4 gennaio 2021

IL PIANO ARIA E CLIMA DI MILANO

Una pacata critica


Tra gli imputati del grave disagio e crisi della città, c’è il problema dell’aria e del clima, una parte soltanto del più generale problema dell’inquinamento e delle sue conseguenze.

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Chi si limitasse alla lettura del Piano Aria e Clima contenuta nelle 18 slides di presentazione disponibile sul sito del Comune di Milano, non potrebbe che esserne favorevolmente colpito e nulla potrebbe obbiettarsi riguardo gli enunciati dei 5 ambiti di intervento che attendono ad una Milano una città pulita, equa, aperta e solidale (“sana e inclusiva”), che si muove in modo sostenibile, flessibile, attivo e sicuro (“connessa e altamente accessibile”), che consuma meno e meglio (“a energia positiva”), più verde, fresca e vivibile che si adatta ai mutamenti climatici (“più fresca”), che adotta stili di vita consapevoli (“consapevole”).

Del tutto condivisibile l’impegno della città nell’aderire a reti e iniziative internazionali, tra cui il C40 Cities Climate, che conferma come Milano voglia far parte del network delle città mondiali.

Di questo network Milano partecipa, con tutta evidenza, non come “municipio” ma come polo primario di un’area metropolitana sostenuta da un sistema urbano policentrico.

Una multiville, definita da Giulio Redaelli nel luglio del 1980 in un articolo su Le Monde Diplomatique, che è parte integrante di quel riconoscibile spazio europeo, la Metropolitan European Growth Area (MEGA), costruitasi nello sviluppo storico, delimitata da Londra, Amburgo, Monaco di Baviera, Milano e Parigi (il cosiddetto “Pentagono”), elemento propulsivo di un possibile sviluppo che investe tutto il territorio europeo.

Non basta a giustificarne l’appartenenza neppure il suo, fin qui virtuale, status di Città Metropolitana, oggi riduttivamente confinato al suo hinterland, essendone esclusi perfino Monza e la Brianza, ma proprio il suo essere parte di un sistema urbano policentrico, esempio di rilievo mondiale di uno sviluppo alternativo a quello, risultato congestivo, della città-metropoli: una rete di città dove città e campagna coesistono, solo insidiato ma non stravolto dallo sprawling insediativo degli ultimi decenni.

Il sistema urbano milanese-lombardo è, per altro, al centro di una vasta pianura, la pianura padana, caratterizzata da una forte densità urbana, che costituisce un continuum urbano strategico, con un forte ruolo nazionale per le relazioni con i cantoni svizzeri e le altre regioni al di là delle Alpi.

È su queste consapevolezze che un credibile “Piano Aria e Clima” di Milano (PAC) deve necessariamente fondarsi, né le azioni che lo sostengono possono ridursi allo stretto ambito comunale.

Tuttavia, di tutto questo nel Piano approvato poco si scorge, se non la flebile traccia dei rimandi ad intese che guardano, a posteriori, ad una governance istituzionale tra «Comune, Città Metropolitana, Regione e Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente».

Governare i processi che portino la qualità dell’aria a Milano a rispettare i valori-limite previsti dalle norme UE e nazionali e le Linee-guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), e a rendere credibile l’impegno a una totale eliminazione dei combustibili fossili per fare di Milano una città Carbon Neutral al 2050, implica un sistema di azioni coordinate tra enti istituzionali nazionali, regionali e comunali che Milano, a buon diritto, può promuovere, ma che Milano da sola non può realizzare.

Questo il primo impegno che deve reso esplicito nel definire nel 2021, come “sfida di breve periodo” del PAC, una strategia che guardi, al 2050, al rientro dei parametri per gli inquinanti atmosferici previsti nelle Linee guida dell’OMS.

Ma al di là di quanto compare nelle slides di presentazione, la lettura integrale del Piano Aria e Clima, adottato il 22 dicembre scorso dal Consiglio comunale, sulla base di quanto deliberato dalla Giunta il 15 ottobre 2020, merita più di una considerazione, in particolare per quanto riguarda le politiche di intervento volte a fare di Milano una città “connessa e altamente accessibile”.

Dalla consapevolezza di essere una città di rango mondiale ci si aspetta che la giusta prospettiva di rendere Milano “connessa e altamente accessibile” punti ad una visione capace di abbracciare al sistema di relazioni e di scambi sotteso alla sua dimensione.

Una dimensione che non è solo territoriale e demografica, ma economica, sociale, culturale, consapevole dell’appartenenza ad un sistema urbano complesso accreditato dall’ESPON (European Spatial Planning Observation) di una popolazione di oltre 4 milioni 100 mila abitanti, che la collocano al 5° posto dopo la Grande Londra (13,7 milioni), l’area metropolitana di Parigi (11,1 milioni), l’area della Ruhr (5,4 milioni), l’area metropolitana di Madrid (5,3 milioni) e la riconoscono parte di una più vasta regione policentrica di 6 milioni di abitanti, che arrivano, a giudizio dell’OCSE, a 7.400.000 distribuiti su un’area di circa 12.000 km².

Per tenere assieme l’obiettivo di tutela della salute e quello di una “connessione” a scala nazionale ed europea le linee di indirizzo enunciate, che attendibilmente devono presiedere al futuro aggiornamento del Piano di Governo del Territorio e del Piano Urbano della Mobilità Sostenibile, sembrano dimentiche di quanto occorre fare perché, nell’interesse di Milano, della Lombardia e dell’intero Paese, si perfezionino le relazioni ferroviarie – di passeggeri e, soprattutto, merci – con il centro Europa, ravvicinato a Milano e alla Lombardia dagli interventi svizzeri dell’AlpTransit, con la direttrice del Sempione-Lötschberg e del Gottardo, ma debole nella strategia in territorio italiano e, comunque, in grave ritardo sui tempi programmati.

Sgravare il sistema delle autostrade lombarde del trasporto con camion, potenziando le linee ferroviarie e realizzando centri di intercambio merci e centri di distribuzione prossimi ai luoghi di consumo e di produzione, darebbe vantaggi più considerevoli rispetto al carico emissivo, in attesa del prospettato processo di elettrificazione delle autostrade, che costituisce obiettivo di medio e lungo termine.

Condizione perché Milano sia davvero “connessa e altamente accessibile”, spostando sul trasporto pubblico di massa una quota degli spostamenti con mezzo privato, sulla cui percentuale è fatto obbligo non mitizzare, è necessaria la trasformazione del servizio ferroviario in un moderno trasporto rapido di massa – che preveda un nuovo assetto del nodo ferroviario di Milano e la totale integrazione dei servizi comprensoriali, interpolo, regionali e di lunga distanza – che costituisca la rete portante su cui attestare le altre modalità (micromobilità elettrica compresa).

Una rete ferroviaria dell’intera area milanese-lombarda e non le sole linee, come il PAC afferma, che gravitino su Milano sulla quale per ciascuna delle 95 stazioni con riconosciuto ruolo di interscambio si prevedano, oltreché l’apporto di veicoli in sharing, come proposto dal PAC, programmi, anche urbanistici, capaci di esaltarne la funzione e rendere efficace, in quanto razionalmente conveniente, il trasbordo intermodale e, nel contempo, associno alla riduzione degli spostamenti con mezzo privato, una efficace inversione di tendenza di insediamenti terziari, quali spazi per il co-working e la residenza temporanea, da Milano verso i poli circostanti.

In ultimo sembra abbandonata, dopo la cancellazione del PUMS di quanto previsto dal PUM 2001-2011, ogni strategia di riforma strutturale del nodo ferroviario di Milano, che ormai, in luogo del ripristino in sotterraneo della cintura ovest eliminata negli anni Trenta, sembra limitarsi all’apertura di alcune nuove stazioni di cintura.

Gli elementi caratterizzanti il Piano Aria e Clima

Per quel che riguarda la Mobilità tre sembrano gli elementi caratterizzanti il Piano Aria e Clima:

  1. La riduzione “netta” della mobilità personale motorizzata a uso privato con il dimezzamento al 2030 delle percorrenze complessive annue in ‘Area B’ effettuate dalle autovetture.
  2. L’esaltazione della ciclabilità e della micromobilità elettrica come fattore decisivo per la riduzione della mobilità privata su auto.
  3. L’espansione progressiva della mobilità elettrica in Milano, da applicare entro il 2022 per l’ingresso nella Cerchia dei bastioni con l’istituzione di una “Zero Emission Zone”.

Sulla riduzione “netta” della mobilità personale motorizzata a uso privato

La riduzione “netta” della mobilità personale motorizzata a uso privato con il dimezzamento al 2030 delle percorrenze complessive annue in ‘Area B’, laddove non si voglia pesantemente penalizzare l’accessibilità su Milano, deve poter contare su un programma di investimenti sul trasporto pubblico, ed un corrispondente impegno economico per la loro gestione, che va ben oltre quanto previsto negli attuali strumenti di pianificazione della mobilità quali il completamento e la riqualificazione delle metropolitane esistenti, l’estensione e la riqualificazione della rete tranviaria, il rafforzamento della rete portante del trasporto pubblico locale di superficie.

Investimenti più calati per la Milano compresa entro la nuova “cinta daziaria” costituita dall’Area B ai confini comunali che a dare una risposta concreta alla mobilità di scambio tra Milano e l’area metropolitana, che non trova oggi un adeguato servizio di trasporto pubblico non solo per quanti entrano quotidianamente in Milano per motivi di lavoro e studio, accedono ai servizi portando ricchezza alla città, ma anche per quanti da Milano escono, in numero pari, per ordine di grandezza, a quanti vi entrano.

Ma per quanto questi interventi siano concepiti per il miglioramento delle relazioni entro Milano, essi non saranno sufficienti a dare risposta alle ragioni della mobilità interna, motivata da ragioni, che sono state a fondo indagate dalle indagini Origine-Destinazione effettuate da ATM e da Amat in anni non recenti, dovuta a spostamenti definiti “essenziali”, che non troverebbero comunque un’alternativa efficace nel trasporto pubblico, oggi eccellente ma non esaustivo perfino per quanti entrano oggi nella Cerchia dei bastioni.

Il dubbio è per il dimezzamento degli spostamenti quotidiani si voglia contare sulla diminuzione del tasso di motorizzazione: programmata attraverso la riduzione della capacità delle principali direttrici stradali, come già si è fatto sull’onda dell’emergenza Covid ridisegnandone la sezione con le piste ciclabili, estendendo all’intera città il pagamento della sosta, aumentandone il costo (che altro non sarebbe “l’introduzione di nuove politiche tariffarie”, promessa dal PAC), brandendo la minaccia della “sosta a pagamento” per i residenti (di per sé da considerare positivamente ma tanto gradita in passato che uno studio specifico commissionato nel 2003 all’Agenzia Mobilità e Ambiente (oggi Amat) non fu portato all’esame della Giunta Albertini in quanto contrastato da tutti i partiti di maggioranza).

Ben venga un piano che riduca “le aree di sosta su strada per i veicoli privati a favore di sistemi di mobilità sostenibile” a patto che si prevedano, in progressivo parallelo, parcheggi per residenti in strutture verticali sotto o sopra terra e nuovi parcheggi di interscambio dentro e fuori Milano. Si invertirebbe così la tendenza che ha visto cancellata, a favore di un parcheggio di 300 posti, la realizzazione del parcheggio di corrispondenza pluripiano di 1800 posti auto progettato da MM insieme alla stazione M3 Comasina, che avrebbe garantito il più razionale interscambio tra il parcheggio, la linea metropolitana M3 e la prevista metrotranvia Milano-Limbiate.

L’esaltazione della ciclabilità e della micromobilità elettrica

Chi pagherà i costi gestionali di un trasporto pubblico così articolato ed efficace da sopportare il carico aggiuntivo dovuto al “dimezzamento” della mobilità personale motorizzata a uso privato? Il Piano prevede un calcolo, anche di massima, di questo impegno finanziario, al di là dei costi relativi al mancato rispetto della normativa UE e delle Linee guida dell’OMS?

Fino a che punto si conta in proposito sull’apporto di una mobilità personale affidata alla ciclabilità e della micromobilità elettrica? Lo sharing di auto, moto, bici e monopattini potrà garantire un contributo utile ma marginale e sarà comunque economicamente da sostenere, come il PAC propone, «con incentivi pubblici, sia con politiche di agevolazione della sosta, sia con l’utilizzo delle corsie preferenziali del trasporto pubblico», già oggi penalizzato nella regolarità e nella velocità media da moto e bici.

Se è del tutto condivisibile la politica di una ciclabilità diffusa e di ambiti a traffico moderato (Zone 30) per una sicura e vivibile mobilità di quartiere, altrettanto non può dirsi per la volontà di realizzare un sistema di itinerari ciclabili radiali per i collegamenti con i comuni della Città Metropolitana e anulari per favorire gli spostamenti sistematici tra le diverse centralità urbane in quanto manca una qualunque verifica sulle distanze medie percorse dalle biciclette dai monopattini elettrici e la propensione dell’utenza ad utilizzarle per gli spostamenti sistematici in funzione dell’età media dei potenziali utenti e in funzione delle condizioni climatiche.

Da un calcolo sommario questo tipo di mobilità si rivolge ad una utenza giovane, compresa tra i 15 e i 44 anni, che ha rappresentato nel 2020 il 34% dei residenti della Città metropolitana, pari a 1.117.000 sul totale di 3.279.944, percentuale che, secondo ogni stima previsionale, tende a diminuire al 2030 per l’aumento dell’età media della popolazione.

Riguardo all’effetto delle condizioni climatiche basterebbe solo un rilievo che guardi al calo autunnale di ciclisti e monopattinisti sulle piste ciclabili appena realizzate su direttrici centrali come corso Buenos Aires e viale Monza.

L’espansione progressiva della mobilità elettrica in Milano e l’istituzione di una “Zero Emission Zone”

Circa l’espansione progressiva della mobilità elettrica, che non diminuirebbe il volume della circolazione, con il conseguente apporto alle emissioni di particolato PM10 e PM2,5, a fronte di quella che parrebbe essere la marginalità dei benefici climatici riportati nel PAC nello Scenario di Piano circa la riduzione delle emissioni CO2eq (comprensive CO2, N2O, CH4) attese nel 2030 e 2050, nella quale appare la assoluta irrilevanza dell’apporto dei trasporti rispetto al settore terziario e produttivo e al settore civile, manca una riflessione del PAC su alcune questioni non secondarie che riguardano la conversione del parco veicolare con motore endotermico.

Figura 1 - Scenario di Piano al 2030 e 2050, espresso in termini di CO2eq rispetto all’anno 2017

Figura 1 – Scenario di Piano al 2030 e 2050, espresso in termini di CO2eq rispetto all’anno 2017

Tra questi, la capacità dell’attuale rete elettrica di sostenere un parco circolante composto interamente da auto a batteria e sulle emissioni di anidride carbonica ottenute dalla produzione di elettricità che alimenta le auto e quella necessaria per produrre le batterie, in attesa che la produzione di energia elettrica ottenuta da fonti rinnovabili faccia diminuire radicalmente la quota di energia derivante dal termoelettrico, oggi pari a circa il 45% del totale e i costi sociali della transizione energetica che di “far collassare l’attuale modello di business dell’industria automobilistica”, determinando la perdita di milioni di posti di lavoro.

In ultimo, manca una necessaria valutazione dei costi reali per la realizzazione di una rete capillare di infrastrutture necessaria ad alimentare i veicoli, internamente alla città e almeno a scala metropolitana, compresi quelli delle abitazioni necessari all’alimentazione notturna delle autovetture.

Tuttavia, alla fideistica prospettiva di un’espansione totalizzante della mobilità elettrica sembra guardare il progetto pilota che prevede al 2030 l’istituzione di una Zero Emission Zone entro la Cerchia dei bastioni in cui già vige “Area C”.

In questa parte centrale, che già oggi gode del privilegio di essere potenzialmente pedonale con la realizzazione della M4, l’accesso sarebbe riservato ai soli veicoli elettrici.

Poiché al momento il Codice della Strada (dall’art. 7, comma 9-bis) nonché il D.Lgs. 16 dicembre 2016, n. 257 “Disciplina di attuazione della direttiva 2014/94/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, sulla realizzazione di una infrastruttura per i combustibili alternativi”, non consentono la realizzazione di una Zona a Traffico Limitato, il cui accesso sia consentito esclusivamente a veicoli elettrici, il Piano Aria e Clima propone:

  • l’estensione del divieto di accesso e circolazione a tutti i veicoli alimentati a benzina o gasolio, ivi inclusi i motoveicoli e i ciclomotori;
  • l’incremento del ticket di ingresso a tutti i restanti tipi di autoveicoli a motore endotermico (GPL, metano) e l’introduzione del ticket di ingresso per i motoveicoli e ciclomotori con motore endotermico, con tariffe di accesso sufficientemente alte, tali da renderne economicamente insostenibile l’accesso in Area C;
  • l’introduzione del ticket di ingresso anche per i veicoli ibridi, fatta salva la compatibilità con le vigenti disposizioni di carattere sovraordinato.

A onore del Piano va detto che l’introduzione della Zero Emission Zone deve essere «attentamente studiata e pianificata» non solo in quanto il «centro storico rappresenta un’area ricchissima di attività commerciali, per cui il garantire la fornitura degli approvvigionamenti e l’accesso degli operatori rappresenta una grande sfida sul cammino dell’elettrificazione della mobilità» ma anche per verificare che i residenti in Area C abbiano la disponibilità, o la possibilità, di far realizzare presso le loro abitazioni le opportune infrastrutture per la ricarica dei veicoli elettrici rispondenti ai requisiti richiesti dalla normativa tecnica.

Se la preoccupazione espressa per il centro storico circa la quantificazione dei veicoli immatricolati non rispondenti agli obiettivi del provvedimento «al fine di poter adottare misure che non dovranno risultare inapplicabili in ragione di un trasferimento di aggravi economici non sostenibili per i residenti», ben si comprende come tale preoccupazione debba essere condivisa da una città che non si riferisca all’ambito angusto della città della città rappresentata nel 1573 da Antoine du Pérac Lafrery ma a quella, proiettata nel futuro, di Milano, città di Lombardia.

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Gianpaolo Corda



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  1. Giorgio OrigliaTutti i progetti, italiani e esteri, che affrontano il tema della mobilità sostenibile cercano soluzioni complesse per contenere gli effetti negativi sull'ambiente della mobilità privata meccanizzata, trasferendola su mezzi meno invasivi per l'ambiente. MI colpisce la pressochè totale assenza di considerazione sull'unica soluzione veramente efficace al problema, che non è quella di trasferirla su mezzi più sofisticati o alternativi ma quella, semplicemente, di ridurla. L'idea della città dei 15 minuti si pone esattamente questo obiettivo, rivalutando la mobilità pedonale e riducendo tutti gli spostamenti non necessari. La diffusione dello smart working con la creazione di una rete di spazi di coworking di quartiere, la distribuzione più capillare dei servizi pubblici comporta certamente investimenti, ma molto meno impegnativi di quelli necessari al potenziamento della mobilità pubblica e meno dipendenti dal mito della mobilità elettrica, sui quali l'articolo eleva dubbi condivisibili
    7 gennaio 2021 • 11:21Rispondi
  2. MarcoPrima di attuare uno stravolgimento così profondo ed intensivo dello stile di vita dei cittadini, è necessario informare gli abitanti di Milano su cosa gli stia per succedere e poi mettere ai voti con referendum a maggioranza qualificate dei due terzi degli aventi diritto al voto, non della maggioranza dei votanti. MI pare invece che tali temi siano riservati solo a circoli ristretti di incliti esperti e assessori, lasciando la plebe infetta nell'ignoranza più assoluta. Avete considerato che solo bloccando quasi totalmente la circolazione e le attività antropiche in pianura Padana, come con il lock down di marzo-aprile, le emissioni inquinanati sono diminuite in alcuni parametri al massimo del 20%?
    7 gennaio 2021 • 19:35Rispondi
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