24 aprile 2021

LA CITTÀ IN 15 MINUTI

Un problema ancora molto aperto. Troppo


Lo slogan “città dei 15 minuti”, che solo un anno fa sembrava un approccio certamente virtuoso ma irrealizzabile nelle nostre città, ha preso progressivamente piede nel corso di una pandemia che ci ha fatto (ri)scoprire i quartieri nei quali abitiamo: costretti a casa in smartworking, con i divieti di circolazione imposti, non restava che usufruire del parco e dei servizi sotto casa.

Righini

Da questa consapevolezza è nata una proposta fatta propria dalla giunta milanese, che ha l’obiettivo di elaborare una visione di città ridisegnata in modo tale che nel raggio di un quarto d’ora a piedi, o in bicicletta, chiunque possa raggiungere servizi educativi, sanitari, culturali, del tempo libero e del lavoro.

In questo modo l’obiettivo novecentesco di rendere raggiungibili punti distanti della città nel minor tempo possibile sembra lasciare il passo al concetto di “prossimità”. Ma siamo sicuri che, da solo, garantisca una città più funzionale, più giusta e più moderna?

Le motivazioni che supportano la “città dei 15 minuti” sono indubbiamente lodevoli e condivisibili: dalle questioni ambientali (ridurre gli spostamenti e quindi il traffico vuole dire produrre meno emissioni) a quelle di vivibilità (aumentare il mix funzionale e i servizi).

Tuttavia sembra necessario inserire, all’interno di questo dibattito milanese, alcuni elementi di riflessione per comprendere che, senza alcuni correttivi di natura sociale e di scala, si rischia di aumentare una certa polarizzazione sociale nonché le disuguaglianze tra centro e periferia (e tra città e area metropolitana).

Dalle analisi condotte dalla piattaforma web ideata da Sony Lab (https://csl.sony.fr/the-15-minute-city-unveiled/), è interessante osservare i dati della città di Parigi, la città che per prima ha adottato questa politica urbana con la sindaca Hidalgo, che rilevano come la “città da 15 minuti” già esiste nei quartieri più centrali, dove gli abitanti spesso si trovano anche a meno di un quarto d’ora da molti servizi, con la solo eccezione del lavoro, che è la funzione che spesso costringe a lasciare il quartiere per diventare pendolari. Più ci si allontana dal centro, più le distanze si allungano e i servizi scarseggiano.

Seppur senza avere a disposizione i dati sui flussi milanesi, sembra lecito un paragone con la metropoli francese: la città compresa nel perimetro delimitato dall’area C è già caratterizzato da un ottima dotazione di servizi e da un ridotto uso dell’automobile grazie alla capillarità del trasporto pubblico e ai nuovi servizi di sharing mobility. In questi quartieri il completamento o la realizzazione di qualche tratto di pista ciclabile o la riqualificazione di qualche spazio o verde pubblico sembrano sufficienti per completare tale visione.

Tuttavia, se ci allontaniamo dal centro, i servizi iniziano a diminuire ed è evidente che servano investimenti e progetti ben più strutturali e impegnativi, che non possono prescindere da un rafforzamento delle politiche di welfare, soprattutto in questo periodo dove i dati sull’aumento della povertà assoluta richiedono ulteriori interventi a sostegno del reddito per coloro che, a causa della crisi economica generata dalla pandemia, hanno perso il lavoro, la casa o hanno visto la contrazione delle proprie entrate.

Le lunghe liste di attesa fuori da Pane Quotidiano e da altri banchi alimentari lasciano presagire che ci sarà bisogno di interventi sociali straordinari nei prossimi mesi e anni. Riuscire a sviluppare politiche di welfare che comprendano dotazione di servizi nei quartieri che attualmente ne sono meno dotati rappresenterebbe il vero salto di qualità.

Inoltre, una parte importante della sfida della prossimità urbana è mantenere, anche per i quartieri più centrali, la capacità di essere aperti e inclusivi nei confronti del resto della città in quanto il tema non può essere quello di la trasformare i quartieri in villaggi chiusi e autosufficienti, quanto avere una commistione sociale e intergenerazionale e garantire quanti più servizi possibili ai cittadini, partendo dall’offerta di un trasporto pubblico integrato ed efficiente, che consenta di raggiungere tutte quelle funzioni che hanno un bacino necessariamente più ampio di quello del quartiere.

Ospedali, scuole superiori, università, parchi territoriali, servizi culturali e artistici sono dotazioni che non è certamente credibile o fattibile riproporre alla scala di quartiere, ma sui quali servono azioni concrete per renderli maggiormente fruibili e utilizzabili.

In questo modo si pone la questione della scala territoriale, fondamentale per una politica che si propone di distribuire funzioni e servizi per renderli più diffusi e vicini ai cittadini.

Dopo anni di scelte localizzative milanesi centripete, qualunque seria strategia per una città di prossimità non può non affrontare il tema della decentralizzazione e lo sviluppo di nuovi servizi e poli attrattori e di qualità anche al di fuori dei confini amministrativi, sfruttando in via prioritaria le linee del trasporto pubblico su ferro esistenti e in fase di progettazione.

Una nuova idea di rigenerazione urbana, come un nuovo modello di sviluppo urbano e metropolitano più giusto e sostenibile, ha bisogno di tutti questi elementi se vogliamo una città che oltre a quartieri vitali e qualche chilometro in più di piste ciclabili, sia anche più inclusiva e aperta.

Serena Righini



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