13 ottobre 2020

ILA&UD*: GESTIRE IL CAMBIAMENTO DELL’HABITAT UMANO

Un laboratorio di fertilizzazione incrociata tra specialità diverse


La separatezza culturale e disciplinare che connota il mondo degli studi sulla città rende difficile il cammino di chi di questi studi dovrebbe essere il principale destinatario: chi gestisce la politica in generale e la politica urbanistica in particolare.

deagostini2

Sono molte le suggestioni indotte dalle ombre lunghe del Covid, siano esse proprie o portate, anche se tra tutto ciò che si è letto e sentito dire sembrano prevalere aspetti sovrastrutturali di natura essenzialmente tecnica e accessoria – insegnamento a distanza, forme di comunicazione e di interazione miste, ecc. – e solo in misura molto limitata trovano spunto argomenti riguardanti la necessità di nuovi contenuti di struttura per comprendere la realtà ben più articolata e complessa di quanto stiamo attraversando.

Mi riferisco alla necessità di revisione dei paradigmi delle professioni tecniche così come di riforma dell’insegnamento che riguarda i campi disciplinari connessi alla difesa ed allo sviluppo dell’habitat umano in sempre più rapida trasformazione: architettura, urbanistica, ingegneria civile, insomma le discipline politecniche. A fronte di fenomeni di cambiamento radicale come quelli climatici, o delle epidemie, dell’assoluta prevalenza del modello di vita urbana e del dominio della tecnologia nella distribuzione della popolazione nel pianeta ma con sempre maggiore segregazione sociale ed economica, la crescente scarsità di risorse fondamentali come l’acqua, alcuni tipi di materiali, e in particolare il cibo, appare evidente come con le materie politecniche debbano essere coinvolte aree disciplinari e professionali con cui dialogare orizzontalmente come la medicina, le scienze sociali, le scienze naturali, l’economia, tanto quanto la comunicazione e le arti.

Ovunque nel mondo oggi c’è richiesta di nuovi modelli, metodi e strumenti interpretativi più adatti a far funzionare un po’ meglio il nostro rapporto con la Terra.

L’ILAUD (International Laboratory of Architecture & Urban Design) – fondata da Giancarlo De Carlo nel 1976 insieme a Connie Occhialini, che ci ha repentinamente lasciato l’anno scorso, e con lei negli ultimi 15 anni diretta da Paolo Ceccarelli – è un laboratorio che ha sempre cercato di muoversi secondo un pensiero integrato, ovvero non frammentato in specializzazioni che negli anni si sono fatte sempre più minute. Un Centro studi strutturalmente aperto a contributi disciplinari molto diversi, orientato a recuperare esperienze e conoscenze spesso considerate marginali e anomale, che invece possono suggerire adattamenti inconsueti, modalità di resilienza, schemi di comportamento insoliti, come accade frequentemente nelle aree apparentemente fragili delle nostre società, che riescono a sopravvivere in modi molto più flessibili e duraturi rispetto a sistemi rigidamente consolidati ed “efficienti”.

Insomma, alle smart city, wellbeing city, healthy city, è necessario giustapporre sporcandosi le mani esperienze basate sull’applicazione pratica della conoscenza radicata in diversi contesti culturali, socio-economici e ambientali considerati superficialmente periferici o apparentemente ininfluenti.

La forma internazionale del laboratorio ILAUD ha sempre creduto in una forte interazione tra i progettisti e i luoghi fisici e le comunità in cui operano, che passa attraverso un apprendimento “esperienziale” fondato sul rapporto diretto con la comunità e la sua collocazione fisica.

D’altro canto, la pandemia ha reso ancora più evidente che bisogna fare i conti con l’impatto che Intelligenza Artificiale e Tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno non solo sull’organizzazione del lavoro e sulla qualità dei suoi risultati, ma anche sul concetto di spazio e tempo nella relazione tra esseri umani e luoghi, ancora poco scandagliato.

In sintesi, ragionando in termini di resilienza, un approccio fortemente integrato dal punto di vista disciplinare che, come abbiamo detto, coinvolga architettura, ingegneria, medicina, scienze sociali, filosofia, scienze ambientali, scienze della terra, idraulica, agricoltura, informatica, in forme di studio che passino da una parte attraverso un rinnovato rapporto esperienziale diretto con le situazioni reali in cui vivono le persone e le comunità; dall’altra, anche grazie all’insegnamento e alla pratica di tali esperienze, saper corroborare e indirizzare gli esiti e l’efficacia dei big data.

Queste considerazioni, accelerate dalla condizione di questi mesi, ci hanno portato a immaginare possibili percorsi formativi e di prassi professionale in cui ancora una volta la dimensione internazionale dell’ILAUD può implicare il coinvolgimento e il confronto di modi diversi di affrontare e risolvere i problemi, come abbiamo accennato, di matrice localistica.

Seguendo queste due traiettorie ci siamo immaginati da una parte una sorta di Master altamente interdisciplinare dal titolo “Managing Human Habitat Change” che vorrebbe coinvolgere architetti, urbanisti, ingegneri civili, ma anche medici, ambientalisti, economisti, sociologi, ecc. sia come docenti che come studenti. Obiettivo immaginare e costruire una nuova figura professionale, che, partendo da diversi gradi disciplinari a livello universitario, si arricchisca di nuove competenze, attraverso una base fortemente interdisciplinare e di un’adeguata formazione al lavoro collaborativo.

Quali abilità e competenze il futuro professionista degli habitat umani dovrebbe acquisire, per affrontare efficacemente queste sfide? E come verranno erogate considerando la crescita esponenziale dell’apprendimento digitale remoto?

Il tutto in un momento storico in cui, mentre siamo virtualmente interconnessi a livello globale, localismi e le diversità regionali stanno riemergendo e vengono promosse soluzioni fortemente basate sul contesto.

Questo progetto si confronta con gli obiettivi di sviluppo sostenibile di alcune linee di lavoro già tracciate delle Nazioni Unite, in particolare in relazione ai loro Sustainable Development Goal (SDG) 4, dedicato a “istruzione di qualità” e al SDG 11 dedicato a “Città e comunità sostenibili”, coinvolgendo alcune cattedre Unesco già attive in realtà locali internazionali.

Dall’altra ci siamo proposti come interlocutori per la disamina di progettazioni “Digital Twin”, in cui ci si avvale del calcolo numerico per replicare virtualmente risorse fisiche, potenziali ed effettive (gemello fisico appunto) equivalenti alle varie componenti della realtà: oggetti, processi, persone, luoghi, infrastrutture, sistemi e dispositivi. Molto oltre cioè il paradigma dell’Industria 4.0, ma provando da parte nostra a proporre sistemi eccentrici e come detto di natura resiliente, in cui il progetto tentativo siamo convinti possa dare un contributo alla corroborazione del sistema.

Restate sintonizzati: www.ilaud.org

Francesco de Agostini



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Sullo stesso tema





16 maggio 2023

UN RICORDO DI LUIGI MAZZA

Gabriele Pasqui



21 marzo 2023

NOTTE FONDA SUI SERVIZI A MILANO

L'Osservatore Attento



7 marzo 2023

LA DEMOLIZIONE DEL GARAGE DELLE NAZIONI

Michele Sacerdoti



9 novembre 2021

QUANTO TRAFFICO C’E’ A MILANO?

Giorgio Goggi



9 novembre 2021

MOBILITA’ IMPAZZITA, COLPE DI TUTTI

Ugo Savoia


Ultimi commenti