11 gennaio 2022
LO STADIO DI SAN SIRO
Demolire
E’ in pieno svolgimento una importante battaglia in difesa dello stadio di San Siro, importante non solo per il numero dei combattenti, ma anche per il loro nome o meglio per il peso che questi nomi hanno, in città e non solo, a cominciare da Luigi Corbani, il primo firmatario della petizione.
Collaboratore di questo giornale e, come tutti ricorderanno, ottimo vicesindaco di Milano negli anni ottanta, Corbani è stato l’illuminato fondatore e manager dell’Orchestra Verdi che sotto la sua guida raggiunse livelli altissimi, tanto da essermi trovato per una volta d’accordo con Paolo Isotta nel dichiararla “la migliore orchestra italiana”! Oggi non è più così ed è un vero peccato
Tra i firmatari dell’appello, che coprono aree assai vaste della politica e della cultura milanese, devo ricordare che vi è anche il nostro direttore, il che mi crea ovviamente un po’ di imbarazzo pur sapendo di poter contare sulla totale libertà di espressione che, con grande professionalità, egli ha sempre garantito ai collaboratori di questo giornale.
Sono in imbarazzo, come dicevo, perché non mi sento di concordare sulla difesa a oltranza dello storico nostro stadio, deturpato poco più di vent’anni fa dalla nefasta aggiunta del terzo anello con quelle orrende strutture a vista che lo sovrastano.
La storia “architettonica” di questo stadio è breve e ben nota. La struttura originaria – che fu costruita a spese di Piero Pirelli, allora presidente del Milan, e progettata dall’ingegner Alberto Cugini e dall’architetto Ulisse Stacchini – era composta da quattro tribune rettilinee, una sola delle quali parzialmente coperta, e poteva ospitare fino a 35.000 spettatori.
Nel 1955 lo stadio subì una prima, radicale trasformazione curata dall’ingegnere Ferruccio Calzolari e dell’architetto Armando Ronca, per realizzarvi il secondo anello di tribune che sovrastavano, e in parte coprivano, quelle vecchie. La capienza totale salì così a 100.000 spettatori, che successivi provvedimenti dettati dalla sicurezza ridussero a 85.000, di cui circa 60.000 a sedere. Con quell’intervento lo stadio divenne una ragguardevole opera di architettura, iconica ed amata. Senonché nel periodo 1987-1990 venne costruito il famigerato terzo anello a firma degli architetti Giancarlo Ragazzi ed Enrico Hoffer (i cosiddetti “architetti di Berlusconi”) con le strutture dell’ingegner Leo Finzi, che aumentò la capienza dello stadio fino agli attuali 85.700 posti, tutti a sedere e coperti.
Adesso è un brutto “oggetto edilizio” in mezzo al nulla, a un deserto che nei giorni delle partite e dei concerti diventa un terribile ammasso di automobili e di ambulanti, circondato da non pochi edifici abbandonati e semidemoliti – più che altro vecchie, nobili scuderie – che testimoniano il declino della già gloriosa ippica italiana e milanese (per non parlare dello stato di abbandono totale in cui versa l’adiacente storica area del trotto). Intorno vi sono solo quartieri improbabili, come le case popolari intorno a piazza Selinunte (il Bronx milanese), il quartiere delle ville che una volta era l’oggetto del desiderio delle famiglie più ricche della città e che oggi è una triste periferia urbana, e un’accozzaglia di altri interventi disordinati e di modestissima qualità.
Mi scrive Pierfrancesco Sacerdoti, critico e storico dell’architettura, in particolare di quella milanese “Ovvio che trovo squallido il quartiere intorno allo stadio, ma non mi sembra una buona scusa per demolirlo. Ritengo che sia un’architettura se non bella sicuramente interessante e meritevole di essere conservata, sia perché è diventata un simbolo di Milano, sia per evitare l’enorme spreco di una demolizione lunga, costosa, anti-ecologica e totalmente inutile, visto che la struttura è solidissima. Possiamo discutere sulla qualità del terzo anello (vituperato da tanti perché legato a Berlusconi e ai suoi architetti) ma il nucleo originario e soprattutto il secondo anello sono di grande qualità. Il gioco delle rampe che avvolge l’esterno, in contrasto dialettico con il coronamento “a beccatelli”, è di grande bellezza e forza espressiva”.
Caro Pierfrancesco, non mi sembrano argomenti convincenti. Il Meazza è stato un bell’oggetto architettonico, negli anni sessanta e settanta, ora non lo è più, è come se fosse stato già in parte demolito, meglio demolirlo del tutto. Né vale il discorso dello spreco, perché va da sé che ogni volta che si rinnova un pezzo di città si deve affrontare il costo delle demolizioni ed oggi, con la cultura della sostenibilità che avanza rapidamente, non ho dubbi che si troverà il modo di riciclare tutto il materiale di risulta.
Ancor meno mi sembra che calzi l’idea del “simbolo di Milano”; nessuno ha difeso quel “simbolo” in occasione della prima e della seconda trasformazione, neanche quando se ne è danneggiata irrimediabilmente l’immagine. Perché dovremmo difendere quest’ultima versione? Meglio un nuovo San Siro, un’opera di architettura contemporanea fresca e non pasticciata. Prova a pensare cosa avrebbe detto Bruno Zevi se fosse stato ancora fra noi…!
Che fare allora?
Invece di fare una battaglia per salvare quella struttura non più al passo coi tempi, mi preoccuperei di far sì che il nuovo progetto – pubblico, privato, in project financing o in concessione, non credo sia rilevante in termini di principio, purché coniughi bene l’interesse pubblico con quello privato – affronti e metta in moto un processo di rigenerazione di tutta quella parte disastrata della città e ne diventi il cuore, si faccia carico di creare un nuovo centro urbano che riscatti quella periferia, coinvolga e leghi tra loro tutte quelle aree – dismesse, abbandonate, in cerca di nuovi destini – in un piano organico ben controllato dalla Pubblica Amministrazione affinché San Siro torni ad essere un pezzo di città dove si abbia voglia di andare a vivere.
Solo questa dev’essere la preoccupazione del Comune, mirare al risultato nell’interesse di tutti, senza nascondersi dietro rigide regole urbanistiche o peggio dietro la paura ideologica della “speculazione” che va combattuta quando fa danni ma anche incoraggiata quando risolve problemi.
Paolo Viola
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