) e 75 (per Mahler) che assegna loro Giacomo Manzoni nella sua preziosa “Guida alla musica sinfonica” (Feltrinelli, 1967). 

Altra vicenda intrigante è la numerazione delle due Sinfonie; entrambe sono le ultime completate dai loro autori poiché entrambi hanno dovuto lasciare incompiuta quella successiva (la Nona per B. e la Decima per M.) a causa dell’approssimarsi della fine della loro vita. Ma il problema del numero 9 – e cioè quello della “Nona Sinfonia” – è legato al timore reverenziale che tutti i musicisti dell’Otto e del Novecento hanno provato nel superare il fatidico numero delle Sinfonie di Beethoven, quasi fosse un sacrilegio o – viste le circostanze – addirittura un magico maleficio!

***

Mi sembra doveroso, oltre alle opere sinfoniche della Scala o meglio della sua Filarmonica, commentare due concerti tenutisi negli stessi giorni al Conservatorio per la Società del Quartetto. Il primo, in cui Pierre-Laurent Aimard ha eseguito i 24 Preludi e le 24 Fughe del secondo libro del “Clavicembalo ben Temperato” di Johann Sebastian Bach, il secondo in cui Andras Schiff ha proposto un “Programma a sorpresa (sic!) annunciato dall’artista sul momento” 

Aimard è uno dei grandi pianisti della scena europea ed è riuscito in un’impresa meravigliosa, quella di restituire ai quarantotto pezzi – scritti in tutte le tonalità possibili e con la continua alternanza fra Preludi e Fughe – la compattezza e la continuità che molti esecutori cercano invano e che molti altri ignorano, o peggio negano, per esaltare una supposta individualità ed unicità di ciascun pezzo. Ne è risultata una profonda ed estatica meditazione, una sorta di astrazione dalla realtà, e c’è da credere che proprio questo volesse Bach, che nelle regole del contrappunto vedeva la bellezza del creato.    

Quanto a Schiff, insieme a molti altri seri amanti della musica colta, mi sono rifiutato di andare ad ascoltarlo, indignato dall’arroganza del “programma a sorpresa”. Come si permette, Sir Andras, di non annunciare il programma del concerto? Come fa a presumere che il pubblico desideri ascoltare lei a prescindere, anziché ascoltare le opere che intende eseguire? È lei a servizio degli autori e degli ascoltatori, o siamo tutti al servizio della sua vanità? 

Spero vivamente che non si ripeta mai più.

Paolo Viola 

Cara lettrice, gentile lettore, se sei arrivata/o qui, c’è voglia e bisogno di dibattito pubblico su Milano, indispensabile ossigeno per la salute della democrazia. Sostienici subito perché solo grazie a te possiamo realizzare nuovi articoli e promuovere il primato dei beni comuni per Milano. Attivati ora!

  

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Sullo stesso tema


9 aprile 2024

VIDEOCLIP: LA MUSICA COME PRODOTTO AUDIOVISIVO

Tommaso Lupi Papi Salonia






20 febbraio 2024

SANREMO 2024: IL FESTIVAL CHE PUNTA SUI GIOVANI

Tommaso Lupi Papi Salonia



20 febbraio 2024

FINALMENTE

Paolo Viola



6 febbraio 2024

QUANTA MUSICA A MILANO!

Paolo Viola



23 gennaio 2024

MITSUKO UCHIDA E BEETHOVEN

Paolo Viola


Ultimi commenti