8 gennaio 2021
NON SE NE PUÒ PROPRIO PIÙ
Musica e Covid
Fra pochi giorni sarà trascorso un anno da quando non si è più potuto ascoltare musica dal vivo. Difficile da credere, per chi per decenni ha passato la maggior parte delle sue serate all’opera o in sale da concerto, e che ha messo la musica al centro dei propri interessi intellettuali e – lasciatemelo dire – spirituali.
Un anno insopportabile, molto più insopportabile delle mascherine, dei distanziamenti, di non poter viaggiare, di non poter abbracciare (e spesso neppure poter vedere) tanti amici impauriti o semplicemente molto prudenti. Perché ascoltare musica, per chi ha questo privilegio, è un vero cibarsi dello spirito, e l’assenza di quel nutrimento priva della joie de vivre e provoca danni gravi all’umore, al carattere, alla qualità della vita.
È veramente difficile capire perché si può andare a lavorare negli uffici, nelle fabbriche, nei laboratori, nelle masserie, nei mille spazi in cui si deve necessariamente collaborare con altri, e non si può eseguire musica insieme, in un quartetto o in un’orchestra, ed ascoltarla seduti tranquillamente a un metro di distanza uno dall’altro. Ora mi è più chiaro perché non capita mai di vedere un politico a un concerto (a meno che non vi sia una passerella televisiva!); perché gli interessi culturali sono considerati superflui, certamente meno essenziali della cura del proprio corpo o dei propri animali da compagnia.
Non ascoltare musica per un anno intero, e credere di poterla sostituire dalle registrazioni, audio o video che siano, è come ritenere che svolgere la didattica a distanza anziché a scuola sia un’operazione indolore e senza conseguenze per i ragazzi. Credere che il lavoro da remoto sia uguale a quello svolto di persona sappiamo tutti che è una finzione, vediamo ogni giorno che dà risultati molto diversi e, nella grande quantità dei casi, a dir poco insoddisfacenti.
E mi perdoneranno i lettori se, non essendo un musicista ma solo un ascoltatore, e non potendo ascoltare musica, non sono in grado di parlarne. Ma il desiderio di togliermi un sassolino dalla scarpa (un sassolino non proprio piccolissimo!) riguardo al periodo che stiamo vivendo, è troppo forte. Vogliate dunque scusarmi una amara digressione.
Altra insopportabile cosa di questi orribili tempi sono i giornali e i telegiornali che ci tempestano quotidianamente di numeri terrificanti e tuttavia molto poco significativi. Mi spiego. Prima di tutto bisognerebbe non enfatizzare – forse neppure citare – il numero dei contagiati presi in mucchio, uno per l’altro, ma ci si dovrebbe limitare ad indicare il numero di coloro che si ammalano, più o meno seriamente ma “realmente”, cioè di coloro che hanno bisogno di essere curati. Che senso ha contarli insieme ai contagiati asintomatici, o a quelli che se la cavano in pochi giorni con qualcosa che assomiglia all’influenza cui siamo da sempre abituati? A me sembra una sorta di inutile terrorismo.
Non basta. Dal numero dei poveri morti “per” Covid si devono togliere gli ultraottantenni (facendo parte del gruppo mi sento autorizzato a parlarne!) e coloro che sono già afflitti da qualche malanno serio; dovremmo dare per scontato – realisticamente – che le loro vite sono comunque appese alla speranza di non ammalarsi, di nulla o di null’altro. Altrimenti il numero di morti “per” Covid risulta enormemente sovrastimato. Né bisognerebbe dire morti “per” Covid ma “con” Covid. Il numero dei decessi nel mese dovrebbe essere sempre associato al numero dei decessi avvenuto nello stesso mese degli anni passati e soprattutto dovrebbe essere sempre accompagnato dalla sua percentuale rispetto alla popolazione Altrimenti, come dicevo, quei numeri non significano proprio nulla.
Quanto poi all’altro numero, quello dei posti per i ricoverati in terapia intensiva, mi domando se è giusto che lo stato ci privi della libertà fondamentali (compresa quella di ammalarci!) anziché provvedere ad aumentare il numero dei letti in ospedale e quello dei medici e degli infermieri in relazione al fabbisogno, come fa (o come dovrebbe fare!) con le aule scolastiche, i mezzi di trasporto pubblico, le linee elettriche, le fognature e via di seguito con le infinite necessità della popolazione. È più giusto dirci non ammalatevi o piuttosto adeguare le strutture ospedaliere al numero degli ammalati? So quel che si pensa: i numeri potrebbero diventare tanto grandi da non riuscire più a curare nessuno. Rispondo che non sono ancora riuscito a trovare delle analisi scientificamente affidabili che analizzino questi numeri e paragonino il rischio di “vera” malattia, e di morte dovute “esclusivamente” al Covid, a tutti gli altri rischi di malattia e di morte con i quali conviviamo da sempre. Questi sono i numeri che ci piacerebbe conoscere, non i bollettini dei contagi e di morti messi tutti nello stesso calderone.
Insomma, per tornare a noi, sono certo che dovremmo poter continuare ad ascoltare musica, con qualche accorgimento per tranquillizzare i più fragili o i più prudenti, se solo i nostri governanti ne capissero la necessità e l’impellenza. In ogni caso preferisco senza alcun dubbio rischiare il contagio, come lo rischio andando tutti i giorni in studio a lavorare, piuttosto che restare senza musica per chissà quanto tempo ancora.
Paolo Viola
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