21 dicembre 2021

NEOLIBERISTI IMMAGINARI E MOBILITÀ

La riduzione delle situazioni di monopolio


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Su molti giornali di sinistra (su due dei quali lo scrivente ogni tanto pubblica) si scagliano spesso invettive su prassi politiche o ideologie che vengono definite “neoliberiste”. Mai vengono portati numeri a supporto. Perché? Perché non si può. Come documenta l’Economist, in tutti i paesi industrializzati il peso dello Stato è andato crescendo negli ultimi 50 anni, e adesso oscilla tra il 40 e il 50% del PIL. E chi controlla i mezzi controlla i fini, si dice correttamente. E tra questi fini ce ne sono davvero di molto condivisibili, tra cui tutele della salute e dell’istruzione che tendono ad essere universali, e molte altre forme di sostegno ai redditi dei meno fortunati.

A questo si affianca gloriosamente la “fakenews” delle diseguaglianze crescenti: a livello globale queste diseguaglianze sono enormemente diminuite. Certo, non all’interno dei singoli paesi, dove in molti casi sono aumentate. Ma si tratta di paesi industriali, non di quelli che dovevano combattere la fame (si pensi a Cina e India): i problemi dei penultimi sono molto meno drammatici di quelli degli ultimi. Il falso bersaglio del neoliberismo inesistente è usato però a piene mani in Italia anche nel settore dei trasporti e della mobilità. Il caso più clamoroso è quello delle gare nei trasporti pubblici, che vengono accuratamente evitate anche se potrebbero portare un aumento dei servizi o una riduzione delle tariffe, come è avvenuto nel resto d’Europa. 

Le auto (atroce simbolo del consumismo) sono demonizzate, anche se pagano i costi esterni che generano molto più di altri settori (si veda lo studio del FMI), e sono usate da un sacco di gente a basso reddito che non possono servirsi dei mezzi pubblici, a motivo dei prezzi delle case, e quindi stanno in tanta malora, mica in Piazza San Babila. Per inciso, sembra che le gare e la concorrenza godano di così cattiva fama, che pare che per gli appalti plurimiliardari del PNRR si ricorra a procedure “rapide e semplificate” (traduzione per gli ingenui: si appalta agli amici, e si tengono fuori i perfidi stranieri).

Altra orrenda cosa neoliberista è costruire. E’ sempre speculazione, sia che avvenga in città che fuori (in questo secondo caso per tutelare l’agricoltura, ipersussidiata e iperinquinante. Ma che diamine, è la nostra “battaglia del grano”). Che poi ciò aumenti la rendita urbana, a parità di domanda insediativa, non è rilevante, il grano del monopolio si nota poco (si vedano le analisi di Cox, ma anche di Nomisma).  Cioè la rendita, ovunque si annidi, “non olet”, mentre il profitto è disdicevole. Anche lo scrivente ci guadagna, le sue proprietà, quando avrà finito di scrivere, saran già aumentate di valore…

Venendo alla realtà lombarda e milanese, vediamo dei possibili spazi da in cui si potrebbero contribuire a ridurre situazioni di monopolio. La Regione potrebbe aprire alla concorrenza i servizi ferroviari regionali, cosa che in Germania e altrove ha prodotto benefici rilavanti agli utenti e alle casse pubbliche. Ma ci sono poche speranze: abbiamo la destra meno liberale d’Europa.

Milano è una città capace di innovare, e potrebbe farlo nel settore dove l’innovazione già corre, quello del controllo informatizzato della domanda. Si potrebbe per esempio provare a introdurre forme di trasporto collettivo a chiamata su percorsi prefissati, resi flessibili dalle richieste dell’utenza (lo strumento informatico per raccogliere le richieste e ottimizzare i percorsi oggi non è certo un problema). Se si affida ad ATM però finisce come quello serale a chiamata, che costava alle casse pubbliche per ogni passeggero circa 5 volte il costo di una corsa in taxi.

Ma dovrebbe aprirsi anche uno spiraglio per lo stesso servizio taxi: c’è alle viste sia una legge sulla concorrenza, unanimemente rimandata non a caso da decenni, sia una normativa europea in difesa dei lavoratori saltuari (quelli della GIG economy, oggi senza tutele). Se le tutele future saranno adeguate, potrebbero ripartire forme di taxi basate su piattaforme informatiche del tipo Uber, non presenti in Italia e altrove proprio a causa delle tutele insufficienti dei lavoratori (anche se in paesi più poveri forniscono un servizio ottimo e occupano un sacco di gente). Ma immaginiamo che neanche questo futuro livello di protezione sia ritenuto accettabile per un servizio di tipo taxi. Perché allora non consentire almeno il dispiegarsi della concorrenza tra imprese di taxi con dipendenti regolari e a tempo pieno? Oggi, si badi, sono proibite. Le licenze possono essere solo individuali, che possono unirsi in cooperative, ma non farsi concorrenza sulle tariffe. 

Ma la vera sfida sarà anche qui la legge sulla concorrenza del liberale (?!?) Draghi. Sfida che ritengo anche questa persa in partenza, perché il “voto di scambio” è imbattibile (si vedano le concessioni balneari). Infatti, se ATM sarà messa in gara, e se al comune non sarà concesso di essere oltre che concorrente anche giudice (una presa in giro), io conosco molti altri trucchi perché vinca comunque, e continui serenamente a prendere il suo milione quotidiano. Magari mi danno una consulenza…

Marco Ponti

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