22 marzo 2022

UCRAINA, TERRA DI CONFINE

Nella storia le radici del conflitto, nella globalizzazione del loro superamento


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Ucraina, terra di confine. Il nome dice di un territorio tra due mondi, volta a volta vicini e lontani. Un confine mobile però, nel reale e nell’immaginario: per alcuni Leopoli divide il mondo russo dall’ovest, per altri provvede il fiume Dniepr ad est.

Nel nome sono le cose, e nel nome sono scritti anche passato, presente e destino del Paese. Terra di mezzo tra la potenza imperiale russa, zarista, sovietica o putiniana, e l’occidente, polacco, prussiano, hitleriano, americano ed europeo, l’Ucraina prende forma nel doppio binario della sua storia, tra genesi dei sentimenti nazionali, derive identitarie, distacchi religiosi, retaggio persistente della pluralità originaria delle Russie, che non sono mai state una ma tre: la Russia di Mosca, la Russia di Minsk (Russia bianca) e la Russia di Kiev, la più antica. 

Un comune bacino linguistico culturale, ma anche un faticoso processo di differenziazione negato in radice dagli Zar, nominalmente di “tutte le Russie”, ma in realtà con una sola Russia nel cuore, ed una sola capitale: Mosca.  Una tensione secolare, una collocazione geopolitica tormentata, che il “secolo breve” ha tradotto in due conflitti mondiali, la guerra civile post ottobre, le spaventose carestie, il massacro di Babij Jar, arrivando fino a noi, tra autocrazie filorusse e rivoluzioni arancioni. Oggi l’invasione putiniana.

Comprendere la dialettica “dentro-fuori” della storia ucraina, non per giustificare imperialismi, nuovi ed antichi, tanto meno la brutale aggressione di questi giorni, ma per capire e trovare soluzioni. Maneggiare la delicatissima vicenda ucraina chiede un di più di comprensione, collocando le vicende dell’oggi nella vicenda storica e sulla mappa geografica. Non per sottrarsi ai sentimenti, orrore, solidarietà, angoscia, che di fronte al massacro ucraino ci definiscono come umani e che sono la nostra ineliminabile sostanza esistenziale, ma per integrarli con la ragione in un contesto che ci dia la chiave per la Politica. Sentimento e ragione, per trovare il bandolo di una matassa che rischia di sfuggire di mano, con effetti incontrollabili e devastanti per l’umanità intera.

E dunque, dove sta Ucraina e dove potrà stare? Come l’essere “terra di confine” e luogo primigenio dell’identità russa possono coniugarsi in una soluzione che contemperi la legittima volontà di un popolo all’autodeterminazione con le esigenze di sicurezza, vere o pretese neppure importa, di una superpotenza nucleare? Se il cuore non regge la vista di una madre in fuga che esala il suo ultimo respiro su di una piazzola romana, la ragione ci deve trattenere dall’aggiungere altro ed immane strazio a quello che ogni istante i mille occhi mediatici ci mostrano a Mariupol, Irbit, Kiev e tanti altri luoghi devastati nel paese dei girasoli.

Ora, che Putin sia un autocrate sanguinario e liberticida più che un’opinione è un fatto, ma davvero non si capisce bene, o meglio si comprende eccome, il motivo per cui il Presidente USA lo chiami “criminale di guerra”, un’espressione che, pur ben meritata, apre scenari nei quali, more solito, l’America descrive sé stessa come superpotenza necessariamente etica, vindice di tragedie che altri, solo altri, hanno creato. Un’auto rappresentazione che, se applicata equanimemente, porterebbe dritti di fronte all’Alta Corte dell’Aia almeno George Bush II (Iraq), o Truman (Giappone), cui si deve il massacro di civili innocenti, ed a centinaia di migliaia.  O Assad o Erdogan e tanti altri. Erano meno innocenti i civili giapponesi, siriani o curdi o yemeniti? No, se si vuole uscire dalla vicenda ucraina, si deve necessariamente favorire una camera di decantazione, dove Ucraina e Russia, ma anche Cina, USA, Russia ed Europa, Zelenzky e Putin, Biden e Xi JinPing (per l’Europa, non si sa chi), passano dall’insulto alla ricerca, “ipocritamente” neutra nel linguaggio, di una base di mediazione.

Perchè si dovrà pur rinunciare a qualcosa di minore per guadagnare qualcos’altro di maggiore, e cosa siano “minore” o “maggiore” per l’Ucraina toccherà agli ucraini di stabilirlo, posto che dell’ingresso nella Nato neppure si parla più. Nuovi errori gravi di comprensione e valutazione non potranno essere ammessi, perché anche di questo finora si è trattato. Se Putin ha sottovalutato lo spirito nazionale ucraino, la leadership di Zelens’kyi, la reazione di un Occidente supposto pensoso solo delle convenienze mercantili, sopravvalutando capacità tecnologica e forza morale del suo esercito, il Presidente ucraino a sua volta non ha compreso la concretezza delle minacce russe, tenendo l’acceleratore su prospettive che ora dovrà allontanare nel tempo, chiedendosi se non ha corso rischi eccessivi, ora pagati dal suo popolo con prezzo altissimo, eroicamente certo (ma viva il paese dove i figli seppelliscono padri e madri ed i civili non temono). 

Clima spirituale e forza morale incidono poi sugli equilibri: i due anziani ucraini che cacciano di casa a male parole alcuni timidi, pur armatissimi, soldati russi testimoniano l’empatia tra i due popoli. La censura feroce non impedisce l’aprirsi delle crepe nel consenso a Putin: la penosa esibizione nello stadio moscovita, i fischi, le minacce ai complici autocrati, sono segnali di perdita di controllo. Ed i racconti dei giovanissimi figli dei villaggi, mandati a crepare nell’inferno ucraino, incrinano anche il consenso delle masse rurali.

Sullo sfondo, tensioni crescenti e responsabilità diverse delle leadership americane (da Clinton a Biden) ed europee. Vorrà pur significare qualcosa se, dopo il crollo dell’URSS, Kissinger allora e Sergio Romano oggi, ammonivano ed ammoniscono inascoltati sulla necessità di non spingere troppo ad oriente la pressione della NATO. Vi sono più livelli di visione e gestione e tenerli in equilibrio è questione di grandissima difficoltà, perché, se è vero che lo sbocco non potrà non esser un accordo internazionale, è altrettanto vero, e questo va pur detto a chiare lettere, che oggi non si può non prendere parte a fianco della nazione ucraina, fornendo tutto quanto può aiutarla a resistere, salvo l’entrata in guerra (cfr. Carlo Smuraglia, ex Presidente ANPI). 

In questo contesto, sono venuti una forte spinta all’edificio europeo, ma anche il riarmo della Germania, il crollo dei sovranismi fino ad esiti epicamente comici (lontani i fasti del Papeete ..). Ridotto infine al silenzio il signor B, che, grazie al suo rapporto privilegiato con Putin, ci ha donato il raddoppio immotivato ed antieconomico della dipendenza energetica dal gas di Mosca, (cfr. M. Mucchetti).

Nella tragedia ucraina prendono forma i nuovi equilibri del secolo della globalizzazione. Se America e Cina si profilano come i contendenti principali, Mosca potrà spostare l’ago della bilancia. La domanda chiave, per Kiev e per noi, allora è: dove andrà la Russia, verso Pechino, rafforzando i regimi autoritari e le logiche di potenza a danno delle cento ucraine del pianeta? E come si potrà evitare questo esito, di cui si vedono già i primi passi in atto? In che modo ed a quale prezzo? Certamente non con Putin al potere. 

Oltre le stragi ed i bombardamenti, bisogna saper alzare lo sguardo, guardare oltre e trovare la fiducia nel cambiamento: le giovani generazioni russe ed i ceti urbani ormai globalizzati sono lontani dall’imperialismo rozzo che li ricaccia nel buio di tempi passati. Per loro, il confine non passa né ad est del Dniepr né a Leopoli: sono russi e cittadini (“e” non “ma anche”) di un mondo globalizzato più che occidentale, sempre più integrato e ridisegnato, di cui condividono “marchi”, social, stili di vita e valori. 

Leggere i “gradi di separazione” del popolo russo da Putin (e dal Patriarca Kirill), potenziare i meccanismi di integrazione socioculturale ed economica, ridisegnare le politiche di sicurezza globali, può sembrare una ricetta impossibile nell’oggi delle sanzioni “fine di mondo”, ma appare lo scenario di lunga lena obbligato verso cui orientarsi, dove anche la “terra di mezzo” ucraina potrà trovare il contesto più favorevole per il suo futuro.

Un sogno, un delirio visionario? Forse, ma se Russia ed ‘Occidente si sceglieranno, l’Ucraina potrà finalmente sottrarsi al suo destino di terra di confine. Solo allora, il “secolo breve” cesserà di cercarla, e cercarci, fin dentro il ventunesimo secolo.

Giuseppe Ucciero

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  1. danilo pasquiniho letto Paolo Rumiz "Dormire in piedi come cavalli" storia di un secolo indietro che mi sembra di rileggere e di risentire o ri vedere oggi sui diversi mezzi di comunizione di massa. Sempre le terre di cmfine e chi vi vive sopra vi lavora e mi sembra sempre siano quei popoli in attesa del cavaliere bianco o nero annunciato ma non nella fantasia.. Nel nostro piccolo abbiamo vissuto anche noi italici per due volte la medesima avventura, nel secolo scorso in contemporanea con le terre dell'Europa cosiddetta dell'EST - Polonia, Ucraina Paesi Baltici , e quanti Imperi vi hanno pascolato sopra - avendo anche noi un EST ed un Nordest con cui "discutere" - si fa per dire occupare o perdere. Così come sempre nel secolo scorso anche se qualche decennio dopo si è ripeuro sempre sulle medesime terre. Mi sto convincendo che nel 1914 e nel 1945 per noi e per le alte province d'Europa le motivazioni siano statre uguali o simili; oggi forse lassù ben più pesanti e grevei e pericolose. Comunque sempre si è trattato e si tratta di incredibili comflitti allora di confine e di rapina, oggi dirapina ed atomici,sempre comunque segnati dalla prepotenza di quegli "imperi" che vi pasdolano o vorrano pascolatrvi sopra.r Domansiamoci - se crediamo ancora al loro esistere - se dietro il termine confine non si nasco dano in maniera assoluta e pervicace le MATERIE PRIME , allora forse il carbone a cui oggi si possonoaggiungere olre al petrolie il gas minerali molto più preziosidi cui in qualche taverna o salootto ho sentio parlare come URANIO o altro prodtto - di quei territori r- adioattivo che quini a chi lo coltiva dà maggiore potenza. Anche se credo che nel nostro caso Istria e Trentino forse non nascondevano simili tesori. O alora non enunciati. Domanda per scienziati ed anche un poco per politoligi, comunque per coloro i quali vogliono "avere" sia pure con il rischio di guerre prodotti uomini da amndare a moried e terre che vengono ritenute strategjiche. A che cosa? Non pensano alla globalizzazioner in cui sono immersi e di cui sono partecipi sempre a piano titolo? . dp
    24 marzo 2022 • 20:09Rispondi
  2. ADalberto CastagnaCaro Giuseppe, di solito non commento gli interventi su Arcipelago. Ma per questo tuo articolo farò un'eccezione perchè merita un encomio solenne. Storia, cultura , emozioni e ragioni, coraggio di schierarsi non ostante tutto, non manca nulla. E sopratutto la pacatezza del ragionare pur nel dolore, lo sforzo di guardare avanti, affinché la storia futura assuma un volto più umano. Solo una cosa aggiungerei: il tempo. Occorre imparare a fare in fretta E bene. Il futuro nasce qui e adesso. Dobbiamo sbrigarci, se vogliamo davvero evitare il peggio.
    27 marzo 2022 • 21:09Rispondi
    • giuseppe uccieroCaro Adalberto, mi sento davvero gratificato del tuo apprezzamento. Per il fattore tempo, hai ragione. Anche se i processi del cambiamento camminano col tempo della storia, ci sono momenti in cui l'accelerazione apre o chiude finestre nell'arco di pochi giorni. In certi casi, di poche ore. Sbrighiamoci.
      28 marzo 2022 • 16:08
  3. Annalisa FerrarioIntervento equilibrato. Mi sembra difficile però non ricordare alcuni pregressi alla situazione odierna, tipo le truppe paramilitari a Maidan o i divieti contro la popolazione russa in Ucraina, che rendono difficile essere ottimisti e a sostegno di una sola parte. Questo conflitto si risolverà riconoscendo torti e ragioni reciproche.
    28 marzo 2022 • 22:04Rispondi
    • giuseppe uccieroPersonalmente penso che l'inventario di torti e ragioni, recenti e passati, porti a poco e, per quanti torti, e ve ne sono stati, pesino sugli ultimi governi Ucraini, nulla può giustificare lo scatenamento di una guerra di aggressione, che compromette proprio i beni che intende perseguire, la sicurezza e la pace. Il punto essenziale mi pare piuttosto l'individuazione del miglior punto di mediazione possibile tra il principio cardine della convivenza tra i popoli (l'autodeterminazione) e le condizioni di sicurezza degli stati coinvolti, in presenza di rischio nucleare. E' un compromesso tra interessi di difficile ri-composizione. Ora si deve fare sotto le bombe quanto sarebbe stato più saggio e meno difficile fare in tempo di pace. Anche perchè, e pure questo va detto, c'è chi soffia sul fuoco. Riconoscere i diversi interessi di USA ed EUROPA non è lesa maestà, a patto di smarcarsi (ma lo si vuole davvero ?) dallo stato di minorità post '45.
      1 aprile 2022 • 15:52
  4. Annalisa FerrarioNon sono tanto d'accordo che ricostruire torti e ragioni reciproche non porti a nulla. Lo si fa nei processi penali (dove appunto ci sono le attenuanti per privazione), lo si fa per le vicende storiche passate, a maggior ragione lo dovremmo fare se vogliamo comprendere il presente. E soprattutto questo porta a uscire dalla malefica logica dello schieramento, per cui una parte ha tutte le ragioni e l'altra tutti i torti (il famigerato slogan nazionalistico "right or wrong, my country" che tanti danni ha fatto nel Novecento). Condivido invece in pieno l'idea di porre fine allo stato di minorità continentale del dopoguerra. I popoli di lingua inglese (come diceva Churchill) hanno interessi e identità diverse dalle nostre. Non deve essere Biden a "dettare la linea" su cosa si deve fare in Europa.
    2 aprile 2022 • 08:53Rispondi
    • Annalisa Ferrarioprivazione=provocazione. Correttore automatico, sorry...
      2 aprile 2022 • 14:28
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