4 febbraio 2021
IL GENIO DEL MALE
Paolo Isotta, un critico musicale discusso
Paolo Isotta è stato trovato morto venerdì scorso nella sua casa napoletana e la sua morte, come tutta la sua vita, è stata teatrale, non è dato conoscerne le cause né le modalità, e non voglio indulgere al gossip che in queste ore la circonda. Chi l’ha conosciuto quaranta o cinquant’anni fa, giovane brillante musicologo all’inizio di carriera, lo ricorda come un bel ragazzo, simpatico ed esageratamente colto. Aveva memoria di ogni nota ascoltata e di ogni pagina letta, soprattutto aveva un’idea precisa e profonda della storia della musica e dell’interpretazione musicale, un’idea a tutto tondo, che abbracciava generi, secoli e civiltà. Molti, fra quanti lo hanno conosciuto negli ultimi anni, non hanno invece potuto fare a meno di detestarlo, per l’arroganza delle sue opinioni e per la banale cattiveria dei suoi giudizi.
Non è bello né piacevole criticare un uomo che se ne è appena andato, e che a suo modo ha dato testimonianza di intelligenza, di fantasia, di coraggio, che non si è mai “tirato indietro”, ma lo faccio indignato dalla ipocrisia che ci circonda e che ammorba in modo particolare il mondo della cultura e dei cosiddetti intellettuali. Mi fa orrore il necrologio del Teatro alla Scala, che nel 2013 lo dichiarò “persona non gradita” (credo che non sia mai successo, deve essere stata la prima ed unica persona trattata così dal nostro massimo teatro lirico); ancor peggio è quello del Corriere della Sera che nel 2015 lo licenziò brutalmente – e aggiungo giustamente – dopo avergli consentito di insultare mezzo mondo per ben trentacinque anni.
Nelle pagine della cultura il Corriere aggiunge, per bocca del suo critico Enrico Girardi, che “era un cavallo di razza, consapevole della propria intelligenza fuori dal comune e della solidità della propria formazione classica e giuridica (sic) oltre che musicale. E come quasi tutti i cavalli di razza non era uomo facile da governare, perché a volte diveniva odioso persino a sé stesso”. Quanto bon ton!
Più critico e pudico è stato Angelo Foletto su Repubblica, che gli ha rimproverato di aver avuto “pregiudizi” oltre che giudizi, “valutazioni sferzanti e meschine”, una scrittura “d’assalto ma erudita” e di avere “maramaldeggiato” quando ne ha avuto la possibilità. Mentre Pietrangelo Buttafuoco sul Foglio pubblica una pagina del libro “L’Ultimo Diavolo”, in cui Isotta si diletta a descrivere l’orrenda figura viziosa di tal Cardinale Taddeo Reda di Giugliano nel momento in cui cerca di procurarsi un bel ragazzo per soddisfare una improvvisa e inconfessabile libido. Buttafuoco sostiene che il ritratto del porporato sia in realtà l’autoritratto dell’autore. “Senza tema di smentita il ritratto di Paolo – il Paolino (sic) di tutti noi – è in questa complice trasfigurazione di sé in forma di libro. In forma di poesia, invece, ha fatto tutto lui, ieri; vestito di tutto punto, a ciglio asciutto, facendo marameo al mondo”. Più chiaro di così….
Nel mio piccolo scrissi di lui nel 2009 (“Pappano e Isotta”) e nel 2014 (“Paolo Isotta, Muti e il Corriere”) e dissi tutto ciò che di lui pensavo: sul piano musicale, commentando quella spudorata adorazione nei confronti di Riccardo Muti contrapposta all’orrenda malevolenza e maldicenza nei confronti di Claudio Abbado. Scrivevo anche del “carattere iperbolico ed apodittico dei suoi giudizi (…«il migliore di ogni epoca»… «il peggiore che abbia mai ascoltato»… ecc.) tendenti sempre ad irridere alcuni – meglio se grandissimi, come Abbado o Pollini – ed a magnificare altri, meglio se sconosciuti: l’importante per lui è «épater les bourgeois» e con ciò costruirsi la fama di supremo giudice che tutti sovrasta”.
Adesso che se ne è andato mi domando che cosa resta di lui e vorrei esprimerlo con franchezza, senza falso pudore. Restano soprattutto gli anatemi lanciati contro i musicisti che ebbero il solo torto di non genuflettersi davanti al “temutissimo, amatissimo e odiatissimo recensore del più diffuso quotidiano nazionale” (Nanni Delbecchi, sul Fatto Quotidiano di ieri) e le volgarità di cui è pieno il più noto dei suoi libri “Le virtù dell’elefante. La musica, i libri e San Gennaro”, di cui scrissi essere un libro “sordido per il peggior gossip che si possa immaginare, a sfondo scandalistico e pornografico, dedicato anche a persone – e ciò mi scandalizza – che non ci sono più e che dunque non possono né smentirlo né querelarlo”. È per questo che oggi non solo mi sento autorizzato a scrivere ciò che ho scritto, ma credo che, almeno in questo caso, non si debba cedere al conformismo che vuole necrologi e coccodrilli sempre agiografici.
Paolo Viola
6 commenti