21 giugno 2020

CHE EMOZIONE, SI RICOMINCIA!

Primi concerti post pandemia al MA.MU. e in Sala Verdi


Ora che in qualche modo ne stiamo uscendo, dovremmo essere grati alla pandemia che – dopo averci privato per ben quattro mesi della musica dal vivo – alla fine del digiuno ci ha consentito di provare emozioni tanto imprevedibili per intensità e complessità.

Non so come rappresentare il turbamento che la sera di sabato 20 giugno, nel bel loft del MA.MU. (www.magazzinomusica.it), dominava quella trentina di persone accorse ad ascoltare due concerti di Mozart per pianoforte e orchestra eseguiti da due pianisti poco più che trentenni accompagnati da un piccolo Ensemble di archi. Un’emozione travolgente, che poteva evocare la fine della traversata del deserto, il ritorno a Itaca, l’uscita dal carcere, la liberazione da un incubo. Soprattutto si sentiva un’immensa gratitudine nei confronti di quei musicisti che ci restituivano l’aria per respirare; sembravamo dei Carbonari riuniti per cospirare contro la tirannia dell’astinenza.

E’ sempre e comunque eccitante ascoltare la musica a pochi metri di distanza dagli strumenti che l’eseguono, ma ancor più lo è in un ambiente raccolto, dove tutto è orientato all’ascolto, la concentrazione diventa massima e ci si sente complici e partecipi dell’evento – ogni volta miracoloso – del “fare musica” insieme. Il fatto che ciò sia avvenuto la sera di un glorioso solstizio d’estate, alla fine della primavera bruciata dal lockdown, ha avuto qualcosa di magico.

Innanzitutto la musica scelta per l’occasione, i due concerti mozartiani in fa maggiore (K. 413) e in la maggiore (K. 414), i primi della serie cosiddetta viennese con i quali il ventiseienne Wolfgang – appena arrivato nella capitale dopo aver lasciato la natìa Salzburg, offeso dal principe arcivescovo Hieronymus von Colloredo e determinato a non sopportare più mecenati-padroni – volle conquistare il pubblico “borghese” (pagante!) e costruire il primo percorso da “musicista libero professionista” nella storia della musica. L’altra sera la liberazione dalla paura del virus e la liberazione dalla soggezione dei padroni vibravano insieme nell’aria!

Poi gli esecutori: lo spezzino Emanuele Delucchi e il milanese Stefano Ligoratti si sono alternati al pianoforte nei due concerti dirigendo gli undici musicisti dell’Ensemble del MA.MU. – sei violini, due viole, due violoncelli e un contrabbasso – tutti dilettanti ma preparati, affiatati e dotati di palpabile passione. Sembrava di partecipare a una di quelle “accademie” che Mozart aveva inventato e che organizzava per guadagnarsi i primi soldi da professionista: anche i suoi strumentisti erano dei bravi dilettanti, il suo fortepiano forse lasciava un po’ a desiderare, ma l’indemoniato ragazzo riusciva a trascinare musicisti e ascoltatori con strabordante entusiasmo. E così hanno fatto i nostri due pianisti, saggi nell’evocare il suono del fortepiano usando poco pedale, capaci di accendere la giovanile freschezza nei tempi veloci e di far trasparire la languida tenerezza dei tempi lenti. Soprattutto abilissimi nell’amalgamare il suono del pianoforte a quello degli archi e nel controllarne il volume rispetto all’ambiente.

Viola 1

Nel pubblicare i “concerti viennesi” Mozart scrive che essi possono essere eseguiti “con grande orchestra oppure con quattro soli strumenti: due violini, una viola e un violoncello”. In realtà sappiamo che le orchestre viennesi, a differenza di quelle tedesche, erano molto piccole: nel 1778 la più grande orchestra europea era quella di Mannheim composta di 56 strumentisti, mentre la media delle orchestre in Europa era al di sotto dei 35 (oggi una “grande orchestra” ha oltre cento elementi); possiamo dunque immaginare quanti musicisti avrà potuto mettere insieme il giovane e squattrinato Mozart…! Bene ha fatto il nostro Ensemble a evitare gli oboi, i corni e i fagotti (c’è ancora in giro il virus, tanto che anche i Pomeriggi Musicali per iniziare hanno scelto le Quattro Stagioni di Vivaldi perché scritte per soli archi) e a raddoppiare e triplicare invece il quartetto d’archi allo scopo di bilanciare le sonorità del pianoforte Yamaka.

Fra quindici giorni al MA.MU. il Quartetto Indaco – li abbiamo ascoltati spesso, sono molto attivi, bravissimi, e si presenteranno in una formazione rinnovata con una sostituzione ancora da scoprire – eseguirà il Quartetto in fa maggiore di Ravel e il Quintetto per archi in sol maggiore di Brahms. Un concerto da non perdere per questa commovente ripresa della vita musicale milanese che, come si vede, non incomincia dalle grandi istituzioni ma da quelle più prossime ai veri appassionati e amanti della musica classica.

A proposito delle grandi istituzioni è parso assai singolare che la sera successiva, nel chiostro del Conservatorio – in una scuola cioè di alto livello come noi immaginiamo debba essere un istituto musicale universitario – per celebrare l’evento straordinario della prima esecuzione di musica dal vivo, anziché un programma di musica colta sia stato dato un concerto di musica leggera e jazz, con strumenti microfonati e altoparlanti ad alto volume. Una delusione così cocente da farci abbandonare il chiostro poco dopo le prime battute.

Bene invece ha fatto, pochi giorni dopo, la Società dei Concerti ad arrivare per prima in Sala Verdi con un concerto del duo Anna Tifu e Giuseppe Andaloro – violino e pianoforte – dedicato a Beethoven (La Primavera), Ravel (Tzigane) e Sarasate (Fantasia sui temi della Carmen). Ottima iniziativa, se non altro per averci fatto tornare finalmente nella nostra amata sala da concerto, e tuttavia con risultati non eccelsi per svariati motivi: la difficoltà di suonare in una sala mezza vuota (occupati mediamente un posto su cinque fin troppo distanziati l’uno dall’altro), la fatica della doppia esecuzione (alle 17.45 e alle 20.45, fatica che durante la seconda prova è trapelata nella prestazione della giovane e pur bravissima violinista) e un programma che – per andare incontro a presunti gusti popolari, così come espressamente richiesto dalla presidente della Società – non stava insieme da nessun punto di vista. Ma il pubblico, assetato di musica, ha gradito moltissimo e questo è in fondo quel che conta.

Infine ricordiamo, con grande giubilo, che nei mesi di luglio e agosto anche l’Auditorium riprende alla grande, proponendo una Beethoven Summer tutta sinfonica con l’esecuzione – oltre alle due Ouverture Egmont ed Eleonore n.2 – di tutte le Sinfonie e i Concerti per pianoforte e orchestra del grande Ludwig: cinque concerti in luglio e quattro in agosto, ciascuno ripetuto per due serate, il mercoledì e il giovedì alle 20.30 (ne è prevista in realtà anche una terza, il venerdì, a Lecco). Ogni concerto comprende una o due opere: mentre i Concerti per pianoforte e orchestra iniziano dal quinto e terminano con il primo, le Sinfonie procedono in senso inverso, iniziano cioè dalle prime mentre la Nona concluderà il ciclo (in questo caso, eccezionalmente, al Castello Sforzesco) il 30 agosto.

Si comincia dunque il 1° e il 2 luglio con il Concerto numero 5 (l’Imperatore) che vedrà pianista e concertatore con l’Orchestra Verdi il bravissimo Alexander Romanovsky (di cui ricordiamo uno strepitoso “Rach 3” con Myung-Whun Chung alla Scala due anni fa) mentre l’8 e il 9 luglio sarà la volta di un altro beniamino del pubblico milanese, Alexander Lonquich, anch’egli solista e direttore, con il Concerto numero 4 e la seconda Sinfonia. I successivi concerti saranno affidati al direttore stabile Klaus Peter Flor con i pianisti Benedetto Lupo, Federico Colli e Luca Buratto rispettivamente nei concerti n. 3, 2 e 1; “laVerdi” sarà in formazione ridotta, composta di circa 35 elementi – la dimensione peraltro in uso ai tempi di Beethoven – opportunamente distanziati sul palcoscenico. Come si può vedere dalla fotografia della sala, anche gli spettatori saranno in numero ridotto grazie all’eliminazione di tutte le file dispari delle poltrone.

Auditorium

 

Ora inizieranno anche i festival e le manifestazioni estive, più attesi del solito, facilitati dal clima che consente esecuzioni all’aperto, e subito dopo, al rientro dalle vacanze, speriamo di ritrovare un po’ di normalità perché – se i musicisti soffrono per la mancanza di lavoro (cosa ovviamente ben più grave delle nostre pene) – noi poveri ascoltatori non ne possiamo veramente più!

Paolo Viola



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  1. Vittoria MoloneChe piacere ritrovare le recensioni di Paolo di cui ammiro sempre l’entusiasmo. Condivido il suo stupore per quanto riguarda il Conservatorio. Bene per questo inizio e speriamo bene per l’autunno!
    1 luglio 2020 • 09:14Rispondi
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