4 settembre 2020

IL LAVORO IN TEMPI DI LOCKDOWN E DOPO

Il ruolo dei “corpi intermedi”


Il ruolo dei corpi sociali e principalmente del sindacato è determinante nella fase di ricerca per una "nuova" normalità. Ci sono fasce di lavoratori che sono escluse da qualunque rappresentanza e vanno ricuperate per una nuova tutela.

de col

Al di la dei numeri complessivi, che si potranno vedere solamente sul medio periodo, i mesi che hanno visto il nostro mondo patire le conseguenze del Covid 19 hanno provocato una vera trasformazione dei principi su cui si è sempre concepito il lavoro. Almeno dalla Rivoluzione industriale in avanti.

Le parole chiave e sulle quali si è fondato il sindacalismo sono state “unire”, “confederare”. E non casualmente i tre principali sindacati italiani e molti altri nel mondo, hanno derivato da questi termini il proprio nome. Uno slogan storico del sindacalismo della fine dell’ottocento lo sintetizzava dicendo “se divisi siam canaglia”.

A questo va aggiunto il valore del lavoro anche come elemento di socialità e confronto personale: dal come eseguire un determinato lavoro a come affrontare assieme le difficoltà. Non casualmente gli operai tra loro, al di là delle collocazioni politiche e sindacali, si chiamano compagni di lavoro. Il termine “collega” è sempre stato un po’ da lavoro pubblico. Nella nostra realtà territoriale milanese e lombarda, ancor di più, l’iconografia del valore collettivo del lavoro è stato un marchio.

Ma con la quarantena sono venute meno le possibilità di un’attività collettiva. E’ sembrato che si trovasse a vincere chi aveva negli ultimi decenni teorizzato il legame individuale con il lavoro, sostenuto che “il piccolo è bello” ed esaltato la flessibilità assoluta, Che quindi prevalesse chi ha teorizzato l’inutilità, forse la dannosità dei cosiddetti corpi intermedi.

Non è stato così: le conseguenze della crisi derivata dal blocco delle attività ha falcidiato per primi i soggetti più piccoli e quelli più isolati. Le piccole e piccolissime imprese artigiane sono state le prime a fermarsi e molte di loro faticano a ripartire.

Se consideriamo che intorno al 93% delle industrie nel milanese ha queste dimensioni possiamo capire quale dramma vivano. In più questo tipo di imprese ha ammortizzatori sociali molto limitati, ha un rapporto complicato con il sistema del credito, ha spesso risorse sempre al limite e poche riserve. Una mancata produzione o una ripartenza nulla o limitata può portarle alla chiusura e se non c’è l’eclatanza dei grandi numeri delle imprese più grandi c’è però una lunghissima somma di piccoli numeri.

Ancor più drammatica la situazione di chi aveva un rapporto di lavoro precario: il blocco dei licenziamenti, di per se misura sacrosanta, ha avuto come effetto che, alla scadenza, i contratti a tempo determinato non siano stati rinnovati, a prescindere da professionalità e merito. Ancor più seria la condizione di somministrati (ex interinali) e Partite Iva. E per tutti questi gli ammortizzatori sociali sono quasi un miraggio.

Però anche il tanto mitizzato “smart working” ha mostrato la propria faccia peggiore.

Non tanto di lavoro agile o intelligente si è trattato, bensì del più tradizionale telelavoro che porta con sé maggiori elementi di pressione lavorativa e azzera quasi la possibilità di verificare che diritti e tutele siano garantiti.

Nelle medie e grandi industrie del nostro territorio (ormai molto poche), ma anche nel tanto decantato terziario, la mancanza di dialogo e il necessario distanziamento hanno ingenerato un sentimento di diffidenza che rischia di isolare le persone in una sorta di “bolla” personale acuita dalla naturale preoccupazione per la salute e sicurezza sul lavoro che in questo periodo è presente in tutti. Per non parlare poi della paura di perdere il lavoro: le centinaia di chiusure di imprese lo dimostrano. Molti grandi gruppi hanno chiuso o minacciano di farlo.

Ormai non sono più solamente i rider o i creativi a essere soli e inermi nei confronti dei meccanismi lavorativi. Con il ritorno alle possibilità di risolvere il rapporto di lavoro e l’esaurirsi degli ammortizzatori sociali il pericolo della creazione di eserciti di non occupati è decisamente alto.

Come rischia di ripartire una nuova guerra fratricida tra poveri non più, o non solo, su base etnica rinfocolata da forze politiche opportuniste, ma anche tra posti fissi e precari, tra privati e pubblici.

Tutto questo deve portare, e in tempi rapidi, a una riflessione per chi rappresenta il mondo del lavoro, certamente le organizzazioni sindacali che mai come in questo periodo hanno dovuto rispondere ai bisogni della gente, sia sulle partite della contrattazione sia della tutela individuale. Ma anche le rappresentanze d’impresa e le Istituzioni, per prime quelle più a contatto con le debolezze dei cittadini. Il ruolo dei Comuni e della Città Metropolitana diventa fondamentale per la gestione delle crisi e delle risorse.

Più in generale, per evitare che le conseguenze di quanto è accaduto abbiano non solo effetti sanitari ed economici, ma anche sociali, i sistemi di protezione e tutela dovranno essere rafforzati. Non è certo con la richiesta di “mani libere” pretesa recentemente dal Presidente di Confindustria che si potrà affrontare un futuro così problematico.

Antimo De Col

Sindacalista della Cgil a Legnano



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Sullo stesso tema


24 maggio 2021

ATM NON TROVA AUTISTI A MILANO

Elena Grandi e Dario Balotta



17 maggio 2021

SICUREZZA SUL LAVORO

Francesco Bizzotto






8 maggio 2021

LE DONNE NEL SISTEMA SANITARIO LOMBARDO

Elisa Tremolada








Ultimi commenti