6 ottobre 2020

L’ESERCITO DI TOLLA

Pubblica amministrazione e partecipate milanesi alla prova del Recovery Fund


santagostinoSe voglio mettermi di cattivo umore mi rileggo un libretto edito a cura del Comune di Milano (Sindaco Ettore Ponti, Assessore ai lavori pubblici Giuseppe Ponzio e, aggiungo io, Rettore del Politecnico Giuseppe Colombo) dal titolo “Milano nel 1906” dove, con bilanci comunali di gran lunga inferiori per mole rispetto ai 3,4 mld odierni, il Comune e la Città di Milano tutta facevano il punto sul grandissimo sforzo infrastrutturale (acquedotti e fognature, lastricatura delle strade, elettrificazione, sviluppo della rete tramviaria) a valle del Piano Beruto, ovvero il primo piano regolatore della nostra città.

Fu un’opera ciclopica, vista con gli occhi odierni, dove la realizzazione di una linea metropolitana pare sforzo epocale mentre è solo il segno che non siamo del tutto narcolettici: si accompagnava al ridisegno della Pubblica Assistenza milanese, già benemerita, con la sua specializzazione istituzionalizzata, alla sua integrazione con il grande sforzo privato dei Loria e dei Buffoli oltre alla razionalizzazione ed alla edificazione dei luoghi deputati all’istruzione di ogni ordine e grado sempre a cura del Comune.

In quella blandamente apologetica pubblicazione, realizzata dall’architetto e senatore del Regno Luca Beltrami e quindi di doverosa menzione in questa sede, si vanta giustamente il ruolo dell’Amministrazione pubblica e dei suoi uomini sul campo, tutti tesi a sperimentare, come nel caso delle pavimentazioni e del sistema fognario misto, l’ottimo urbano e pronti a tornare sui propri passi in caso dell’insorgere di un problema.

Ora Milano è rimasta pur sempre Milano, ovvero il luogo con la maggior dose di futuro dentro rispetto al resto d’Italia, ma è evidente che questa milanesità alberga più nei suoi cittadini, da sempre indistinti fra aborigeni o importati folgorati sulla strada di Damasco, che non nelle sue istituzioni cittadine, sia nelle Amministrazioni che nelle Partecipate, progressivamente adeguatesi all’andamento lento della Pubblica Amministrazione italica e, almeno dal 1992 in poi, assai più predisposte alla regolamentazione dell’iniziativa privata piuttosto che ad un’azione propria: ritorno inevitabilmente alle due metropolitane che imbalsamano i nostri bilanci pubblici e fungono da alibi per i Sindaci di vario colore dal fare alcunchè in proprio.

Senza indulgere in troppe analisi è evidente come l’era del Covid abbia spezzato il meccanismo di Expo fondato sull’essere Milano come luogo dove stare (sulla scia di ciò che è accaduto a New York, Londra o Parigi) e quindi meta non più del solo turismo lavorativo ma di molti altri turismi e delle industrie di contorno; ed è altrettanto evidente che la sola iniziativa privata in questo momento si concentri più sulla propria sopravvivenza che nella ricerca di un Futuro dall’orizzonte lungo.

Toccherebbe all’iniziativa pubblica il ruolo anticiclico che le compete e quindi, senza far scavare buche per poi riempirle o senza gettare denari che non ci sono dall’elicottero, mettere in campo due o tre iniziative infrastrutturali dotate di senso presente e futuro e, soprattutto, già dotate di finanza propria ma ciò vorrebbe dire, ad esempio, avere a disposizione una società di progetto (MM) in grado di progettare qualcosa di ampio respiro mentre oggi, sostenuta per sua fortuna dai denari dell’acqua pubblica, questa pensa solo a fare il manutentore di tutto ciò che il Comune le passa, salvo subappaltare poi detti lavori ottenendo così il duplice vantaggio di salvare i propri bilanci e continuare nella sua quiete olimpica: la prossima genialata per tenere i fatturati ad un livello decoroso sarà quella di prendersi in casa anche la gestione del depuratore di Nosedo.

Oppure vorrebbe dire, collegato al primo problema, che gli oltre 500 milioni di rivalutazione patrimoniale sino a qui disprezzati da Comune e Città Metropolitana che originerebbero dalla confluenza di CAP e dell’acquedotto milanese ora inglobato nei bilanci di MM, potrebbero venire messi a bilancio e con essi finanziare a costo zero le due infrastrutture idriche mancanti in area metropolitana (la divisione delle fognature e conseguente disinquinamento dell’intera area metropolitana, ed il secondo acquedotto destinato a risolvere i problemi della falda e fornire l’alternativa energetica del futuro, ovvero la pompa di calore pubblica) senza attendere le oggi invocate carità romane o europee.

Eppure niente di tutto ciò è in gestazione se non come vago desiderata da Convegno da parte dei flaneur che gestiscono l’acqua pubblica, giustamente soddisfatti per il livello di eccellenza nella gestione dell’esistente ma del tutto privi, anche per timor di poltrona, dal progettare piani così importanti per la salute dell’aria e dell’acqua milanese.

Ecco che i mitologici miliardi del Recovery Fund trasformano i piani industriali che mancano in una Lista dei Desideri Ragionevoli (è stata presentata quella di Città Metropolitana e fra poco comparirà quella del Comune di Milano) sollevando così, almeno in un primo tempo, i nostri governanti ed i loro funzionari da quello sforzo di industrializzazione dei progetti che è invece fra i loro doveri anticiclici per affrontare momenti difficili come questi.

La prima vera riforma di cui dovrebbe farsi carico il prossimo quinquennio a Milano è questa dell’industrializzazione dei processi pubblici e quindi di una diversa selezione della propria classe dirigente, oggi romanizzata in modo imbarazzante anche sul fronte del reperimento delle risorse per l’ordinaria manutenzione della città, perché quando un Comune non ha in sè gli elementi per gestire in modo efficiente nemmeno le proprie spese energetiche (si vedano le ultime sentenze di TAR e Consiglio di Stato sui nostri appalti per l’energia) e risulta privo di una qualsiasi prospettiva sul contenimento delle emissioni proprio a partire dai propri immobili a dispetto dei proclami e degli accordi sottoscritti in giro per il mondo, vuol dire che è giunto il momento di fare piazza pulita dei vecchi che dentro e fuori gestiscono la baracca e imporre a chi li rimpiazzasse, a partire dalla prossima consiliatura, di ragionare come fanno i milanesi da sempre, ovvero a progredire con le proprie forze verso un Futuro necessario, senza attendere la carità statale o foresta, come invece ci accingiamo a fare ora.

Giuseppe Santagostino



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  1. luigi caroliSagge parole. Sa, caro Giuseppe, perché nessuno le ha commentate? Sono pochissimi i milanesi che conoscono la pessima gestione di Metropolitana Milanese, i cui dirigenti pensano soprattutto ai loro affari.
    15 ottobre 2020 • 17:39Rispondi
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