5 ottobre 2020

CINEMA TEATRO INTRATTENIMENTO LA CRISI COVID

Le opinioni di chi sta soffrendo


Le nuove “Covid-abitudini” saranno diventeranno le “nuove abitudini” del post Covid? Questa è la domanda che si fa il mondo dello spettacolo. Intanto ci sono già molte vittime.

La domanda non è semplicissima, ma trovare una risposta credibile potrebbe non essere un esercizio fine a sé stesso: siamo ancora in piena emergenza sanitaria, o possiamo dire che è già cominciata la nuova era d.C. (dopo Coronavirus)? E come sarà la vita superato l’anno di svolta dell’Antropocene, come probabilmente verrà classificato in futuro questo nefasto 2020?

savoia

Come ci comporteremo, come ci relazioneremo con il prossimo “non congiunto”, come viaggeremo, come mangeremo sotto l’ufficio in pausa pranzo o il sabato sera con gli amici ancora non lo sappiamo con certezza: siamo nel pieno della fase in cui si cerca di capire in quale direzione orientare il timone della barca comune, perché tutto ciò che rappresentava una certezza per le generazioni novecentesche sembra vacillare.

Arrivati sulla soglia dei 60-70, quei grandi consumatori di riti sociali e mode che sono i boomers sembrano disorientati. E gli interrogativi esistenziali che ne hanno guidato per decenni la vita durante i weekend restano appesi al nulla: dove andiamo stasera a mangiare la pizza? Domani cinemino?

Siamo sinceri. Al netto delle paure dei singoli, che sono insondabili, la vita è già cambiata: ballare non se ne parla, gli stadi sono chiusi, ristoranti e pizzerie hanno ridotto le presenze all’interno e solo chi ha potuto si è conquistato il suo dehors (ma incombe la brutta stagione), i cinema hanno riaperto a giugno (non tutti) con obbligo di distanziamento in sala e sanificazioni costanti, stesso discorso per i teatri. Quindi? Semplice: l’opzione restiamo a casa muove e in poche mosse dà scacco a tutte le altre. E tutti sappiamo che se restiamo a casa vince lei, la “domina” assoluta del focolare, nostra signora televisione.

Ma c’è chi continua a provarci. Prendiamo ad esempio il weekend appena concluso, quello del 3 e 4 ottobre. Mentre molti milanesi si interrogavano su come avrebbero potuto trascorrere pomeriggi e serate piacevoli nonostante il meteo ballerino, il resto del Paese dava un segnale piccolo ma interessante: sedici settimane dopo la riapertura del 15 giugno, 112 giorni secondo i dati Cinetel, le sale cinematografiche hanno fatto registrare il terzo miglior weekend post Covid. Gli addetti ai lavori dicono che non è il caso di lasciarsi andare a visioni troppo ottimistiche poiché siamo ancora molto distanti dai numeri di un anno fa.

Domenica 4 ad esempio, le sale aperte in Italia (2.591, un anno fa erano 3.209) hanno incassato 756.007 euro, con 118.053 spettatori, in lieve calo rispetto alla settimana precedente. Le perdite in termini economici possono essere quantificate intorno al 77-78 per cento rispetto a 2018 e 2019. I film più visti “Lacci” con 109.372 euro di incasso, al secondo posto “Il Giorno Sbagliato” con 108.156, poi “Padrenostro” con 87.564, quarto “Tenet” con 82.898 euro e quinto “Burraco Fatale” con 56.604. Se si analizzano i dati dell’intero weekend, la classifica cambia lievemente, ma i titoli restano quelli. Numeri decisamente lontani dall’autunno del ’19.

E Milano? Lionello Cerri, patron di Anteo Spazio Cinema e della società di produzione di “Lumière”.

Non so che cosa succederà nei prossimi mesi, noi stiamo cercando di rendere più sicure le nostre sale, anche riducendo della metà la capienza. Dove c’erano 70 posti, oggi ne possono entrare 35. Si tratta naturalmente di un problema economico, perché è evidente che con questi incassi il sistema non regge. C’è inoltre l’aspetto legato alle paure dei singoli. Abbiamo fatto grossi investimenti per sanificare di continuo tutti gli ambienti e soprattutto per modificare i sistemi di aerazione prendendo a modello quelli degli ospedali, con immissione continua di aria nuova dall’esterno. Ma se la gente da un lato non si fida, dall’altro non si sente attratta dai cinema perché mancano le grandi produzioni, i grandi film di richiamo, diventa quasi tutto inutile”.

Si può quantificare il danno post Covid?

Anteo Spazio Cinema è attorno al meno 50 per cento rispetto all’anno scorso, contro il meno 68 del resto del mercato nazionale. Nonostante si siano riaperte le sale il 15 giugno, uno dei problemi principali è ancora oggi la diffidenza del pubblico. Se aggiungiamo l’offensiva delle grandi piattaforme come Netflix o Disney, che già da tempo hanno trasformato il cinema da momento sociale a momento soggettivo, fruibile a casa propria con un abbonamento mensile, diciamo che siamo in un momento particolarmente complesso. Il futuro? Stiamo alla finestra”.

Paolo Mereghetti, storica firma del Corriere della Sera, va dritto al punto: “Io sono un critico cinematografico e confesso che da qualche mese faccio fatica a trovare un film alla settimana da recensire. Il perché è presto detto. Produttori e distributori stanno aspettando che il mercato dia forti segnali di ripresa prima di mandare nelle sale nuovi titoli di richiamo. Dal canto suo, il pubblico aspetta che escano nuovi titoli di richiamo prima di tornare a frequentare le sale”. È la tempesta perfetta.

Chi sta sparigliando le carte è il colosso Disney con la sua piattaforma: “Mulan”, ad esempio, è stato reso disponibile per la cifra di 29,5 dollari. È tanto? È poco? Se si prende come esempio una famiglia con padre, madre e tre bambini e si aggiunge che, una volta scaricata la copia la si può guardare a piacimento, è poco. Ma se questo è il futuro del cinema, cioè la fruizione “in privato” con la fine del momento sociale, che cosa potrebbe succedere anche nel breve periodo? È la madre di tutti gli interrogativi per l’intera filiera cinema.

Per tornare alla situazione pre Covid – continua Mereghetti – servono prodotti che attirino la gente adesso, già in questo periodo dell’anno. Nanni Moretti ha scelto di rimandare l’uscita del suo film e anche l’ultimo 007 con Daniel Craig sta facendo slittare l’uscita nelle sale. L’unico in controtendenza è stato “Tenet”, uscito in estate, e devo dire onore al merito per Carlo Verdone che sta uscendo ora”.

Quindi ci potranno salvare soltanto i cinepanettoni?

A prescindere dai gusti, il problema è che non ne fanno più”.

Il cinema si trova quindi in una sorta di sospensione temporale. E il teatro? Forse non può permetterselo, ma vorrebbe tanto disperarsi. Per la paura della gente, per i costi aggiuntivi nella gestione sanitaria del post Covid, per le nuove norme sulla capienza delle strutture. Perché se per una sala cinematografica basta un computer a gestire la programmazione di intere giornate, nei teatri serve personale tecnico, assistenti, costumisti, orchestrali. E se il massimo ammesso dalle nuove disposizioni è di duecento presenze, si potrebbe non arrivare neppure alla metà di quella cifra per la vendita dei biglietti.

Non so, ma mi sembra che la situazione del teatro in questo momento sia lievemente migliore rispetto a quella del cinema. Mi spiego: parliamo di una forma di evasione più empatica, la gente si sente a contatto diretto con gli attori, è più partecipe. E forse in un momento così, questo potrebbe rappresentare un vantaggio”. Maurizio Porro, giornalista, critico cinematografico e teatrale, vuole vedere il bicchiere almeno con un po’ d’acqua: “I teatri stanno mettendo a punto i cartelloni della stagione, non è in attesa dei titoloni di richiamo come il cinema, quindi significa che vogliono guardare avanti. Certo, per le strutture troppo grandi o troppo piccole sarà molto dura per i motivi che tutti conosciamo: se nessuno può attrezzare più di 200 posti in sala, mi immagino quanti ne resterebbero disponibili per un musical che tra orchestrali, tecnici e addetti al suono, mette in pista decine di persone a spettacolo. Nessun sistema può reggere a lungo in queste condizioni”. E cita il caso emblematico del piccolo teatro “i” che in base alle nuove norme Covid può ospitare in sala un massimo di dodici persone”.

Prospettive? “In questo momento mi sembra molto difficile fare previsioni. Se guardiamo all’estero, la situazione sembra addirittura peggiore. Cito due casi: il Cirque du Soleil che è fallito e il Metropolitan di New York che non riaprirà prima del settembre 2021”.

Giancarlo Bozzo, storico patron dello Zelig di viale Monza, laboratorio di comicità, è ovviamente sulla stessa lunghezza d’onda: “Sì è vero, noi il calendario lo abbiamo preparato, ma non abbiamo idea se gli spettatori verranno. Molta gente ha paura del luogo chiuso. Posso citare il caso di alcune persone che conosco molto bene, amiche di Zelig, che mi hanno confessato di non sentirsi sicure in un luogo chiuso. Hanno aggiunto che per dare sostegno al teatro avrebbero comprato biglietti e abbonamenti, ma non sarebbero poi venute in sala. La cosa che più mi irrita è che non si parli di abbassare le tasse per il settore. Se va bene possiamo contare su un quarto delle presenze perché i posti sono stati falcidiati, abbiamo aumentato le spese per i controlli sanitari e igienici ma l’argomento tasse per il settore non viene neppure sfiorato in un contesto generale di aiuti all’economia del Paese. Qui non si tratta di programmare, cosa che abbiamo fatto e facciamo, ma di sopravvivere, senza sapere che cosa succederà in primavera. Ora avremo un po’ di ossigeno perché stiamo vendendo 18 episodi di Zelig Club a una grande rete televisiva, ma poi?”.

Ciò che preoccupa maggiormente in questo momento è la grande incertezza del settore. L’emergenza finirà quando la gente potrà tornare nelle sale?”. Silvano Piccardi, attore e regista teatrale, direttore di doppiaggio nonché consigliere d’amministrazione del Nuovo Imaie, l’istituto mutualistico che tutela artisti, interpreti ed esecutori: “I teatri sono oggi in condizioni quasi disperate: se ho 300 posti ne posso allestire soltanto 150 ma non so se li riempirò, magari non arrivo a 50 perché sappiamo quanto pesi in questo momento la paura del contagio e molta gente preferisce non rischiare. Tutto ciò mentre non si riesce ad avere una visione organica come quella che stiamo vivendo”.

Questo è il quadro. E la speranza ora sta anche nella lettera che lunedì 5 ottobre il presidente dell’Anica, Francesco Rutelli, e quello di Confindustria radio-tv, Franco Siddi, hanno scritto ai ministri Patuanelli, Gualtieri, Amendola e Franceschini in cui si chiede che una parte dei finanziamenti UE previsti dal Recovery Fund vengano destinati anche al settore media e audiovisivo. Del resto, era stato proprio il commissario europeo Breton a inserire le industrie creative e culturali tra i quattordici ecosistemi fondamentali per la ricostruzione. Si attendono risposte concrete per capire se l’anno 1 d.C. porterà almeno qualche buona notizia per quel mezzo milione di persone che lavorano nei settori di cinema, teatro, musica e musei.

Ugo Savoia



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