5 ottobre 2020

PER IL DOPO LOCKDOWN L’URBANISTICA ANNUSI IL VENTO

Intrattenimento e dintorni. Un nuovo PGT?


Il mondo dell’intrattenimento è destinato a cambiare e così dovrà cambiare anche la città, i suoi spazi, i suoi luoghi le sue abitudini. Tutto insomma.

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2.578. Duemilacinquecentosettantotto. Fossero lire si tratterebbe di 1,33 euro. Fossero dollari, beh ci potremmo comprare una buona chitarra. Se fossero chicchi di riso, parleremmo di 60 grammi. Una normale porzione. E invece il numero è quello del bollettino giornaliero dei nuovi contagi da Covid – 19 in Italia.

Ma 2.578 è un numero alto o basso? Difficile dire. In valore assoluto ogni numero è neutro. Al massimo può essere positivo, negativo, irrazionale o immaginario. Questo non basta. Esistono le unità di misura, ma soprattutto il contesto. Che aiuta a definire il valore e il senso di un numero.

Il contesto che ci interessa è quello dei dati relativi al Covid – 19. In valore assoluto 2.578 equivale al 40% di 6.557 ovvero il numero massimo dei contagi giornalieri (1 marzo 2020) che abbiamo avuto in Italia dall’inizio della crisi sanitaria.

Ma ancora questi numeri non ci aiutano a capire. Dobbiamo inserire nel ragionamento altri due elementi. Il numero dei tamponi che sono stati eseguiti per individuare i contagiati e il numero delle terapie intensive occupate a fronte del numero dei contagi. Il primo numero (i tamponi) spiega quanto pesano 2.000 o 6.000 unità nella realtà. Il numero dei letti occupati nelle terapie intensive ci aiuta ad inquadrare quanto il virus è aggressivo e la sostenibilità del virus stesso rispetto al sistema sanitario nazionale. Sto semplificando molto, ovvio. Non sono né medico né laureato in statistica.

Oggi (domenica 4 ottobre 2020) i tamponi sono stati 97.714. I letti occupati in terapia intensiva 303. Col primo dato ricaviamo un rapporto positivi/tamponi del 2,63%. Il secondo ci fa capire che rispetto alle 6.500 unità di terapia intensiva disponibili in Italia ne abbiamo occupate solo il 4% per Covid – 19. Insomma possiamo ammalarci ancora un po’ prima di andare in crisi. Guardiamo il dato del 21 marzo, giusto per capire. I tamponi furono 233.222 con un rapporto positivi/tamponi del 2,81%, ma le terapie intensive quel dì si attestarono a 2.857 letti occupati. Di contro il picco delle terapie intensive ad aprile avrebbe superato di poco le 4.000 unità.

Questi sono numeri, contestualizzati. Sono buoni o cattivi? Lascio che ognuno di voi si formi liberamente un’opinione in merito. Sono comunque i numeri che definiscono il contesto in cui andiamo a fare un ragionamento.

Questo lungo preambolo mi serviva ad introdurre il tema. Un tema che solo all’apparenza potrebbe sembrare slegato dall’architettura e dall’urbanistica, ma cercherò di spiegarvi che non è così. L’urbanistica infatti prova a capire in che direzione si muove la società per accompagnare (fossimo stati negli anni dell’urbanistica scientifica a dogmatica avrei detto “indirizzare o governare”, ma per fortuna di quegli anni salvo solo la musica e i jeans a zampa…) i cambiamenti e le trasformazioni. Un’urbanistica moderna dovrebbe “annusare” il vento e aiutare le città a trasformarsi secondo le esigenze della società. Lo stesso ad una scala diversa fa l’architettura. Creando le “scatole” adeguate ai bisogni di quella società. Quindi urbanistica e architettura devono intercettare quei bisogni in fase ancora embrionale e capire in fretta dove si sta andando. Per non trovarsi ad inseguire o a dover mettere toppe a buchi già troppo larghi.

Serve quindi un approccio multidisciplinare. In altri termini bisogna “raccattare” dati ed elementi di analisi nei campi più diversi. Economia e sociologia, in primis. Manche le scienze ambientali e l’ecologia determinano i trend e le vie da seguire. In questi ultimi mesi sto monitorando con grande attenzione un altro settore, quello dell’intrattenimento e dello spettacolo perché da quello emergono dati di lungo periodo interessantissimi, ma allo stesso tempo abbastanza preoccupanti.

Prendiamo il caso del cinema. Nello specifico due esempi emblematici e un terzo che sembra definire il quadro.

Tenet, l’ultimo film di Christopher Nolan, era atteso al botteghino a luglio. La vera cartina di tornasole per capire lo stato di salute di un settore fortemente penalizzato dalla crisi sanitaria. Più volte rimandato, è alla fine uscito nel Regno Unito il 26 agosto 2020 e il 3 settembre negli Stati Uniti. Il film è stato la prima grande produzione hollywoodiana ad essere distribuita nelle sale cinematografiche dopo il lockdown, arrivando ad incassare a settembre 284 milioni di dollari in tutto il mondo.

Considerato che la pellicola è costata circa 205 milioni di dollari, non si può certo dire che da questo punto di vista sia stato un successo. Non tanto per la qualità del film in sé, ma per le difficoltà distributive e la scarsa propensione della gente a stare per più di due ore in un ambiente chiuso insieme a centinaia di altre persone. Al cinema con la mascherina? E poi come faccio a mangiare il popcorn? No, meglio stare a casa a vedere Netfilx. Così hanno pensato in molti.

Ah, giusto per informazione. Io al cinema a vedere Tenet ci sono andato. A Melzo nella sala Energia, un must per gli appassionati. Ma vedere la sala piena di persone tutte vestite come i dott. Kildare, anche se distanziate per nuclei famigliari, mi ha fatto un po’ impressione. Quindi capisco la riluttanza dei più.

Nello stesso periodo la Disney ha deciso di far debuttare il suo Mulan 2020 (remake con attori in carne e ossa di un suo lungometraggio animato del 1998) direttamente su suo servizio di streaming con un costo aggiuntivo di 30 dollari una tantum, rispetto all’abbonamento mensile, provocando non poche polemiche. Che non hanno impedito al film di guadagnare più di 200 milioni di dollari. Considerando i quasi nulli costi di distribuzione rispetto ad un film tradizionale (che vanno ad incidere sugli incassi) e il numero dei nuovi abbonamenti guadagnati solo grazie alla presenza del film sulla piattaforma, sembra che il confronto tra le due pellicole sortisca un vincitore chiaro.

Tanto è vero che l’altro blockbuster atteso, No time to Die, l’ultimo James Bond, è stato ulteriormente rimandato in attesa di tempi migliori. Vabbè, si tratterà di attendere un altro po’, che sarà mai… Eh no, miei cari, a furia di posticipare, il giocattolo si è definitivamente rotto. È di pochi giorni fa la notizia che dopo l’improvviso rinvio di No Time to Die, la catena Cineworld ha annunciato che chiuderà 128 cinema nel Regno Unito e Irlanda e tutti i cinema negli Stati Uniti (più di 500 sale, appartenenti alla catena Regal Cinemas, di sua proprietà) a partire dalla prossima settimana. Questa la conseguenza più diretta, drammatica per le migliaia di lavoratori, ma non l’unica.

Rimandare un film di James Bond significa non solo rimandarne il rientro economico, ma comporta forti ripercussioni anche sull’indotto. I film di Bond sono forse il caso più emblematico e clamoroso di product placement. Sappiamo tutti cosa guida, cosa beve e cosa indossa (orologio, occhiali e abiti) il mitico agente 007. Quindi potrete facilmente immaginare quanti soldi hanno investito (leggi “già pagato”) i vari marchi per apparire in un film che nessuno ha ancora visto e che al momento ha una data di uscita riprogrammata per aprile 2021. Come a dire, vediamo che succede nel frattempo…

Discorsi analoghi si possono fare per il teatro e per il mondo della musica e degli spettacoli dal vivo. Anche qui si possono trarre elementi da utilizzare come indicatori per il futuro. Nel 2020 erano previsti in Italia alcuni grandi eventi musicali. Dovevano esibirsi da noi Eric Clapton, i Pearl Jam, l’ex Beatles Paul McCartney, solo per citare tre dei più famosi artisti stranieri. E se per i primi due al momento è previsto che i concerti si terranno nel 2021, per il terzo artista si tratta di una vera e propria cancellazione.

Ma siamo sicuri che si ripartirà nel 2021? Ad oggi se non sbaglio sono ancora in vigore le norme che prevedono il numero massimo di 1.000 spettatori per spettacoli all’aperto e di 200 persone per spettacoli in luoghi chiusi. Ora non so quanti biglietti avessero venduto per Clapton al Forum di Assago, che ha una capienza di circa 12.000 posti, ma diciamo pure che per quel concerto vi fosse un sold out con 10.000 tagliandi, con le regole odierne ci vorrebbero 10 serate a fronte dei biglietti venduti. Impossibile. Senza poi considerare il compenso dell’artista, da moltiplicare anche quello per 10, così come l’affitto della struttura.

Ripeto: siamo così sicuri che nel 2021 saremo tutti lì a cantare a squarciagola? I segnali che capto portano ad avere un atteggiamento più prudente. Se un artista di livello mondiale come Bruce Springsteen dichiara in un’intervista a Rolling Stone che ragionevolmente si tornerà a suonare dal vivo nel 2022, non credo che lo faccia con leggerezza. Perché non si mette in pista una macchina logistica e organizzativa di quelle dimensioni se non si hanno basi solide e certezze di poter poi effettivamente partire. Ne deduco che sicurezze per il 2021 non ce ne sono.

L’impatto economico che questa crisi ha avuto sul settore è devastante, soprattutto se lo proiettiamo sui tanti artisti minori, che non hanno le risorse e la capacità di sopravvivenza dei cosiddetti grandi nomi. E anche qui c’è l’indotto. Tutto il settore della logistica legato ai grandi eventi, tutti i lavoratori del mondo dello spettacolo. Se non ci sono concerti e spettacoli dal vivo, tutte queste persone non lavorano.

Non parliamo poi dei locali storici dove si suonava musica dal vivo, che hanno chiuso o stanno per farlo. E a volte non è, nemmeno o non solo, colpa del Covid. Vedi il caso del Nidaba Theatre di via Gola a Milano, messo in condizioni di non poter più risollevare la clèr, non tanto dal lungo lockdown, ma da trasformazioni urbanistiche, legittime, ma discutibili.

Allarghiamo i ragionamenti ad un altro settore dello spettacolo, quello del calcio. Prima che i soliti benpensanti inizino a starnazzare, lasciatemi dire che l’industria del calcio muove 22,5 miliardi di euro e garantisce un’occupazione a 250mila persone. Non si tratta solo di 22 miliardari in mutande che corrono dietro ad un pallone. Nel fine settimana abbiamo visto come anche questo carrozzone possa intopparsi tra norme Uefa, protocolli nazionali e iniziative di ASL locali. Basta poco per bloccare tutto. Con conseguenze economiche importanti.

La prima riflessione che faccio è che se per molti settori si è pensato come ripartire, fin da giugno, anche con molte contraddizioni (ogni riferimento alla scuola è puramente voluto), per questi ambiti non si è lavorato con la stessa attenzione. Si mantengono paletti ingiustificati se rapportati a ciò che si è fatto in altri settori. Paletti che sembrano più fatti per essere piantati nei cuori delle persone che lavorano in quel campo, che per delimitare ambiti in cui operare. Tutto questo a fronte dei numeri di cui parlavamo nell’incipit.

il secondo elemento è che se considero quanto riportato sopra come indicatore di lungo periodo, ne ricavo un quadro estremamente preoccupante. Senza un vaccino, ci aspetta un 2021 incerto (ad essere ottimisti) e un 2022 tutto da interpretare. Per i fortunati o avveduti player che saranno sopravvissuti.

Proiettiamo quanto detto sopra nel campo dell’urbanistica e dell’architettura. Prendiamo per esempio il PGT Milano 2030. Non è già superato dagli eventi? Non sarà il caso di ripensare alcune norme alla luce delle nuove esigenze lavorative, della necessità di favorire le trasformazioni da terziario a residenziale? In ufficio ci andremo sempre di meno. Al contrario avremo bisogno di ingenti investimenti su edilizia sociale o convenzionata. Perché così “a naso” mi viene da dire che serviranno case più grandi per sopravvivere, ma più economiche per potercele permettere. Non si risolve il problema del Covid -19 fuggendo o svuotando le nostre città. Questo è un tema su cui voglio tornare a ragionare nei prossimi tempi.

Pietro Cafiero



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  1. Cesare MocchiL'edilizia sociale e convenzionata era già carente in PGT nell'era pre-covid, figurarsi adesso. Ma il problema vero sono i costi di costruzione, il nostro settore è pronto a costruire case di qualità a basso costo? Ne dubito assai
    7 ottobre 2020 • 14:12Rispondi
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