9 novembre 2021

CHI RACCONTA LA PERIFERIA?

Non solo narrazione accademica


barzi (1)

Il quartiere Aler San Siro è uno dei maggiori insediamenti di edilizia pubblica a Milano, nato come sperimentazione dei principi dell’architettura del Movimento Moderno. All’interno del quadrilatero delimitato dalle vie Albertinelli- Dolci, Paravia, Ricciarelli e Civitali, le diagonali delle vie Zamagna-Gigante e Morgantini-Maratta si incrociano in piazzale Selinunte, che è attraversata longitudinalmente dai viali Aretusa-Mar Jonio. Ne risultano sei aree nelle quali è avvenuta la lottizzazione, gli ambiti denominati Francesco Baracca e Reginaldo Giuliani frutto di due concorsi di progettazione banditi rispettivamente nel 1932 e nel 1937 dall’Istituto Case Popolari di Milano, che nel 1935 e nel 1938 aveva affidato direttamente la progettazione degli ambiti denominati Milite Ignoto e Gabriele D’Annunzio.

In questo insediamento di case popolari e popolarissime, secondo quanto stabilito da uno dei bandi di progettazione e dalla visione sociale del fascismo, domina quell’aria di burocratica povertà già stigmatizzata da Giuseppe Pagano, direttore di Casabella tra il 1931 e i 1942. Oggi negli oltre seimila alloggi del quartiere vivono circa dodicimila abitanti. La sua densità demografica è altissima: più di trentaduemila abitanti per chilometro quadrato. Pur non trovandosi a grande distanza dal centro, Aler San Siro si identifica come una periferia proprio per la sua connotazione di ghetto per poveri separato dalla città che le era stata conferita già dalla fondazione.

Chiuso com’è nelle quattro strade che disegnano il quadrilatero, il quartiere è fisicamente introverso, esclusivamente rivolto verso il suo centro – piazzale Selinunte – che ha il suo landmark nella torre del sistema di riscaldamento degli edifici Aler, ora decorata da un intervento di street art. Questo settore urbano così facilmente identificabile per le sue caratteristiche fisiche è spesso lo scenario dei numerosi video postati dai rapper della zona, oltre che il soggetto del bel documentario Perif che prende il titolo da una canzone di uno di loro: Neima Ezza. Secondo Claudio Burgio, il cappellano del carcere minorile Beccaria intervistato dal quotidiano online Milano Today, «la loro rabbia esplosiva, che poi si riversa anche nelle canzoni, deriva da percorsi d’infanzia molto difficili. Sono ragazzi arrabbiati perché hanno avuto un rapporto con le istituzioni molto conflittuale fin da quando sono nati». E’ del tutto comprensibile che chi cresce in un ghetto istituzionale sia arrabbiato con chi lo ha realizzato e abbia ben chiaro che esso, come affermava James Baldwin già sei decenni fa «può essere migliorato solo in un modo: smettendo di esistere». Il carattere introverso di Aler San Siro è tuttavia uno dei tratti identitari rivendicati dai rapper nelle loro canzoni e nei loro comportamenti, in qualche caso causa di provvedimenti di restrizione della libertà individuale

Lo scorso 10 aprile circa trecento ragazzi, avvisati da alcuni rapper che volevano girare un video tra le strade del quartiere, si sono lì radunati e hanno generato un intervento delle forze dell’ordine, finalizzato al rispetto delle restrizioni imposte dalla pandemia, che ha innescato una sorta di guerriglia urbana. Questo episodio ha rafforzato lo stereotipo di Aler San Siro come luogo dell’eterno disagio sociale e del permanente degrado edilizio, malgrado da anni il quartiere sia oggetto di interventi di riqualificazione e di ricerca. Dopo la guerriglia del 10 aprile il sindaco Sala ha incontrato due rapper del quartiere, membri, insieme a Neima Ezza, del gruppo Seven Zoo che prende il proprio nome dal municipio 7 di cui Aler San Siro è inserito. Più recentemente Prefettura, Regione Lombardia, Aler e Comune di Milano hanno siglato un patto per rigenerare il quartiere di San Siro ed evitare il ripetersi di episodi di rivolta. A questo riguardo fonti giornalistiche riferiscono che esisterebbe la volontà di coinvolgere nell’ambizioso obiettivo anche i rapper della zona. Effettivamente questi ultimi non fanno che raccontare il luogo in cui vivono e dove sono cresciuti, come nella canzone Perif di Neima Ezza. 

Vengo dalla perif’ 

Non parlare di quello che vedi, vengo dalla perif’
Non parlarmi delle popolari 

Delle occhiaie qui sotto gli occhiali
Delle scale, di tutti quei piani

Vengo dalla perif’ 

Bilocale, ma non è una casa, vengo dalla perif’
Viviamo in cinque in una stanza di quaranta metri
Qui stiamo buttati per strada da quando son baby
Non sento nessuna domanda, vengo dalla perif’ 

Vivo la miseria, c’ho gli occhi tristi sotto la tempesta con i teppisti

Scriveva Guy Debord ne La società dello spettacolo, pubblicato nel 1967.

Per la prima volta un’architettura nuova, che nelle epoche precedenti era riservata al contentamento delle classi dominanti, viene direttamente destinata ai poveri. La miseria formale e l’estensione gigantesca di questa forma di habitat derivano entrambe dal suo carattere di massa, che è determinato tanto dalla sua destinazione che dalle condizioni moderne di costruzione. La decisione autoritaria, che pianifica astrattamente il territorio in territorio dell’astrazione, è evidentemente al centro di queste condizioni moderne di costruzione.

La condizione, per così dire metageografica, di Aler San Siro quartiere periferico esprimerebbe quindi, secondo Debord, quel «raccogliere interiormente la distanza, in quanto separazione spettacolare». Da questo punto di vista l’attività dei rapper – ma anche dei writer e degli street artist – trova il suo fondamento nella città della separazione, che diventa lo scenario per la comunicazione con il resto del mondo (i video di alcuni dei rapper emergenti fanno centinaia di migliaia di visualizzazioni) e poco importa che chi riceve il messaggio viva in contesti del tutto diversi. Se la periferia non è solo un concetto spaziale, la separazione che incorpora diventa spettacolare perché – sempre secondo Debord – la società dello spettacolo «sopprime la distanza geografica». 

I rapper spettacolarizzano la separazione per uscire da essa, e in qualche caso ci riescono. Al di là del successo personale, ciò che la loro presenza produce in posti come Aler San Siro – ma anche in quartieri come Corvetto, Quarto Oggiaro, Baggio, Barona che con il primo condividono la stessa spettacolare separazione – è la possibilità di raccontare la periferia in quanto soggetti titolati a farlo, sovvertendo così il profluvio di narrazione accademica che in questi anni ha introdotto concetti come il rammendo e la rigenerazione, implicando a priori lo strappo e la degenerazione e il carico di negatività che ne deriva. A chi tocca, dunque, raccontare la periferia?

Michela Barzi

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NOTE

 1. Cfr Ferdinando Reggiori, Milano 1800-1943, Milano, Ed. del Milione, 1947, p. 346-7 e Maria Fianchini, La meteora dei Contratti di Quartiere nell’esperienza del San Siro a Milano, in Techne, n.04, 2012.

2. https://www.youtube.com/watch?v=ci2vYQieK9c

3. Eleonora Dragotto, Giampaolo Mannu, Massimiliano Melley, Il drive-through della droga a San Siro e l’ufficio che smista gli alloggi abusivi, Milano Today, 19 maggio 2021. https://www.milanotoday.it/attualita/san-siro-abusivi-alloggi-reportage.html

4. La storia del rap, a partire dalla sua matrice hip-hop che sarà presto celebrata con un museo nel distretto urbano del Bronx di New York City, è costellata da disavventure giudiziarie e persino da morti violente dei suoi protagonisti.

5. Si vedano a questo riguardo gli interventi di riqualificazione edilizia attuati tramite i programmi denominati Contratti di Quartiere e la ricerca promossa dal Politecnico di Milano a partire dal 2013 denominata Mapping San Siro.

6. Marianna Vazzana, San Siro, un inquilino su tre è abusivo: una task force per riqualificare il quartiere, Il Giorno, 23 ottobre 2021, https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/san-siro-abusivi-1.6953622

 



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  1. Gianluca GennaiComplimenti.l Leggo con interesse la sua in cui , ad un certo punto, si mette a fuoco il problema: come affermava James Baldwin già sei decenni fa «può essere migliorato solo in un modo: smettendo di esistere». Quale paradosso? Continuiamo tutti a parlare e scrivere delle periferie ma poi restano tali, non si abbattono per rigenerare, anzi si usano con finalità varie (politica,economica,altro). Dunque questa Milano ha nelle sue periferie la connotazione di metropoli e ciò contribuisce a dare per scontato che esse ci siano con le loro problematiche percepite come standard, dunque la normalità che si fa tragedia e poi spettacolo, fino al grottesco esibirsi dei politici che si fanno fotografare in una periferia o con qualcosa che le rappresenti. Il paradigma è proprio il repper (purtroppo) il quale non esisterebbe se non ci fossero le periferie.
    10 novembre 2021 • 11:35Rispondi
  2. Fausto BagnatoNon per caso, commento questo articolo, in quanto ritengo che, dal ghetto Aler di San Siro, vanno salvate le persone Anziane e con fragilità, alle quali non interessa la " Città dei 15 minuti, il modello che arriva da Parigi. Prendendo ad esempio il Progetto " Casa Paese per demenze di Cicala, paesino calabrese, promosso dalla" Associazione Ra. Gi. di Catanzaro e supportata da For Funging di Banca Intesa - San Paolo, propongo di realizzare il Progetto " Borgo del vicinato degli Over 80, dove gli attori principali saranno le persone con fragilità, tolte dalle case degradate, che saranno assistite anche da volontari. Ci sono ancora a Milano Mecenati, come il realizzatore del Pane Quotidiano?.Occuparsi delle persone fragili, specialmente se soli, deve essere un dovere civico che non esenta nessuno.
    10 novembre 2021 • 12:11Rispondi
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