8 febbraio 2022

MATTARELLA BIS

La rielezione tra crisi di sistema ed isteria mediatica


ucciero (3)

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La rielezione di Sergio Mattarella è stata accolta con soddisfazione e sollievo da gran parte degli italiani. Soddisfazione per la stima che il Presidente della Repubblica ha ben meritato e però anche sollievo, se solo si pensa al rischio, forse più immaginario che concreto, di una candidatura del Signor B., del quale, a parte ogni altra considerazione, non si può dire che abbia adempiuto ai suoi precedenti incarichi pubblici con disciplina ed onore. Che poi il centrodestra l’abbia sostenuta, incurante del suo certificato penale, testimonia una volta di più come manchi a quelle latitudini un senso minimo del decoro e di cura dello Stato e di quanto il Signor B. tuttora sia capace di condizionare la vita politica nazionale ai suoi interessi privati.

Dunque, bene Mattarella, e bene Enrico Letta che a lui ha guardato fin dall’avvio delle grandi manovre d’aula ed extra aula. Bene che Draghi sia rimasto a Palazzo Chigi, unico garante possibile di un equilibrio talmente delicato da non tollerare la minima variazione, figurarsi il suo spostamento al Quirinale. 

Che poi l’ex Presidente BCE ci sia rimasto male è anche segno di una sua certa “ingenuità” politica. Tutto è bene quel che finisce bene, ma ora che la polvere cade è legittimo porsi qualche domanda.

La prima riguarda proprio la rielezione di Sergio Mattarella. Se prevale il consenso, si insinua il timore che proprio il suo doppio mandato potrebbe paradossalmente rafforzare la narrazione antipolitica. Quel grido “Sergio pensaci tu” si fonda sulla percezione diffusa di un ormai insostenibile fallimento della politica, del sistema dei partiti che chiamiamo sinteticamente “seconda repubblica” (per alcuni “terza”). Questo sentimento popolare si alimenta del vento dell’antipolitica, e spinge sia in direzioni “populiste” che verso una sempre più spiccata evoluzione del sistema politico in senso “presidenzialista”. Lo “schifo” ispirato dai partiti, esacerbato dal fallimento del Movimento 5 Stelle, gonfia le vele di una crescente simpatia a favore dell’uomo solo al comando.

Giorgia Meloni, nata in quel contesto storico simbolico, rafforza la sua proposta presidenzialista, trovando umori empatici anche nel centrosinistra, dove sono numerosi i Governatori ed i Sindaci che sembrano aver perso con il senso della misura sia decoro istituzionale che comprensione del debito politico verso chi li ha eletti. Se di questo clima non si può fare carico a Sergio Mattarella, neppure ci si può illudere che la sua figura specchiata possa annullare il contesto che ne ha circondato la rielezione.

Nel 2013, in occasione della rielezione di Napolitano, scrissi (mi si perdoni l’autocitazione) “Cesare verrà”, un articolo dove con le parole di Antonio Gramsci cercavo di dire come la crisi del sistema politico sociale potesse creare le basi per un’evoluzione bonapartista: “Quando una società non trova un equilibrio alle sue dinamiche e il conflitto politico mina le sue istituzioni, allora viene il tempo di Cesare. Chi è Cesare? È una forma della politica, prima ancora che una specifica personalità storica”.

Oggi, è difficile negare che quelle dinamiche siano più forti, il sistema dei partiti molto più debole, le basi di una evoluzione cesaristica molto più ampie. Non è però detto, e qui sta larga parte della nuova sfida, che una tendenza cesaristica porti automaticamente al dissolvimento della rappresentanza democratica: è anche questione di pesi e contrappesi, di nuovi equilibri in una nuova visione delle istituzioni.

Qui vengono i nodi del prossimo scenario politico, dove la revisione della legge elettorale sarà la cartina al tornasole, non solo dei calcoli a breve, ma anche delle opzioni che si vorranno esprimere sul sistema della rappresentanza e quindi sul rapporto istituzioni-politica-società: a distanza di vent’anni il bipolarismo sembra da archiviare, si dice, facendo spazio ad un proporzionale più confacente alla natura dell’elettorato italiano, ma soprattutto alla rigenerazione del centro come spazio politico. Se poi la crisi del sistema è conclamata e la Repubblica da rifondare, allora il sistema proporzionale potrebbe essere utile per sostenere una fase ri-costituente?

La seconda ha a che vedere con il cortocircuito politica – comunicazione. La rifondazione della politica come sistema richiede la sua rilegittimazione come pratica di educazione istituzionale, riconoscendone lucidamente i presupposti: competenza, rappresentanza, proceduralità, mediazione, complessità. Ma questo approccio sembra trovare poca cittadinanza sui media (non parliamo dei social), dove abbondano narrazioni sulla impresentabilità di una sfera politica incapace, si dice, di valutare e decidere, di scegliere i propri rappresentanti, anche i più alti.

Una narrazione che per i toni spesso isterici ed i giudizi tranchant travalica l’episodio dell’elezione presidenziale per delegittimare in toto la politica, almeno quella italiana, come pratica onorevole e possibile. Un’incapacità, detto anche da autorevoli commentatori, dimostrata, anzi certificata, dalla difficoltà di trovare un nome, un buon nome, nel giro di qualche votazione. Come se la scelta di un Presidente della Repubblica dovesse avvenire con la velocità spensierata con cui scegliamo un film su Netflix o una cena su Deliveroo. Come se questo parlamento, così balcanizzato, non fosse anche il precipitato di una stagione politica che ha fatto carne di porco del concetto stesso di esperienza, di rappresentanza, di relazione istituzionale, di “cursus Honorum”. Verrebbe da dire ai tanti che si stracciano ora le vesti sui condiscendenti fogli amici: “avete voluto la casalinga di Voghera in parlamento?”

Ma vi è di più, vi è qualcosa di specifico del nostro tempo: lo schiacciamento ansioso dell’orizzonte temporale sull’attimo presente (e quindi fuggente), la canea crescente del disprezzo verso la casta, la pretesa di eliminare con il gesto esemplare (ed autoritario) la complessità (democratica) dell’esistente. Vi è la prevalenza della comunicazione sull’azione, della spettacolarizzazione sulla quotidianità, del chiacchiericcio salottiero sull’arte faticosa della mediazione.

E che diamine, non siete riusciti ancora a trovare un buon nome” in ben 5 giorni, come se giornalisti, imprenditori, opinionisti, non conoscessero bene loro e per primi la difficoltà di un qualsiasi procedimento elettivo, che deve pur sempre trovare, tra mille interessi, un consenso maggioritario. Come se loro stessi, appena svestito il candido manto di censori, non dovessero affrontare le lungaggini ben conosciute anche solo per l’elezione del loro presidente associativo, o del circolo tennistico, e dedicare tutto il tempo necessario, e mediare e smussare e trovare contropartite per comporre le piccole beghe. Eppure, proprio questa esperienza, così ampia nella pratica sociale di tutti i cittadini ed a tutti i livelli, sembra generare, invece che comprensione, ancora maggiore frustrazione e pretesa che qualcun altro, al nostro posto, sia capace con tocco magico di risolvere le nostre questioni.

Insomma, bene Mattarella, ma aiutaci a ritrovare la bussola della relazione tra politica e società.

Giuseppe Ucciero

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