23 novembre 2021

BANALITÀ ELETTRICHE

Dove la transizione ecologica rischia di complicare l'esistenza delle città e dove la semplifica


santagostino

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“Nihil repente”, ammoniva l’Abate Galiani mentre governava un pezzo di Regno Borbonico: potrebbe apparire un dettato riformista oppure, com’è, una massima di buon senso che indica come la permanenza del presente, oltre ad avere ragioni storiche ha strutture che la sostengono, mentre il nuovo che avanza non possiede né le une né le altre.

Invece i tempi correnti inclinano decisamente al ‘repentismo’ spinti dal catastrofismo climatico che, reale imminenza delle catastrofi a parte, ha dalla sua una visione sana e condivisibile circa l’abbandono delle fonti fossili: trarre energia ad uso immediato da ciò che la Natura ha impiegato ere a produrre non è sostenibile a lungo.

Poiché però le tecniche e gli usi hanno dalla loro una lunga consuetudine ecco che una realistica transizione dalle fonti fossili chiede due azioni distinte e complementari (un’alternativa e un risparmio) e un percorso flessibile nel mix di risorse disponibili: di fatto una politica energetica che tenga presente lo stato delle cose, le opportunità e l’obiettivo finale.

Oggi l’alternativa parla di elettrificazione nelle alimentazioni, dall’autotrazione al riscaldamento, non ignorando peraltro che elettrificare non significa certo di per sé abbandonare le combustioni dei fossili, perché tra i vari modi con cui l’elettricità viene prodotta, il principale è proprio quello termoelettrico, ovvero cogenerando elettricità e caldo bruciando carbone, oli combustibili o gas.

D’altro canto le fonti alternative, accantonando per il momento il nucleare bloccato in Italia da due referendum (1987, 2011), hanno a loro carico una notevole erraticità (solare, eolico) o lontananza (geotermico, moto delle maree) oltre ad impatti ambientali non trascurabili per raggiungere capacità significative; il solo idroelettrico, che pur sconta la riduzione delle riserve glaciali e combatte da sempre un difficile equilibrio con le valli da cui origina, ha una sua costanza, ma non può certo garantire quantitativi aggiuntivi significativi.

Ecco apparecchiato il primo problema per le città: le strutture elettriche attuali sono configurate solo per la convivenza tra combustione diretta dei motori ed usi elettrici, non certo per l’eradicazione della prima dalla nostra vita quotidiana e la sua sostituzione con motori elettrici dei veicoli, fatto questo che vuol dire, banalmente, un incremento nelle dimensioni e nel numero delle cabine di trasformazione oltre al potenziamento delle linee elettriche principali e di quelle derivate, non ultime quelle che oggi entrano negli edifici.

Diversa la situazione per la produzione, che tra l’altro potrà continuare contare sul nucleare altrui, perché le modificazioni necessarie non incideranno su di un tessuto antropizzato intensamente come quello urbano.

Solo per attivare l’immaginazione, ciò che dovrebbe sostituire una pompa di benzina dove il conducente sosta per pochi minuti, pagamento compreso, noi non potremo avere una normale presa di corrente da 16A alimentata da un contatore da 3kW/h domestico  perché un pieno, pur in assoluta assenza di tutti gli altri usi (lavatrice, lavastoviglie, phon, televisore o luci) potrebbe durare circa 30 ore (Tesla Model 3 75kW con autonomia di circa 400 km) mentre sul lato opposto i supercharger DC riducono sì tale tempo a 30 minuti, sempre per garantirci i 400 km di cui sopra prima del prossimo pieno ma non possono certo venire realizzati ovunque perché richiedono una potenza sino a 350kW che richiede alimentazione trifase, cabina di trasformazione dedicata e sezioni dei cavi venti volte superiori  (dal 2,5 mm2 di casa ai 50 mm2 per una ricarica da 100 kW/h).

Il tutto moltiplicato per i 2,9 milioni di veicoli circolanti nella Città Metropolitana di Milano: è evidente che ci troviamo di fronte ad un problema sin qui sottovalutato e che viaggia sotto traccia perché i veicoli elettrici oggi sono nella disponibilità di soggetti che il pieno lo possono fare senza la propria costante presenza o senza l’assillo di un concorrente alla stessa presa, fatto che in un normale parcheggio interno di un condominio potrebbe portare al  collasso della rete interna se un numero superiore ad uno venisse collegato alla ricarica.

Per contro l’altro grande candidato alla trasformazione elettrica, i sistemi di riscaldamento, presentano invece un problema di sostituzione nell’alimentazione infinitamente inferiore e, se ben congegnati, delle opportunità di integrazione con le fonti alternative quasi completamente autosufficienti.

Perché può accadere questo? Perché non si tratta di sostituire un motore endotermico con un motore elettrico applicati alla stessa trazione, come nelle macchine, e quindi con rendimenti analoghi, ma di sfruttare la compressione dei gas ed il loro rendimento termico che moltiplica la quantità di energia risultante: per una gestione tecnica che qui tralasciamo, questi rendimenti sono tanto maggiori quanto più efficienti sono gli involucri cui si applicano i sistemi di condizionamento per cui il combinato di trasformazione negli edifici e nelle alimentazioni porta ad una diminuzione drastica nell’energia impiegata. 

Se a ciò si somma che le pompe di calore non posseggono potenze inarrivabili ecco che un classico interfaccia alternativo condominiale come dei pannelli fotovoltaici muniti di batterie di accumulo, riducono l’apporto previsto della rete elettrica. Però, e questo è un problema aggiuntivo, non eliminano del tutto la necessità di potenziamento della rete anche per la loro alimentazione e quindi accanto ai veicoli troveremo pure la domanda degli impianti di condizionamento.

Ma vi è un terzo problema legato alle maggiori potenze richieste, e che esula pure dal rifacimento di cabine cittadine e sostituzione di tutti i cavi di alimentazione sino alle utenze terminali ed è legato alle fonti di produzione dell’energia per la loro distanza dai luoghi di utilizzo. Questo problema che nel mio mondo idraulico riguarda soprattutto le reti di teleriscaldamento a causa delle perdite di carico originate dall’attrito dei flussi contro le pareti dei tubi con sezione ridotta è peraltro toccabile con mano annualmente quando l’uso dei condizionatori porta al collasso delle reti: senza produzioni di prossimità il rischio di cadute nelle tensioni erogate si incrementa notevolmente, essendo legato a quantità e modalità delle contemporaneità, ma le produzioni di prossimità parlano oggi di cogenerazione  e quindi di centrali di combustione, siano esse di fossili rinnovabili o meno, e domani, morta la combustione diretta, del solito inevitabile nucleare.

Ed ecco che si ritorna al punto da cui siamo partiti: la transizione energetica è questione di alternative e di risparmi. Dove il risparmio è già possibile, come nei sistemi di condizionamento, il percorso per una circolarità sostenibile basata sull’elettrificazione del sistema è già alla nostra portata e richiederà pochi e mirati interventi infrastrutturali.

Dove il risparmio oggi non è nemmeno immaginabile sul singolo mezzo, come nell’autotrazione dove la quantità di energia necessaria per imprimere il moto è data, può solo passare da un radicale cambiamento negli stili di vita e di guida, da una prevalenza per il trasporto pubblico su rotaia e da una razionalizzazione del trasporto delle merci, anche se proprio questo con ogni probabilità sarà il primo ad attrezzarsi per poter garantire la completa elettrificazione del servizio in ambito urbano grazie a propri distributori interni.

A chi toccherebbe gestire questa transizione? 

L’Italia, e Milano non fa eccezione, è il luogo delle non decisioni e quel che accade, accade di norma perché le forze operanti portano in dote le loro inerzie anche se qua ‘inerzia’ e ‘transizione’ cozzano violentemente: poiché il 2030 ed il 2050 sono dietro l’angolo se non saranno i Sala o i Draghi a dettare il percorso, ci penserà al solito l’Europa, togliendoci ancora un altro pezzo di immeritata sovranità.

Ci si prepari dunque a veder sventrati prima o poi strade ed edifici per far passare i cavi per favorire le transizioni che stiamo invocando a gran voce nelle piazze e sui mezzi di comunicazione (nonché a veder lievitare i prezzi del rame necessario a tutto ciò).

Chi dovremo ringraziare lo sapremo ai titoli di coda perché al momento si fanno molte chiacchiere mentre le linee d’estate continuano a saltare.

Giuseppe Santagostino

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