15 giugno 2020

MILANO DIGITAL WEEK 2020

Un evento che resta sospeso sul “poi?”


vannini

Milano Digital Week, edizione 2020, doveva essere una settimana come le altre e invece lockdown, nuovi tempi, nuovi spazi: online. Credo che non ci sia alleato più potente del Covid-19 per farci vivere la nuova dimensione di floridiano conio dell’onlife, quello spazio-tempo dove si virtualizza il reale e realizza il virtuale.

La Milano Digital Week 2020 si è mossa in questa nuova dimensione più reale del reale, dove ognuno di noi ha un “digital twin” destinato, come ci insegna Giuseppe Longhi in un webinar in programma, a restituirci informazioni e competenze utili. In verità non proprio ognuno di noi, ma solo i lavoratori della conoscenza, mentre i poveri – tanti, in Italia – non hanno gemelli e gli invisibili, quelli che hanno tenuto in piedi l’Italia nei settori salute, sicurezza e cibo, non hanno neanche il tempo di allacciarsi le stringhe.

L’edizione ci è piaciuta. Di più, trattandosi di digital week viene da domandarsi perché non sia stato previsto di trasmettere in streaming online ogni singolo evento da sempre, dalla prima edizione. Più che come un’occasione persa, un insegnamento per il futuro: l’anno prossimo andrà tutto bene e torneremo sul campo, ma per favore fate anche le dirette online così possiamo decidere se partecipare in forma di DNA o bit.

Il titolo di MDW suona così: “Città Trasformata”. Se fosse stata a marzo e si fosse svolta secondo tradizione sarebbe stato “Città Aumentata”, ma gli organizzatori hanno scelto di mettere al centro il lockdown, o meglio i suoi effetti e il ruolo del digitale nella città paralizzata e nel dopo.

Qui, in questo scritto, si propone una riflessione sul cosa resta della Milano Digital Week. È un modo di guardare al dopo, cioè all’adesso, al domani e al dopodomani.

Abbiamo avuto l’opportunità di scegliere tra 500 eventi con oltre 200 speaker. Nota: strano, sarebbe come dire che ci sono solo 200 persone che hanno fatto 500 eventi, c’è qualcosa che sfugge, ma non ci soffermiamo. Abbiamo potuto seguire la MDW da ogni parte del mondo, da Brera, Como, Roma, Londra, New York e pure Wuhan. Chissà se anche da Rogoredo, per dire. Abbiamo seguito; si potrebbe dire partecipato, ma forse la partecipazione è altra cosa, più appropriatamente applicabile ai soli relatori. Cosa resta?

Vediamo cosa c’è dentro la MDW. Temi organizzati per: lavoro; education; governance e sviluppo (perché insieme?); media; ambiente; salute e privacy (perché insieme?); disuguaglianze; arte musica e cultura; bambini.

Cerco una bussola e del tutto arbitrariamente, volendo escludere gli eventi nati come attività di promozione, show off, branding, personal branding e di marketing vari, mi concentro sul filo rosso delle lectio magistralis. Sono nove in tutto e sono collocate in soli quattro temi: lavoro (1); governance e sviluppo (5); disuguaglianze (1); arte musica e cultura (2). La densità per tema mi sembra adeguata, abbiamo soprattutto un problema di governance (mancanza di) e di cultura (mancanza di): bene lavorarci.

Secondo criterio di selezione, sempre arbitrariamente e sempre aperto a critiche per questa scelta (commentate sotto, siete benvenuti): il contesto. È la Milano Digital Week, non la Global né European né Italian, né altro: Milano, la città (metropolitana, speriamo). Anticipo una possibile critica per evitare avvitamenti inutili: Milano è certamente entità globale, europea, italiana, ma in una Milano Digital Week mi aspetto che si parli di futuri progettabili dal Comune di Milano (o dalla Città Metropolitana se esistesse) e quindi di trasformazioni della città di Milano.

Nel Global poi se vogliono prendono esempio. Applico il filtro di questo secondo criterio e quindi tolgo le lectio magistralis su servizio civile e reddito di base, ripartenza con le nuove generazioni, economia generativa, il cosa viene dopo la democrazia. Salvo disuguaglianze cognitive – disuguaglianze digitali perché qui il Comune può essere protagonista di policy ad hoc; la didattica mista, perché il Sindaco può migliorare l’istruzione; Come non scrivere perché forse è una lezione indirizzata proprio all’amministratore pubblico.

Temi che restano: “Comunità ibride di luogo. Politiche del quotidiano nella fase post pandemica” e “La città morfata: tra disegno dell’emergenziale e disegno dell’emergente”.

Per questi approfondisco, m’interesso e mi chiedo: e ora? Qualcuno ha progettato il come fare a rendere utile in pratica il sapere condiviso in queste lectio magistralis e nei molti altri momenti interessanti e significativi? Questo resta un punto aperto.

Siamo indietro nel digitale, l’Italia è indietrissimo, lo dicono tutte le classifiche. Milano ci mette del suo, ma il format della ‘week’-manifesto non basta, il giorno dopo la fine dell’ultimo evento non si trovano più i sentieri per costruire né per capire dove si va insieme. Ci vorrebbe un progetto piattaforma pubblico, aperto e inclusivo, proprio come nelle aspirazioni degli organizzatori, ma data driven, sostenibile, intelligente, anche artificialmente intelligente, e radicalmente etico. Così a carrellata la MDW fa più effetto Netflix che pratiche di trasformazione del futuro cittadino: sfoglio, assisto, passo oltre. E sono anche fortunato, come lavoratore della conoscenza.

C’è uno spiraglio, si apre se si compila il questionario di gradimento, ops meglio gli inglesismi sempre e ovunque, il ‘satisfaction survey’ come dice il Comune. C’è la domanda “Ti piacerebbe che milanodigitalweek.com fosse attivo tutto l’anno e non solo durante i giorni della manifestazione?”. Sì. Ma non basta. Mi piacerebbe che l’intelligenza che la città esprime divenisse competenza diffusa, aperta e partecipata, trasformativa (eticamente e sostenibilmente). Per tutti, anche quelli senza gemello digitale, quelli il cui pensiero è raggiungere il negozio dove si risparmia o far funzionare un ospedale e il supermercato in condizioni estreme.

Giovanni Vannini



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