27 Maggio 2025

MILANO: UN PAZIENTE DIFFICILE

Il metabolismo di una città


Copia di Copia di ARCIPELAGO MILANO (7)

“Non si salva il pianeta se non si salvano le città” è il bel titolo di un libro di Giancarlo Consonni da cui vorrei partire. Non si salva una città, una città come Milano per restare nel tema, e Consonni ne conviene e lo afferma, se non ne conosciamo e apprezziamo il valore, e se non ne rispettiamo il suo complesso metabolismo, che ne garantisce la vitalità. Il che vuol dire anche riconoscere i suoi punti deboli e le sue patologie, come organismo. 

Adotterò quindi in queste note la metafora medico-paziente: ovvero guarderò alla città come dovrebbe fare un buon medico di fronte a un paziente, da osservare con una visione olistica, come persona prima che come malato su cui applicare delle terapie che, per quanto frutto di ricerche e analisi specialistiche mirate su sintomi e anomalie specifiche, potrebbero rivelarsi inefficaci o addirittura dannose per il suo stato generale.

Seguendo questa metafora clinica e applicandola a Milano, ci troviamo innanzitutto davanti a una città “anziana” ma vitale, i cui valori di origine (Mediolanum, in mezzo a una pianura attraversata da flussi commerciali, quando la ricchezza veniva da traffici e agricoltura) si sono trasformati ed espansi prima nell’economia industriale e poi terziaria, rimanendo in tutte queste fasi polo di attrazione forte e stabile rispetto all’economia nazionale. Milano anziana dunque, tuttora forte e vitale, ma anche molto sofferente, oppressa da malattie complesse.

Per la verità non si dovrebbe considerare “malattia” la vecchiaia, e si dovrebbe tener conto del fatto che ogni città vecchia, essendosi evoluta con strutture, edifici, strade, servizi fatti per durare anche secoli, fa fatica ad adeguarsi a mutamenti di valori o di costumi rapidi o invasivi, portati dall’esterno o prodotti dai suoi stessi abitanti. 

Fenomeni come l’incremento esplosivo e anomalo della motorizzazione privata (siamo la regione con il più alto numero di auto private per abitante in Europa).

O i cambiamenti climatici, mai considerati prima come fattore critico, che hanno messo in crisi elementi costitutivi della città, come i sistemi di pavimentazione e di smaltimento delle acque fin qui adottati, e ribaltato nel giro di pochi anni il consumo energetico, visto che quello per il raffreddamento estivo ha ormai superato quello per il riscaldamento invernale.  

Certo è che adeguare la città esistente a nuovi paradigmi e bisogni (che spesso mettono anche in conflitto i cittadini tra loro) per mantenerne l’efficienza è difficile e costoso, ma il fatto che in altre città a parità di condizioni si è fatto di più e meglio, fa sorgere il dubbio che non sia l’”anzianità” della città ad essere il problema, ma che alcune patologie siano state non curate o mal curate. Vediamo quali.

Alcune malattie sono endemiche, ovvero comuni a tutte le città italiane, e sono l’effetto di un sistema legislativo che oltre ad essere farraginoso parte da una visione discutibile del metabolismo urbano.

La componente edilizia della città ha da sempre bisogno del capitale privato per formarsi e rinnovarsi, e il capitale ovviamente interviene solo se l’investimento produce un reddito proporzionato. Ma la plusvalenza che proviene non dal capitale investito bensì dall’aumento di attrattiva della città, prodotto dall’evolversi della stessa comunità che la abita, e degli investimenti pubblici (strade, servizi tecnologici, mezzi di trasporto) anziché tornare a chi la ha prodotta oggi in Italia rimane in tasca al capitale privato come rendita di posizione, sommandosi alla rendita di capitale. 

Un’appropriazione parassitaria, che l’Italia è l’unico paese europeo a non tassare nella maggior parte dei casi, e che di fatto sottrae alle città il reddito che esse stesse producono, regalando la ricchezza a chi non ne ha merito, e oltretutto è libero di trasferirla altrove. Non sono disponibili dati, che dipendono dai plusvalori di ogni singola compravendita immobiliare, e dipende dalle aliquote, ma si può stimare che la tassazione del plusvalore potrebbe aggiungere al bilancio del Comune di Milano più di un centinaio di milioni di euro all’anno.

Se poi coloro che governano a città, convinti che a garantire la sua salute siano solo e soprattutto gli investimenti immobiliari, pur di attrarli non solo accettano ma assecondano anzi il capitalismo parassitario, concedendogli agevolazioni e sconti e lasciandogli mano libera, i risultati sono quelli che come lettori di ArcipelagoMilano conosciamo bene.

Il lassismo verso il capitalismo parassitario non solo non arricchisce Milano ma anzi la impoverisce, produce anche altri danni.  

Uno di questi è il processo di gentrificazione in atto. Da sempre la città per svolgere il proprio ruolo deve accogliere al suo interno tutte le classi sociali: fino al XIX secolo ciò avveniva addirittura all’interno di ogni singolo isolato urbano, dove coabitavano notabili, artigiani, servitù. Poi il presunto ordine avviato dall’urbanistica razionalista con il principio della zonizzazione delle funzioni li ha separati, affidando alla mobilità il compito di conservare le necessarie relazioni.  

Non si può non vedere in questo progresso anche il lato negativo, la lenta svalutazione di una parte di cittadinanza, da artigiano o impiegato a “forza lavoro”, e soprattutto lo scarico totale su tale “forza lavoro” dei costi economici e temporali degli spostamenti pendolari. Processo poi accentuato dalla concomitante paralisi della produzione di abitazioni economiche in città e la conseguente espulsione delle classi meno abbienti prima dal centro urbano alle periferie, poi dalle periferie ai comuni “dormitorio” limitrofi. 

Ora più che mai vediamo gli effetti gravi di questa evoluzione urbana distorta, per cui la scarsità di abitazioni economiche spinge molte famiglie a emigrare nell’hinterland e a cercare impiego altrove, soprattutto tra gli addetti a funzioni essenziali, come quello dei trasporti urbani. E in questo settore la carenza di addetti disponibili ha addirittura imposto la riduzione del servizio, oggi palesemente inadeguato alla domanda.

Effetti che coloro che governano la città non hanno saputo né prevedere né controllare, pur avendo avuto il tempo, le conoscenze e gli strumenti per farlo: ovvero (per restare nella metafora medica) quando per scarsa competenza il medico non coglie i sintomi premonitori della malattia prima che esploda.

Ma se il metabolismo di una persona è influenzato da mali endemici o da debolezze costituzionali difficilmente curabili, lo è anche per la inadeguatezza dell’ambiente in cui vive.

E il metabolismo di Milano soffre più di altre città per l’inadeguatezza infrastrutturale dell’ambiente in cui si trova.

Milano con il suo hinterland molto popoloso offre un bacino di utenza pregiato per le aziende, anzi fin troppo abitato e dotato di strade, che tra l’altro secondo l’ISPRA rappresentano la maggior parte del consumo del suolo. Ma a differenza di molte altre città europee con caratteristiche simili, è strangolato dalla inaffidabilità dei trasporti su ferro suburbani, quindi esterni alla città, gestiti dalla Regione. 

Per molti abitanti dell’hinterland quindi conviene usare l’automobile negli spostamenti casa-lavoro, quasi più che una scelta una necessità, rendendo così vano ogni dispositivo (vedi ZTL) di limitazione del traffico privato. 800.000 veicoli entrano quotidianamente nel comune di Milano, aggravando la congestione e inquinamento del capoluogo, e lo spreco di spazio pubblico. Si stima che il 30% della superficie destinata alla circolazione a Milano sia permanentemente occupato da veicoli in sosta, spesso irregolare o gratuita, mentre per fare un confronto la superficie libera e agibile a verde non supera il 13%. 

Concludendo la metafora medico-paziente, un medico non è un buon medico se oltre a prescrivere medicine non aiuta il paziente, che questa volta sono gli abitanti di Milano, a capire quali sono i suoi mali, a non sottovalutarli, a convincerlo della necessità di curarsi, o di cambiare abitudini per stare meglio. 

Ho iniziato col dire “salviamo le città”, e non ho poi aggiunto probabilmente nulla che già non sapeste, ma spero che la metafora usata aiuti a vedere le cose in una diversa prospettiva.

Se la città, con la sua popolazione, i suoi edifici, le sue infrastrutture, è un organismo ricco e potente, benefico e sempre più centrale per il benessere nostro e delle future generazioni, non lo è solo per i suoi grattacieli, i suoi centri commerciali, i suoi ristoranti, lo è solo se la gente che ci vive quotidianamente è consapevole che ciò è frutto di un metabolismo complesso che richiede qualche sacrificio ma soprattutto rispetto, partecipazione, e cura. 

Giorgio Origlia



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  1. Giancarlo ConsonniCaro Giorgio, il tuo articolo, molto chiaro e pienamente condivisibile, contiene in sintesi elementi essenziali di un programma politico-amministrativo per Milano e per il suo esteso contesto metropolitano (due realtà da tempo prive di un governo all'altezza dei problemi). In più, darei la dovuta importanza alla questione della casa per i ceti deboli e per ceti medi. Propongo a Luca Beltrami Gadola di farsi promotore, con Arcipelago, di un Manifesto per Milano e il suo ambito metropolitano. Un documento stringato e comprensibile a tutti.
    29 Maggio 2025 • 12:13Rispondi
    • Giorgio OrigliaCaro Giancarlo, è bello ritrovarsi dopo tanto su temi cari ad ambedue. Io mi sono occupato di bioarchitettura e biourbanistica, qualora l'idea del Manifesto prendesse corpo sarò lieto di rendermi disponibile. ori.go43@yahoo.it
      30 Maggio 2025 • 12:06
  2. valentino ballabioStimolante l'approccio clinico per la diagnosi/terapia della salute della città. Da non sottovalutare tuttavia anche l'anamnesi, ovvero l'accertamento delle condizioni famigliari, professionali ed ambientali del paziente. Fuor di metafora l'analisi della situazione appunto olistica dello sviluppo territoriale di quello che non è più hinterland-dormitorio ma un prolungamento organico della città entro l'area centrale della regione. Ma lì non c'è medico a cui rivolgersi, che non sia la ridicola Città metropolitana ex legge Delrio, per altro deprivata dell'essenziale fascia nord estesa sino all'alta Brianza ed al basso Varesotto.
    29 Maggio 2025 • 15:43Rispondi
  3. Gianluca GennaiDal momento che probabilmente la Città è malata e su questo si fanno supposizioni (ognuno di noi ha una propria visione e probabilmente una cura), non si ha la capacità di cambiare il medico. Peggio ancora quando vi siano più medici inabili al ruolo se non dannosi. Un'equipe che a vari livelli attua terapie del tutto fallaci. La gente, il cittadino, dunque noi, cosa siamo se non un microrganismo di un corpo in stato di avvelenamento, anch'esso avvelanato dunque fragile, impaurito. Io credo che questa Milano possa guarire ma serviranno anni e una cura certa, partendo dal cambiare dottore e subito.
    29 Maggio 2025 • 18:17Rispondi
  4. Fausto Bagnato500.000 Milanesi, 50% degli elettori disertori non vogliono farsi curare, per loro Milano va bene come è amministrata. Non parlo dei Bondi Argentini, della cessione delle Municipalizzate ai Privati, la cementificazione speculativa, disseminata di immobili sfitti, senza una visione. Già dal 1973, ho scritto, avendo studiato i problemi dal bisogno abitativo, dove andavano gli anziani per lasciare il posto ai giovani, prevedendo quello che oggi sta diventando un problema emergenziale. Purtroppo aver sostituito il Segretario Generale, che veniva mandato dal Ministero dell'interno a 100.000 lire di stipendio, ma con alloggio in Galleria, con il City manager con stipendio di 500.000 lire al mese, non ha giovato a Milano. Milano sarebbe in grado di risolvere tutti i problemi annosi, ma la classe dirigente non ha le competenze adeguate ad una visione di Milano per il 2048.
    31 Maggio 2025 • 13:04Rispondi
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