29 novembre 2020

TRANSIZIONE CON PANDEMIA

Il “do ut des” come chiave di lettura


Il perimetro UE è quello all’interno de quale dobbiamo pensare di risolvere la crisi da Covid-19 facendo leva su una ritrovata solidarietà.

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In Lombardia e nella capitale morale Milano è evidente l’ostacolo più grave, dopo il disinvestimento sulla sanità pubblica, nell’affrontare Covid-19, lasciato divenire pandemia benché prevista anni fa da Bill Gates e poi da OMS e Banca Mondiale, le cui indicazioni ai governi nazionali sono cadute nel vuoto, specie in USA con Trump.

È la mentalità do ut des con il suo credo ideologico – il mercato è ideologico, molto – che curando i nostri affari personali tutto si risolve nel modo più conveniente, nell’umana imperfezione. In pandemia però si rivela di fatto collaborazionismo con Covid-19, che ci rintana nelle catacombe digitali dalle quali vogliamo uscire per fare i fatti nostri nonostante il rischio esponenziale di contagio.

Forse inconsapevoli, soprattutto se consideriamo la pandemia un affare – un do ut des – da trattare nel modo migliore possibile. Affare tra noi umani sulla sicurezza – si/no mascherina – e addirittura col virus considerato controparte ostile ma controparte, non parassita qual è, in una pandemia frutto di errori umani ai più alti livelli mondiali di (ir)responsabilità e ai livelli più bassi di noi cittadini, quando riteniamo di poter scegliere quello che più ci conviene tra i pareri degli esperti – trovandone sempre uno gradito ma fuorviante, come ben sappiamo a Milano. Eppure è del lombardo Manzoni il magistrale racconto della grande peste, quando il do ut des era col buon Dio e andavamo in processione.

L’irresponsabile do ut des e il ripiegamento catacombale della rivoluzione digitale, che ci dovrebbe liberare da ogni limite, dimostrano oltre ogni dubbio che è urgente pensare, anche in Lombardia e a Milano, al nostro futuro, anziani inclusi benché irrilevanti nel do ut des, al pari del virus clinicamente morto in primavera. Del futuro possibile è necessario pensare la logica interna e Vittorio Emanuele Parsi ce la offre, nel presentare il suo ultimo lavoro, sottolineando che tutto dipende dalla cura che prestiamo alla pietra angolare del nostro mondo, noi stessi [Vulnerabili: come la pandemia cambierà il mondo, Piemme 2020, Giovedì Libri Aseri-Università Cattolica, 14/05/2020].

All’ormai necessaria scala UE il nostro futuro sta nella nostra solidarietà, che in concreto significa educarci, responsabilizzarci, tutelarci, curarci con e nella scuola, ricerca, giustizia, sanità: impegni e responsabilità pubblici per definizione, poiché riguardano tutti indistintamente, come la pandemia ci insegna con durezza di maestro ottocentesco. Va ripetuto, solidarietà a scala europea perché in UE da decenni viviamo in pace e benessere, nonostante i molti do ut des di tempi molto violenti e a rischio atomico, ma non pandemici.

«Già nel 1914 R. Michels osservava che “per la formazione di un gruppo di solidarietà è necessaria a priori l’esistenza di una netta contrapposizione; si è solidali solo contro qualcuno” (Michels 1914, p. 55); “solidarietà universale della società – la solidarietà nella sua forma più pura”, a suo avviso, “esiste solo di fronte a certi eventi naturali elementari”, ma anche in questo caso avrebbe il “carattere della difesa”».

Una solidarietà universale del genere umano, secondo Michels, non è che una irraggiungibile utopia» [Treccani]. La novità cent’anni dopo è la transizione dall’economia dei beni materiali (dall’età industriale) a quella dei beni immateriali (all’età dei servizi) che incrocia la rivoluzione digitale. Senza solidarietà universale sono entrambe a rischio, a nostro incalcolabile danno. La pandemia ce la sta imponendo proprio nella forma più pura di Michels di fronte all’evento naturale elementare Covid-19. Solidarietà difensiva in cui «è utile pensare che la solidarietà positiva possa nascere dall’eguaglianza delle condizioni» con l’integrazione sistemica «originata da istituzioni universali e astratte come il denaro, la legge e il riconoscimento dei diritti di cittadinanza» [Antonio Maria Chiesi, «Coesione sociale un concetto complesso», IMPRESA & STATO, 79/2007, p. 46-7, tutto su Milano e Brianza, pensa te].

Il denaro non manca, anche se molto mal distribuito, ma legge e diritti di cittadinanza sì.

La solidarietà UE – che una parte di Milano e Lombardia avversa, chissà perché (per denaro?) – è necessaria anche come alternativa al dominio di Cina, USA di Trump, Russia di Putin. In due loro libri editi in questi giorni, Robert Putnam e Michael Sandel «entrambi pensano che l’America ha bisogno niente di meno che del recupero del senso di comunità e di riconsacrazione al bene comune» [«All for one. Robert Putnam and Michael Sandel diagnose America», The Economist, 14-20/11/20, online].

Ancor più dopo queste elezioni: «l’88% degli elettori di Trump oggi pensa che il risultato è illegittimo. Sta ai loro rappresentanti eletti spiegare che non è così. Ben più dell’esito giudiziario, i rappresentanti eletti locali – o altri – devono levare la loro voce. Non farlo non solo rende l’America più ardua da governare. Tradisce disprezzo per lo spirito della democrazia e con esso una mancanza di patriottismo» [«The art of losing. Accepting a disappointing election result is a key part of democracy», The Economist, 21-27/11/20, online].

Leva del nostro futuro, la solidarietà europea è il più efficace – e necessario – fattore di solidarietà atlantica e globale, per realizzare la transizione dall’età industriale a quella dei servizi reali per mezzo dell’innovazione digitale, oggi nella palude social dell’apocalittico e parassitario fanatismo politico.

Giuseppe Gario



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