9 settembre 2021

ELEZIONI A PALAZZO MARINO

Cent’anni di numeri


Le elezioni sono sempre un fatto di numeri.

34.253 i voti di preferenza che consentirono la domenica 14 giugno del 1914 a Benito Mussolini di essere eletto in consiglio comunale, cinquantottesimo su 64 della vincente lista socialista, quando gli aventi diritto al voto erano 141.943 e i votanti furono 77.584, il 54%, curiosamente la stessa percentuale del 2016. Erano le prime elezioni a suffragio quasi universale (erano esclusi dal voto gli analfabeti, le donne, i nullatenenti, i disoccupati, i carcerati). Non che il futuro duce manifestasse grande interesse per l’amministrazione comunale: a Palazzo Marino intervenne una sola volta e si dimise dopo pochissimo tempo, per essere nominato in Cariplo ma anche qui rimase pochissimo: “il rinunciante prof. Benito Mussolini” recita il verbale, fu sostituito da un altro socialista Giuseppe Croce.

4.657 voti e ancor meno furono le preferenze per il futuro duce 2.427 nel 1919 alle elezioni politiche, le prime con una legge elettorale proporzionale, quando i fascisti presentarono la lista solo nel collegio milanese considerando Milano la capitale del fascismo mentre il PSI con segretario Bombacci (che peraltro finirà anche lui a Piazzale Loreto) prendeva il 53% dei voti cittadini.

73,7% la partecipazione al voto alle elezioni municipali del 7 novembre 1920, quando il diritto di voto fu esteso a tutti gli ex combattenti compresi i minorenni. Rivinsero i socialisti per poco più di 2.000 voti sulle destre; chi vinceva eleggeva 64 consiglieri su 80, ma la continuità era relativa perché alla tradizionale maggioranza riformista si sostituì tra i socialisti una maggioranza massimalista-comunista. Allora come oggi era ricorrente la polemica sul significato di riformista: “Riformismo è l’uovo che si accetta oggi rinunciando alla gallina domani” diceva Filippo Turati che in consiglio comunale era entrato nel 1906 e vi restò vent’anni, che proseguiva: “nulla di simile è mai allignato nel socialismo positivo. Il quale nell’azione sua fa bensì conquista di successive riforme; ma queste stanno coordinate al fine ultimo di emancipazione che informa tutto il movimento”. Insomma riformista è un aggettivo non un sostantivo.

1217596995788_image_5Il nuovo sindaco Filippetti (ottavo per preferenze), già presidente dell’Ordine dei medici ma anche presidente degli esperantisti, leader ella frazione rivoluzionaria intransigente, è stato il sindaco più a sinistra nella storia della città. La composizione sociale dei consiglieri di maggioranza era nettamente più popolare e variegata di oggi: accanto a 5 avvocati e 2 medici (l’asse portante del riformismo milanese fino a 40 anni fa) vi erano 5 meccanici, 5 tipografi/incisori, 1 parrucchiere, 1 cameriere, 4 muratori/decoratori, 1 cappellaio, 2 magazzinieri, 2 fattorini, 2 piazzisti, 1 pianista; buoni ultimi nel voto di preferenze gli organizzatori di partito quelli che diverranno negli anni i “funzionari della federazione”.

Nel discorso di insediamento Filippetti non fece sconti: “il comune non è tanto e non è solo un organo amministrativo…nei nostri convincimenti è un organismo politico che fiancheggiando la classe lavoratrice guidata dal socialismo…muove in lotta contro lo stato borghese …”.

SC_S_H0110-02668_IMG-0000095761Il 3 agosto 1922 i fascisti occupano Palazzo Marino e Filippetti viene cacciato con il contributo fondamentale del prefetto, asse portante della reazione in città. Il comune viene commissariato e si va a nuove elezioni che diedero questi risultati: “Blocco cittadino di azione e di difesa sociale”(costituito da liberali, popolari, democratici moderati e fascisti) 57,4% dei voti, socialisti riformisti 30% dei voti, socialisti massimalisti 11%, comunisti l’1,5% (non entrò in consiglio).

Il 30 dicembre 1922 si insediò sindaco Luigi Mangiagalli altro ex presidente dell’ordine dei medici, nemico giurato di Filippetti, i due si narra non si salutavano. Con Mangiagalli fa la sua comparsa nel lessico politico amministrativo il termine “grande Milano”, che ritroveremo per tutto il secolo. Nonostante la solerzia con cui cercò di ingraziarsi Mussolini esemplificata dalle dichiarazioni sul delitto Matteotti: “il delitto colpisce il Governo attuale, per cercare di arrestare la vita di un grande paese e di una grande città. Quella lama che ha colto Matteotti ha colpito ancor più profondamente l’anima e il cuore di Mussolini: l’uccisione di Matteotti deve essere scontata dai colpevoli, non dal Paese e dalla nostra città”, Mangiagalli non fu mai amato dal fascismo milanese che lo accusava di essere un continuista con la politica del braccino corto dei vecchi liberali e di tutelare i proprietari di case a discapito degli inquilini, insomma il fascismo milanese era nettamente più “movimentista” del paludato e…… sindaco, che si era già fatto fare un busto alla memoria…in vita.

L’11 agosto 1925 nonostante Mangiagalli avesse sbarcato dalla giunta moderati e conservatori e governasse la città con un monocolore fascista i consiglieri comunali fascisti si dimettono e così il comune viene commissariato ancor prima dell’arrivo dei podestà; il primo dei quali fu Ernesto Belloni già capogruppo fascista in consiglio comunale, che triplicò il debito del Comune avviando una politica di grandeur che peraltro non gli portò fortuna: fu destituito, processato per corruzione e successivamente mandato al confino, gli andò comunque meglio che all’assessore Ferrario che proprio per aver visto bocciata una sua delibera sui conti comunali, trent’anni prima si era suicidato.

Bisognerà attendere il 7 aprile 1946 perché si tornasse a votare e i risultati premiarono la sinistra: 36,2% i socialisti, 24,9% i comunisti, 26,9% i democristiani, 7% ai liberali, 3% ai repubblicani e 1,6% alla prima delle liste civiche che fioriranno durante tutto il dopoguerra. Sindaco Antonio Greppi il socialista riformista cattolico che dovrà, mentre ricostruiva la città destreggiarsi tra vari cambi di maggioranza, scissioni di partito, crisi istituzionali etc.

galleria

La maggioranza cambiò alle successive elezioni del 1951, quando il blocco composto da democrazia cristiana, socialdemocratici (tecnicamente Partito socialista unitario dei lavoratori italiani), liberali e repubblicani sbaragliò con 451.177 voti contro 289.997 i socialcomunisti, i votanti sono quasi 800.000. Sindaco viene eletto un medico il socialista riformista moderato cattolico Virginio Ferrari, che sostituisce Greppi considerato dal suo stesso partito troppo a sinistra; a Ferrari si devono scelte fondamentali per la vita della città: dalla metropolitana a S. Siro all’aeroporto di Linate, dall’apertura dei supermercati (il mitico Esselunga, al tempo per il 51% dei Rockfeller) all’acquisto della Pietà Rondanini al Museo della Scienza e della tecnica. Fu tra i più longevi sindaci nella storia della città, se ne andò infatti 9 anni e 6 mesi dopo, perdendo le elezioni sia dal punto di vista numerico che politico: Ferrari era un oppositore della politica di centrosinistra e fu sostituito da Cassinis del suo stesso partito ma più a sinistra. Uomo schivo in quella occasione polemizzò duramente con i suoi compagni di partito, del resto dal 1860 al 1993 (quando si arrivò all’elezione diretta a suffragio universale) solo un sindaco lasciò senza rimpianti o polemiche Palazzo Marino proprio Cassinis perché morì mentre era in carica.

Allora come oggi e come confermato dai vari Cencelli fare il sindaco era ben più importante che fare il ministro di seconda fascia; da Antonio Beretta (1860) in poi tutti i sindaci della città sono stati parlamentari con l’eccezione di Giovan Battista Barinetti, Angelo Filippetti, Gino Cassinis, Giampiero Borghini e Giuseppe Sala. Diversi sono stati ministri (Bucalossi, Aniasi, Tognoli, Moratti) anche se forse nessuno ha avuto un ruolo nazionale pari alle aspettative. In consiglio comunale sono passati 4 presidenti del consiglio, svariati ministri da Vigorelli a Salvini, da Solmi a Gelmini, da Jacini a La Russa, da D’Aragona ad Arnaudi, da Visconti Venosta a Malagodi, da Umberto Bossi a Antonio di Pietro che concorse alla carica di sindaco ottenendo il 5,2%, da Granelli a Lupi, da Martelli a Matteotti, da Pagliarini a Rognoni, da Sterpa a Tremelloni a Longo Pietro ma anche un paio di condannati a morte per diserzione e un imputato di assassinio.

Mussolini 192439 i seggi comunali del blocco cosiddetto centrista alle elezioni del novembre del 1960 (l’asse DC-socialdemocratici-laici) numero che segna la fine del governo centrista della città, protagoniste della sconfitta le liste moderate che non ottennero seggi mentre fondamentale fu l’apporto che i radicali diedero entrando nella lista socialista (l’appello pro-socioradicali fu firmato da Leo Valiani, Elsa Morante, Ernesto Rossi, Leonardo Sciascia, Giorgio Spini, Lionello e Franco Venturi, Alessandro e Carlo Galante Garrone, Mario Monicelli, Alberto Moravia, Ennio Flaiano, Mario Pannunzio, Elio Vittorini, Franco Fortini, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassmann, Carlo Cassola, Eugenio Scalfari eletto con 3.700 preferenze, Camilla Cederna, Mario Soldati e Arrigo Benedetti ). Per governare senza ricorrere al voto degli ex fascisti DC e PSDI devono aprire ai socialisti di Nenni (con Craxi che fa il suo ingresso in Comune), nasce, dopo estenuanti trattative il primo centro sinistra milanese cui seguirono quelli di altre città mentre per quello nazionale bisognerà attendere il 1963.

Non fu una transizione tranquilla: alle elezioni successive del novembre 1964 un terremoto scuote la politica cittadina: 227.000 elettori sul milione e settantacinquemila votanti, votano Partito Liberale, che con il 21% dei voti, più che raddoppiando quelli delle precedenti elezioni diventa arbitro dei destini di Palazzo Marino, ma non ne saprà approfittare.

La feroce opposizione al centro sinistra di Malagodi: “Quello che avviene a Milano (il centrosinistra) noi combatteremo senza tregua e misericordia…al comune la dc e i socialdemocratici si accingono a fare violenza ai loro impegni elettorali” favorirà infatti paradossalmente l’elezione di due sindaci socialisti riformisti : Bucalossi dal 1964 al 1967 e Aldo Aniasi dal 1967 al 1975 e i liberali perderanno alle elezioni successive 100.000 voti per scendere ulteriormente dieci anni dopo nel 1975 al 4,6%.

58.684 le preferenze prese da Malagodi ancor oggi record per un consigliere comunale che non sia stato sindaco, mentre il record assoluto è di Carlo Tognoli. 38 anni il record di presenza in consiglio comunale che spetta a Basilio Rizzo in condominio con Sala Luigi eletto con 3049 voti nel 1860 e confermato fino al 1898.

Le percentuali del tempo registravano quasi millimetricamente l’umore della città perché la partecipazione al voto di fatto obbligatoria, era altissima; alle comunali del 1975 votarono 1.166.833 contro i 537.000 del 2016 e gli abitanti erano al censimento del 1971 1.732.000 del 2011 1.242.000.

Un secondo terremoto si produce con la nascita della prima giunta di sinistra dell’era repubblicana inaugurata da Aniasi e proseguita per circa un decennio da Tognoli. Nel giugno 1975 alle elezioni comunali il PCI ottiene il 30,39% dei voti e 25 seggi, è il primo partito in città, in consiglio non vi sono i numeri per una maggioranza di sinistra mentre sarebbe possibile una risicata maggioranza centrista. Il 31 luglio nasce la giunta di sinistra con 46 voti su 80, 25 comunisti, 12 socialisti, 3 demoproletari, 3 fuoriusciti dalla DC e 3 socialdemocratici (che fuoriusciranno dal PSDI), è una giunta realizzata contro il volere delle segreterie nazionali dei partiti (Berlinguer voleva il compromesso storico con la DC) è una giunta che conferma la “diversità” milanese, sobrio il commento dell’allora capogruppo DC: “un tradimento allo stato puro”.

Alle elezioni del 1980, grazie soprattutto allo straordinario successo dei socialisti di Tognoli (eletto sindaco nel 1976) che sfiorano il 20% la giunta rossa viene confermata; la stessa notte in cui si decide la nuova giunta due giorni prima della strage di Bologna, alle 1.55 di notte scoppia un’autobomba davanti a palazzo Marino, il neoeletto sindaco è ancora in ufficio con alcuni consiglieri, la strage è evitata perché esplode solo un terzo degli esplosivi, nessun colpevole sarà mai condannato e ambigue furono anche le rivendicazioni.

Alle amministrative del 12 maggio 1985 perdono voti sia il PCI che la DC mentre si afferma il PRI di Spadolini con il 9,9%; si vota anche per il referendum per la progressiva chiusura della Cerchia dei navigli al traffico privato che i milanesi plebiscitarono con il 70,3% dei voti. Poco dopo l’altro referendum sulla scala mobile che i milanesi approvarono con il 60% dei voti, a palazzo Marino il 24 luglio si insedia una giunta di pentapartito sempre guidata da Tognoli con l’astensione dei Verdi. Poco più di un anno dopo Tognoli che sarà eletto sia al parlamento europeo che a quello nazionale verrà sostituito dal compagno di partito Pillitteri.

TogliattiAlle elezioni del 1990 calano ancora DC,17 seggi e PCI 16 seggi come il PSI, ma la vera novità è l’arrivo in consiglio della Lega Nord che elegge ben 11 consiglieri mentre ben tredici le liste superano il quorum. Sono le ultime comunali con il voto proporzionale: nel pieno della stagione di mani pulite il 25 marzo del 1993, il parlamento italiano ha approva la legge n. 81 sull’elezione diretta del sindaco, cala il sipario sui partiti come protagonisti della vita politica cittadina e cala il sipario anche sui consiglieri comunali ridotti al rango di comparse.

Dopo una fase di commissariamento, il decimo nella storia della città dal 1860, si va all’elezione diretta del sindaco, storia troppo nota per tornarci ma mentre ovviamente ci si ricorda dei vincitori meno ricordo vi è degli sconfitti, soprattutto di quei candidati a sindaco che non arrivarono al ballottaggio e andrebbero invece ringraziati quantomeno per aver movimentato la campagna: Piero Bassetti, Adriano Teso, Umberto Gay, Milly Moratti, Gianluca Corrado, Basilio Rizzo, Manfredi Palmieri, Mattia Calise, Sandro Antoniazzi, Borghini Giampiero, De Corato, Di Pietro.

Il più evidente effetto della nuova legge fu il moltiplicarsi a dismisura di candidati a sindaco e a consigliere. Nel 1993 i candidati a sindaco furono 12 e 20 le liste, 15 candidati nel 1997 con 26 liste, 10 nel 2001 con 19 liste, 33 liste con 21 che non superarono lo 0,6% nel 2006 per 10 candidati, 30 liste nel 2011 con 15 che non superarono lo 0,5% per 9 candidati, 9 candidati nel 2016 con 16 liste.

Molti aspiranti primo cittadino non hanno superato l’1%, tra loro: Fatato Carlo, Vangeli Pietro, Bontempelli Sergio, Colombo Valerio, Frisali Ugo, Gozzoli Sergio, Giardoni Sante, Montuosi Fabrizio, Sabene Alberto, Ballabio Giorgio, Crespi Ambrogio, Fabbrili Giovanni, Fatato Elisabetta, Facca Cesare, Gazzoli Sergio, Maria Teresa Baldini, Pagliuzza Gabriele, Sarao Ugo, Bucci Giovanni, Schulz Giorgio, De Alberti Carla, Luigi Sant’Ambrogio, Carelli Attilio, Carluccio Stefano, Mantovani Marco, Natale Azzaretto, Stroppa Claudio, Tordelli Marco, Armand Armani, Occhio Norelli Camilla, Marinoni Antonio, Staiti Cuddia delle Chiuse, Paglierini Giancarlo, Cito Giancarlo, Maiolo Tiziana, Testa Arturo, Bossi Angela. Il record credo spetti a Vangeli Pietro nel 2006 392 voti, pari allo 0,06%. Tra le curiose giustificazioni questi flop la più originale è stata: “contavo sul voto disgiunto”.

grillo

Il premio continuità va alla lista del partito dei pensionati che nel 1993 candidò sindaco il suo leader Carlo Fatuzzo e nel 2011 la figlia: un partito dinastico; il primo ottenne 2.576 voti l’erede 1.615 entrambi lo 0,2%.

Molte le liste e i candidati a sindaco che hanno raccolto meno voti delle firme necessarie per presentare la candidatura, record (credo) la lista Europa Federale che nel 2006 prese 128 voti, sempre meglio della lista del Partito Italia Nuova che dopo aver lanciato una campagna di manifesti con il simbolo: una serratura di tintobrassiana memoria e uno slogan in tema “tu sei la chiave” (non scherzo) non si presentò alle elezioni.

Sterminato l’elenco di candidati che non hanno ottenuto più di 1 voto di preferenza, ma cospicuo anche l’elenco di chi con metodica insistenza si candida di volta in volta (anche oggi), alcuni hanno anzianità di candidatura e di trombatura da record; 369 candidati nel 2011 presero tra 1 e 10 voti, moltissimi i candidati che non prendono neppure un voto, probabilmente degli occasionali riempitivi di lista.

Il più importante dei numeri elettorali è però quello della partecipazione nel 2016 i votanti per l’assemblea comunale furono 503.000 (un po’ di più gli elettori del sindaco 550.206) su 1.006.701 aventi diritto, non un buon segnale di salute per la democrazia.

Walter Marossi



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Sullo stesso tema


23 aprile 2024

MILANO E LE MANIFESTAZIONI PER IL 25 APRILE

Walter Marossi



9 aprile 2024

BANDIERE ROSSE A PALAZZO MARINO

Walter Marossi



19 marzo 2024

MILANO CAPITALE

Walter Marossi



5 marzo 2024

PALAZZO MARINO E IL PANE

Walter Marossi



20 febbraio 2024

LA FOLLA DELINQUENTE

Walter Marossi



6 febbraio 2024

ISRAELE E PALAZZO MARINO

Walter Marossi


Ultimi commenti