6 ottobre 2020
NAVIGLI E RECOVERY FUND
“Lo scippo al contrario” di Beppe Sala.
Ci siamo distratti e abbiamo sbagliato. Credevamo che la battaglia dei Navigli al centro di Milano fosse una partita ormai chiusa, e invece no, incredibilmente risorge e proprio nel momento di massima sofferenza sociale.
I FATTI – La Città Metropolitana ha presentato ad ANCI, nei giorni scorsi, un elenco di progetti da presentare al Governo per l’uso di risorse del Recovery Fund, per un totale di 4.387.280.000 euro. L’ha fatto, l’ha dovuto fare, in fretta e furia nei tempi ristrettissimi della procedura e ha messo a punto un elenco di proposte, dicono, in linea con la programmazione già elaborata ed approvata con il Piano Strategico.
La scheda 26 denominata “La Grande Milano diventa navigabile: ripartire dall’acqua per raccontare le identità di 133 comuni e rilanciare economie sostenibili e patrimoni dimenticati approdando al Turismo 4.0 (…)” stanzia 1 MLD di euro, esattamente 1.013.800.000 per i lavori necessari alla “riqualifica complessiva della rete infrastrutturale degli oltre 100 km di Navigli e delle loro prossimità considerando tale intervento la prima vera opera Metropolitana”, testuale.
Un quarto della dote finanziaria per sistemare i Navigli è già cosa molto discutibile, in presenza di emergenze sociali, sanitaria, scolastiche, della mobilità, estremamente rilevanti, ma, come si dice se ne può discutere, se parliamo della rete dei navigli metropolitani che, come noto, esistono e possono essere riqualificati e valorizzati in prospettiva di turismo ambientale e culturale.
Il punto chiave però consiste nella “distribuzione” di queste risorse, dove si stabilisce “per la Navigabilità della Rete dei Navigli della CMM (€ 500.000.000,00 per la navigabilità nel capoluogo milanese + € 500.000.000,00 per la navigabilità nel restante territorio metropolitano”.
Cacciato dalla porta, il progetto tanto caro alle lobbies della cosiddetta “riapertura dei Navigli”, rientra dalla finestra, sotto le mentite spoglie della “prima vera opera Metropolitana”, tutto da ridere, se non fosse una questione terribilmente seria.
Lasciamo pure da parte le questioni, gli interrogativi e gli approfondimenti, che negli anni passati numerosi e qualificati studiosi, urbanisti e storici, hanno sollevato per contestare la fondatezza del progetto. Le lasciamo da parte, non perché non siano valide, ma perché non potremmo fare altro che ridire in modo meno felice quanto autorevolmente hanno detto altri e che resta sul tavolo.
Sarebbe pure sufficiente per fare un falò dei poderosi elaborati e delle stime di costi benefici, da cui, per parola dei progettisti, la gran parte del vantaggio economico consiste nel cosiddetto valore “edonico”, insomma l’incremento del valore immobiliare degli edifici privati che sorgono attorno ali Navigli del centro. E lasciamo stare che neppure sarebbero navigabili e che l’impatto sulle attività commerciali di servizio sarebbe estremamente limitato, sempre come stimato dagli esimi progettisti.
Lasciamo fuori tutto e questo, e poniamo di nuovo la questione di fondo: son ben spesi 500 milioni di euro (che poi da scommetterci sarebbero di più) a fronte di un’emergenza sanitaria, sociale, civile, come quella che stiamo vivendo?
O non sono altre le priorità, già ben presenti nel passato recente, ma ora esplose in una crisi che mette a dura prova la vita dei cittadini, specie quelli meno agiati, anzi diciamo pure sofferenti per la perdita del lavoro o di parte del reddito?
A questa domanda, sensata allora e drammatica oggi, i difensori del “Naviglio sotto casa mia con i soldi degli altri” lamentano l’incomprensione del contributo che le strettissime e spesso intubate strisce d’acqua urbana darebbero alla rinascita della città, in una visione dove il verde ed il blu colorano il bel disegno di un sogno ben disposto a diventare incubo.
Un contributo essenziale a completamento della transizione eco sostenibile di Milano città da grigia e smoggosa concentrazione di case ed auto a metropoli vivibile, dove felici lievitano piste ciclabili, barchini e runner.
Questa visione, va pur detto, è mistificante perché accredita il progetto della riapertura dei Navigli, che per inciso inciderebbe per molti anni sulla vivibilità della zona coinvolta, di una valenza ambientale eccessiva rispetto all’effettivo impatto, utile più che altro per le campagne di marketing della Milano smart, prodotto da vendere sul mercato turistico internazionale e soprattutto su quello immobiliare di lusso.
Ma davvero questa crisi non ha insegnato nulla? Davvero possiamo realisticamente pensare di riavviare il meccanismo lanciato con EXPO 2015, riportando centinaia di migliaia di turisti asiatici, russi, americani, tedeschi, sulle rive dei navigli, tanto vicine ai luxury shop del centro? Davvero la crisi sanitaria globale non ci spinge a ripensare ad un diverso modello di Milano meno fondato sul divertissment dei ricchi del pianeta?
E tornando alla questione di fondo, siamo davvero convinti che la strada che stiamo riprendendo senza cambiare visione sia compatibile con le emergenze che la cittadinanza vive tutti i giorni e soprattutto ora: se pensiamo alla sostenibilità del vivere, non sarebbe prioritario pensare ad allocare risorse per i servizi di prossimità? Asili, scuole, servizi e strutture per gli anziani, non porterebbero più felicità e serenità alle donne, ai giovani, agli anziani, cui tocca sempre di rispondere “cari avreste anche ragione, ma non ci sono i soldi”?
Non ci sono i soldi per rigenerare le periferie e potenziare le chance di vita delle persone che ci abitano: non sarebbero utili 500 milioni per dare una mano all’edilizia popolare, alla condizione dei disabili, alla moltiplicazione dei luoghi di aggregazione?
No, o meglio sì, ci sono, ma preferiamo la riapertura dei Navigli, che tanta fama e memoria porterà al suo promotore: Beppe Sala come faraone metropolitano?
In tutto questo, c’è una responsabilità politica che pure non si può e non deve tacere: Milano e la Città Metropolitana sono rette dal centrosinistra a trazione PD.
Al partito che regge le sorti cittadine e metropolitane, e che, giustamente, in questi giorni gioisce dei successi elettorali locali, non toccherebbe spendere qualche momento di riflessione e di discussione, vera, sulla questione?
Non sarebbe più che utile, a pochi mesi dalla battaglia elettorale di Milano, porsi delle domande, ora che c’è ancora il tempo, e chiedersi e chiedere ai cittadini se questa scelta, operata in fretta e furia, sia davvero una buona scelta o non sarà fonte di criticità, disagio e dissenso?
Non mancano nel partito sensibilità forti sulla questione sociale, non manca un Pierfrancesco Majorino che da Bruxelles è sempre attivo nel dibattito e nell’iniziativa milanese con la sua “Casa comune”: dia un’occhiata alla questione, e se possibile tiri la giacchetta a Beppe Sala, che, ancora e sempre in ascolto dei segnali dei cittadini, si è ben guardato dal coinvolgerli nella questione, decidendo alla chetichella su una questione così importante.
Ora che settembre è passato e che ottobre di nuovo sarà dedicato all’ascolto della città, dia retta Beppe Sala, dia retta il PD, non lasciate che i 500 milioni diventino la storiella di uno “scippo al contrario”, di un regalo che, con i soldi della collettività, alimenterà, con i sogni di urbanisti visionari, le tasche di chi ha già e vuol avere di più.
Che i sogni degli urbanisti talvolta diventano gli incubi, prima dei cittadini e poi dei politici.
Giuseppe Ucciero
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