17 ottobre 2020

DUBBI SULLA 15-MINUTES-CITY, MOLTI

Anche in urbanistica esistono le “mode”


L’urbanistica negli ultimi tempi sembra aver imboccato la strada dell’imitazione provinciale di fatti di casa d’altri. La nostra cultura sembra vacillare.

balbo

Per via delle restrizioni del COVID, ha trovato terreno sempre più fertile l’idea che la “prossimità” sia un elemento fondamentale non solo per la qualità della vita (si trova tutto a portata di piede), ma anche per il buon funzionamento della città. L’”Agenda dei Sindaci C40 per una ripresa verde e giusta, presentata a luglio, impegna appunto i Sindaci a far sì che “tutti i cittadini vivano in ‘città dei 15 minuti’ in cui i negozi, i posti di lavoro e i servizi essenziali saranno facilmente raggiungibili in bicicletta o a piedi, circondate da numerose aree verdi per rilassarsi, fare esercizio fisico e giocare”. Su Arcipelago si è già toccato questo tema, in generale con ampio favore.

Io provo a esprimere alcuni dubbi.

Uno degli obiettivi principali dei “quartieri completi” (15-minute-city) è ridurre il traffico. Tuttavia, non è chiaro quale possa essere il risparmio: certo, nelle intenzioni si impedirebbe il traffico di attraversamento, che però ha buone probabilità di trasformarsi in traffico di circuitazione, semplicemente spostando il problema dal dentro al margine. Certo, ci sono quelli usano l’auto anche per accompagnare il figlio alla scuola dietro l’angolo, ma non sono molti, e comunque – se sono residenti del “quartiere completo” – forse non si può impedire loro di spostarsi in auto all’interno dello stesso. Soprattutto, sono quasi certamente irrilevanti, in termini di quantità.

Si dice che la mobilità, a livello planetario, è grande consumatrice di energia, ma in un conto di questo tipo bisogna mettere dentro costi e vantaggi, cosa certo non semplice da fare. Sul fatto che la “globalizzazione”, di cui la mobilità costituisce elemento portante indispensabile, abbia avuto notevoli effetti positivi, facendo crescere significativamente il livello di vita di molti paesi, in particolare di molti di quelli più poveri, vi è un ampio consenso, pur se sappiamo che ha prodotto anche grandi disparità. Andrei dunque assai cauto nel sostenere a spada tratta l’opportunità di ridurre le possibilità di spostarsi.

La città-15-minuti è quella che dispone di servizi e funzioni, diciamo di base, all’interno di una distanza ridotta, se ci riflettiamo bene non moto diverso da ciò che gli “standard urbanistici” proponevano già negli anni sessanta. Per la verità, se si guarda alle città europee, ben diverse da quelle americane, da dove nasce la corrente della 15-minute-city, si tratta di una condizione che si dà già piuttosto diffusamente. In Italia poi, con i suoi piccoli e medi centri urbani, la cosa forse è ancora più vera che altrove. Certo, poi la gente vuole andare all’ipermercato o all’outlet, ma verosimilmente non è perché non ha un negozio di scarpe o di vestiti nelle vicinanze. Forse il negozio di scarpe e di vestiti di vicinato non è così fornito, o ha prezzi più alti, o ha cose che non piacciono.

C’è poi la questione della “libertà di scelta”: se si vuole vedere un certo film, non è detto che sia in un cinema di prossimità, e nemmeno che in prossimità ci sia un cinema. Cioè, si pongono due questioni: da un lato la serendipity è uno dei grandi elementi di attrattività della città, togliendo o riducendo il quale il rischio del “quartiere completo” di cadere nel “quartierismo” diventa piuttosto alto. Il “supermercato di condominio, il nuovo “servizio” che a Milano ha cominciato a diffondersi, cioè i il grande frigo nell’androne con dentro prodotti vari che si possono acquistare avendo una tessera apposita senza nemmeno uscire di casa a me fa venire la pelle. Dall’altro è piuttosto evidente che, perché ci possano essere servizi di base (il cinema forse non è proprio di base, ma il giornalaio magari sì, e il panificio certamente), occorre essere pronti a politiche di sussidio piuttosto consistenti, se no il panificio non ce la fa, il giornalaio sta chiudendo, e il cinema o è multisala o niente.

Aggiungiamo che, quando si afferma che lavoro, scuola, servizi di base devono essere tutti vicino ai luoghi dell’abitare, ovvero l’opposto del processo di concentrazione funzionale e di delocalizzazione che sinora è stato considerato “il progresso”, ci si dimentica che la concentrazione contribuisce in misura rilevante alla specializzazione e al connesso aumento di produttività. Non si può immaginare, ovviamente, che servizi e attività specializzate (e relativi posti di lavoro) siano presenti all’intero di tutti i “15 minuti”.

In ultimo, ma in realtà ciò che solleva i maggiori interrogativi, è la questione dell’equità. Ci sono “15-minuti” agiati – diciamo per esempio, parlando di Milano, tutta l’area compresa all’interno della circonvallazione della 90-91, e 15-minuti in condizioni assai più precarie. È difficile immaginare di riequilibrare situazioni così diverse in un tempo accettabilmente breve. Il che significa, se si intraprende la strada dei 15-minuti, condannare per lungo tempo chi abita nei quartieri disagiati a condizioni appunto di precarietà. Una questione molto seria, e difficile.

Al contrario, puntare sulla mobilità potrebbe essere la strada più efficace per colmare – almeno in parte, almeno per il tempo breve e medio – il divario che esiste oggi. Tanto più – aspetto questo di peso, ma che i fautori dei 15-minuti trascurano – che per la mobilità urbana stiamo assistendo a una vera e propria rivoluzione con prospettive anche a breve di un aumento significativo dell’accessibilità. Tutte le forme di share che esistono già oggi, dalle auto agli scooter, le bici e ora anche i monopattini, hanno già rivoluzionato i livelli di accessibilità, ampliandoli, ma sono in arrivo anche altre modalità di mobilità collettiva – elettrica, sostenibile e pulita – a prezzi verosimilmente bassi, che permetteranno spostamenti sempre più comodi e in tempi ridotti.

Ovviamente tutto questo non vuol dire che non si possa o non si debba lavorare per una città prima di tutto più democratica (servizi e attività accessibili per tutti), e più sostenibile. Ma mi permetto di dubitare che questa tendenza al riduzionismo, sia spaziale che relazionale, sia la strada da imboccare.

Marcello Balbo



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  1. AnnaPer uscire dal "quartierismo" è sufficiente che in ogni zona '15 ci siano sufficienti fermate del trasporto pubblico per portare ciascuno ovunque voglia nel mondo , che ci sia dunque una solida rete appoggiata su tutto il territorio, e che le occasioni di interesse alternative, funzioni grandi e/o pregiate, siano collocate nei negoziodi di quella rete, cioè in luoghi accessibili dal trasporto pubblico! (All'ipermercato in mezzo al nulla forse la carta igienica costa meno, ma la benzina per arrivarci?)
    21 ottobre 2020 • 16:33Rispondi
  2. marco.romano esteticadellacitta.itAnna, vorrei essere raggiungibile dall'intera città, ma poi non mi vuole nessuno se non il mio simpatico vicino. Anna, tu mi vorresti?
    21 ottobre 2020 • 17:38Rispondi
  3. AnnaSei fortunato Marco, pensa che io entro 15 minuti, sul territorio, ho "tutto" quello che mi serve materialmente e anche culturalmente (seppur di piccolo cabotaggio), invece nel condominio dove abito da 45 anni non scambio "nulla" con nessuno al di là dei commenti sul tempo in ascensore.....(ma chissà di quante altre cose potrei parlare con te se tu abitassi sul mio pianerottolo!) Da cui si evince che la città di 15 minuti non sempre garantisce le relazioni umane, e per quelle spesso servono ancora le reti di trasporto (oggi, ahimè, bisogna accontentarsi di zoom....)
    21 ottobre 2020 • 22:24Rispondi
  4. Giorgio OrigliaIl tema sul tappeto va ben oltre lo slogan (furbo) della "città dei 15 minuti", che comunque e ovviamente non ha come obiettivo quello di ridurre la possibilità di andartene in giro in auto o con i mezzi pubblici lontano da casa quando ti pare, ma piuttosto l'obbligo di farlo quotidianamente per lavoro, per acquisti. per accesso ai servizi. Visto che ciò comporta un palese consumo di risorse, non solo materiali ed energetiche, ma anche di quella risorsa preziosa che è il nostro tempo. Comunque, e al di là dello slogan, che ha il pregio di aver incrinato la granitica convinzione che il pensiero razionalista coniugato con le istanze imprenditoriali abbia prodotto il miglior modello di sviluppo urbano possibile, vediamo se riusciamo ha offrire una vita migliore a chi passa due ore al giorno per 300 giorni all'anno in coda in auto o pigiato sui treni solo per raggiungere il luogo in cui lavora, un'aria più pulita ai nostri nipoti, e piazze piene di piante e panchine anziché di auto parcheggiate.
    22 ottobre 2020 • 10:38Rispondi
  5. Andrea GiorcelliQuante idee confuse... non sono d'accordo su niente.
    22 ottobre 2020 • 14:29Rispondi
  6. Silvana PulcinellaInvece non sono confuse affatto le osservazioni di Giorgio Origlia! Mi paiono il frutto di una riflessione meditata del problema. Una visione ampia e articolata che pone l'accento sulle numerose problematiche poste al singolo e alla comunitá.
    22 ottobre 2020 • 22:14Rispondi
    • Andrea GiorcelliSilvana Pulcinella, mi riferivo all'articolo.
      4 novembre 2020 • 01:12
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