7 dicembre 2020

LA SCALA E LO SPETTACOLO DAL VIVO

La scomparsa della magia della platea


L’inaugurazione simbolica della stagione lirica della Scala, con lo spettacolo “A riveder le stelle” senza pubblico in sala e visibile solo in televisione, mi ha letteralmente sconvolto; non per ragioni banali, ma perché ha portato con sé una grande quantità di segnali, ha indicato profondi mutamenti del gusto e dei costumi, alcuni positivi, altri (molti) negativi, ha creato la sensazione che tutto stia cambiando intorno a noi e non solo per colpa del malefico Covid.

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Premetto che non amo Livermore (non me ne voglia, d’altronde sono certo che non gliene importi nulla) e le sue trovate dissacranti, spaesanti, sconcertanti, spesso gratuite. Soprattutto non amo che venga tradita l’opera d’arte, stuprata dagli interpreti che inseguono una visibilità parassita a spese degli autori, o fatta a pezzettini scegliendo i bocconi preferiti (come le Arie tratte dalle opere liriche) per rivenderli come opere d’arte in sé compiute. Mi dispiace, caro Livermore, ma non si ha il diritto di usare le violenze (di cui sei ahimè fin troppo capace) nei confronti dei giganti della storia della musica, come se le loro opere fossero a nostra disposizione per soddisfare la nostra creatività. Si scherza coi fanti ma si devono lasciar stare i santi.

Ciò premesso devo riconoscere che lo spettacolo del 7 dicembre è piaciuto a molti, non solo a ingenui e a sprovveduti, e che tutto sommato, repressa la rabbia e l’indignazione, in fondo è piaciuto anche a me, o meglio – nonostante l’inadeguatezza dei due presentatori (poveri Milly Carlucci e Bruno Vespa, cosa c’entravano?) – l’ho visto ed ascoltato con interesse e con momenti di reale godimento. E allora, che dire?

Poi è successo che qualche sera dopo, costretto dal coprifuoco pandemico a un surplus di televisione, abbia visto un curioso spettacolo dal titolo “Ricominciamo da RaiTre” condotto da Stefano Massini ed Andrea Delogu (che non è un Andrea-uomo, come si potrebbe pensare, ma una Andrea-bellissima-signora) che per certi versi è parente dell’A riveder le stelle di cui stiamo parlando. Il programma cuce spezzoni di teatro vero (di vario genere, dallo Shakespeare di Glauco Mauri alle pupazze di Marta Cuscunà, da Adriano Celentano ad Emma Dante, da Marco Paolini a Paolo Jannacci e a tanti altri) estratti da spettacoli interrotti, o rinviati, o spazzati via dall’esecrato D.P.C.M. (di cui Massini, in apertura, ha inanellato una infinita e divertentissima serie di possibili decrittazioni!). Non ho potuto fare a meno di considerarlo, a così breve distanza di tempo, parente stretto dell’A riveder le stelle: entrambi spettacoli squisitamente televisivi, fatti con pezzi di teatro vero, senza pubblico, con “presentatori” estranei alle opere presentate (solo Massini, dei quattro, era un pezzo dello spettacolo).

Sappiamo bene che l’Opera e il Teatro, come da tempo è accaduto con il Cinematografo, stanno subendo una trasformazione allarmante, stanno perdendo l’interesse del pubblico per lo spettacolo dal vivo. Ma tutto fa pensare che quel pubblico – abituatosi durante il confinamento a starsene a casa davanti ai nuovi grandi schermi televisivi, così vividi e smaglianti – stia ora perdendo la residua voglia di uscire la sera e trovi sempre più confortevole godersi gli spettacoli sdraiato sul divano anziché “impiccato” in una fila di scomode poltroncine. Lo sapevamo, certo, lo abbiamo ascoltato e letto infinite volte (e d’altronde sappiamo anche come l’industria discografica, per analoghe ragioni, abbia messo da tempo in difficoltà le sale da concerto), ma non era mai successo che i teatri d’opera e di prosa fossero rimasti chiusi per tanto tempo e che la televisione avesse cominciato a sostituirli con apprezzabile professionalità ed avviando un processo di sostituzione così incisiva come questi due spettacoli ravvicinati ci hanno appena mostrato.

D’altronde il fenomeno è ancora più ampio: ormai visitiamo città e musei in modo virtuale, viaggiamo sui nostri schermi accompagnati da informatissime guide, scopriamo che tutto si può apprendere e godere più da casa che “dal vivo” anche a prescindere dalla paura dei contagi di queste e di nuove pandemie. Stiamo per diventare, temo, l’ultima generazione di quelli che hanno visto e conosciuto “personalmente” e non “virtualmente” opere d’arte ed artisti, così come di coloro che hanno girato ed abbracciato “fisicamente” il mondo.

La sera del 7 dicembre si è come verificato uno strappo, si è girata inconsapevolmente una pagina gravida di conseguenze, siamo entrati in un mondo diverso da quello in cui abbiamo finora vissuto ed abbiamo perso una delle più rassicuranti certezze della nostra esistenza: quella di poter godere i grandi capolavori della nostra civiltà così come ci sono stati consegnati dal passato, toccandoli con mano, non manomessi, né dalla tecnica né dal mercato. Speravo non fosse vero ma ora lo temo seriamente.

Paolo Viola



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  1. PATRIZIA MAZZUCCHELLICarissimo, premesso che anche io non amo Livermore, che non ho capito la presenza di Carlucci e Mosca e che sono una appassionata di balletto, che, sia durante lo spettacolo, che nelle presentazioni prima e nei commenti poi, è stato ampiamente ignorato, fino al punto di non scrivere i nomi degli interpreti di Verdi Suite all'apertura dell'esecuzione, come fatto per i cantanti e gli attori, ho le sue stesse paure. Per il balletto la spettacolarizzazione televisiva con ricorso a piccoli assaggi in una veste confezionata in funzione del mezzo televisivo, si vede da anni negli spettacoli RAI di Roberto Bolle. Nel vicino passato sono stata meno critica di altri sui programmi tv del nostro grande Roberto; li avevo trovati comunque un modo nuovo ed interessante di presentare la danza. Certo sono esperimenti che non avvicinano lo spettatore al teatro, anzi danno una idea parziale e limitata di quello che è la danza. Esattamente come dice Lei per l'opera, l'adagio del passo a due dello Schiaccianoci è cosa diversa dallo Schiaccianoci e il rischio del presentare spezzoni è quello di portare all'esasperazione dei virtuosismi e di perdere l'insieme dell'opera coreografica e la magia che unisce il movimento e la musica dal vivo. Ho però la certezza che la voglia di spettacolo dal vivo, che non viene saziata da questo tipo di esperimenti televisivi, è molto forte da parte di tutti noi, giovani e vecchi, che abbiamo frequentato i teatri. Il desiderio di tornare a sedersi sulle scomode poltrone rosse è forte e la mancanza di ciò è dolorosa. La televisione porterà nuovo pubblico televisivo alla produzione teatrale e musicale in genere, che non andrà a riempire le sale, ma non credo che sottrarrà spettatori ai teatri o meglio non più di quanto stava già succedendo per molteplici cause, che non possiamo analizzare qui. Oggi ho acquistato l'agenda 2021 e, per la prima volta dai tempi del liceo non ho potuto segnare le date degli spettacoli che mi interessano, dell' abbonamento alla Scala, del cineforum. L' agenda, a parte le scadenze lavorative, è bianca. Mi viene un nodo alla gola. Grazie per il suo bellissimo articolo, Patrizia Mazzucchelli
    16 dicembre 2020 • 12:45Rispondi
  2. Annalisa FerrarioConfesso che invece a me lo spettacolo "A riveder le stelle" non mi è piaciuto proprio, e non solo perché non ero seduta sulle scomode poltroncine rosse. Qualcuno mi sa spiegare ad esempio cosa c'entra la sala d'aspetto ferroviaria e la valigia da emigrante con "Una furtiva lacrima"? E gelsomina e Zampanò? Certo, si ammicca al pubblico americano, a cui queste cose piacciono; ma si travisa completamente il significato del pezzo, uno dei più belli della lirica proprio perché all'interno di un'opera felice e spumeggiante. E le galassie con "Nessun dorma"? Certo, si parla di luna e di stelle, ma il significato è un altro. Dei commenti di Vespa hanno già parlato altri. Ma delle banalità pseudo culturali di Murgia e C. (non ricordo il nome, sproloquiava di Aristotele) vogliamo parlare? Si dice: così si viene incontro al pubblico. Ma allora perché non esporre alla pinacoteca di Brera un ragazzo vestito da Pierrot con la lacrimona? Anche quello piace. Se bisogna banalizzare tutto a questo modo per incrementare il pubblico siamo freschi, è solo facendo fatica che arriva la qualità! Saluti
    16 dicembre 2020 • 13:48Rispondi
  3. ROBERTO LIMENAAnch'io non amo Livermore per ciò che ha realizzato in passato e sono convinto che non si possa ambientare un'opera lirica al di fuori del contesto ideato dall'autore. Però devo convenire che è meglio uno spettacolo televisivo che ricordi a tutti la prima della Scala, piuttosto che il nulla, come sarebbe potuto accadere. Devo anche riconoscere che, con il pochissimo tempo a disposizione, si sono fatti miracoli e che il livello della musica e degli interpreti è stato degno del teatro più famoso del Mondo.
    16 dicembre 2020 • 18:40Rispondi
    • Annalisa FerrarioSono d'accordo, è stata una bella idea e musica e interpreti strepitosi. È proprio il "contorno" (scenografie, siparietti) che è stato un po' troppo pacchiano. Saluti
      17 dicembre 2020 • 12:56
  4. stefano pavariniPaolo Ho letto il tuo pezzo su Arcipelago e concordo con te . Ormai tutto è compiuto. Nell’ambito di mio maggiore interesse, ovvero dentro la cultura rock/pop, ormai questa tendenza è cristallizzata. Molti musicisti ormai svolgono i loro concerti (a pagamento ) sul web. Non c’è più il supporto fonografico da una parte (il Disco, IL CD, ecc. ) e dall’altra parte la dimensione LIVE del concerto in teatro , in sala da concerto ecc. Ormai questa dualità non esiste più, ma tutto è unificato (per modo di dire) nel WEB. Ovvero INTERNET si è mangiato sia il disco che il concerto e ci restituisce un SIMULACRO di esperienza, nel senso che ne dava BAUDRILLARD. Quindi ormai siamo appunto, per citare sempre Baudrillard, nella SPARIZIONE DELL’ARTE, che diventa il suo simulacro, la sua rappresentazione virtuale, di cui non è possibile fare esperienza se non attraverso lo schermo del computer o del telefonino. Quindi il medium si è mangiato il messaggio, per così dire. Questo avviene in molti campi, come l’architettura e la “teologia del rendering”, che tutto uniforma in modo che ogni disegno sembra fatto dalla stessa persona :Il COMPUTER. Si è persa la calligrafia, lo schizzo, il tratto caratteristico , tutto scompare nel computer mondiale. La musica, che è arte immateriale nella sua essenza, viene privata della sua fisicità ultima, che è il momento del concerto, della rappresentazione, e diventa pura SIMULAZIONE . Non è colpa del COVID, il COVID ha solo accelerato quello che era un processo già in corso, di fine della fisicità e avvento del simulacro. Scomparsa del corpo e avvento dello schermo.
    18 dicembre 2020 • 17:47Rispondi
  5. luigi caroliIl teatro più famoso del mondo verrà sostituito dalla televisione più famosa del mondo e - tra vent'anni - nessuno verrà più a Milano per visitare la Scala. Bisogna prendere gli opportuni provvedimenti e farlo presto.
    20 dicembre 2020 • 18:16Rispondi
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