7 giugno 2020

I NUOVI “EROI”? VOLONTARI IN AMBULANZA

Intervista ai volontari e dipendenti della Croce Verde APM


La strumentalizzazione della vicenda di Silvia Romano ha fatto sì che la sua storia rimanesse sulla bocca di milioni di italiani per ben più di 24 ore (la durata di un news cycle). Pessima pubblicità per il volontariato all’estero a parte, nel caos mediatico di queste settimane si è perlomeno riaccesa la luce su un mondo il cui ruolo l’Italia sta colpevolmente ignorando: quello del terzo settore, con i suoi volontari e i suoi dipendenti.

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I volontari – prima e durante la pandemia – non costituiscono solo le fondamenta di una rete d’appoggio sociale tramite la quale sono stati distribuiti cibo, medicine, sostegno psicologico: più della metà (arrotondando per difetto) degli operatori presenti sulle ambulanze, le grandi protagoniste sonore del lockdown, sono volontari o dipendenti di associazioni di mutuo soccorso – le famose “croci” – rossa ma non solo! -, “misericordie”, ANPAS, etc.1

Mentre ci avvicinavamo in motorino alla sede della Croce Verde A.P.M. (Assistenza Pubblica Milanese) in Via S. Vincenzo (Sant’Agostino), mi chiedevo se avrei riconosciuto, nei volti delle persone che andavo ad intervistare, il viso di quell’ “eroe” tanto cantato dalla cronaca nei mesi di quarantena.

La piccola sede, così incastonata tra le viette milanesi che scomparirebbe senza l’aiuto della Venere di Botticelli in divisa catarifrangente dipinta sulla clèr, non sembra luogo da poema epico. “Chi è l’eroe?”, mi chiederà Alberto poco dopo. E guardandomi intorno anche ora non vedo eroi ma persone normali, investite di un compito straordinario, che si fumano una sigaretta tra una fatica e l’altra.

Eroe è chi fa qualcosa solo perché ha voglia di farlo, non perché dietro c’è qualcuno che gli dà qualcosa. Purtroppo lo dico io, che in questa stanza sono l’unico a prendere dei soldi”, si risponde Alberto, venti dei suoi 43 anni come dipendente nel settore del soccorso sanitario. Gli altri quattro ragazzi intervistati sono volontari, Alberto è un dipendente, ma nessuno sembra disposto a farsi star bene addosso questa definizione. Di certo non Giulia, 24 anni, studentessa di biotecnologie: “Faccio questa cosa perché mi piace farla. Allo stesso modo, se medici e infermieri hanno scelto di fare questo lavoro per la vita, non è perché vogliano la soddisfazione personale di essere chiamati “eroi”, ma perché questo è la professione cui hanno deciso di dedicarsi”.

A differenza di medici e infermieri però, i soccorritori – volontari e dipendenti – non sono finiti alla ribalta del “Covid-show”: molti non sono consapevoli che chi li viene a prendere a casa in tuta arancione non è parte del personale del SSN, ma di un’associazione senza scopo di lucro, e così ci siamo “dimenticati” di ringraziare e celebrare anche loro.

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Marta ha 18 anni. È ancora “soccorritore in formazione”, cioè bloccata al centralino, perché il corso di formazione è stato interrotto a causa della pandemia. “Nessuno si aspetta di essere soccorso da una squadra di soli volontari. La gente si aspetta un medico a bordo, e invece troverà me. Posso capire la sorpresa!”. Alberto le fa eco, ridacchiando: “Frase standard: è lei il medico? Seguita dal sempreverde: chi di voi è il medico?”. Edoardo, ventitreenne studente di scienze politiche, scimmiotta: “Buonasera, è lei il dottore?”.

Il corso è di 120 ore, divise in 3 moduli. Alla fine c’è un esame teorico ed uno pratico, diviso in 3 livelli: uno scenario che simula un arresto cardiaco, uno scenario casuale e l’utilizzo di un presidio presente sull’ambulanza (es.: tavola spinale). Se si passano questi esami si ottiene la qualifica di soccorritore e operatore BLSD2, valida in tutta la regione”. Di fatto, Edoardo sta dicendo che è del tutto possibile che l’equipaggio dell’ambulanza che viene a prestarvi soccorso, anche in caso di grave emergenza, sia formato da “soli” volontari.

Giulia, l’orgoglio per il proprio lavoro punto forse sul vivo, interviene: “il problema non è tanto se veniate soccorsi da un dipendente o da un volontario, ma che i dipendenti possano essere diversi da noi nella formazione”: al momento, un volontario e un dipendente di un’associazione come la Croce Verde seguono lo stesso percorso dei volontari. “Io e Alberto abbiamo la stessa qualifica: autista.”- racconta Luca, 24 anni e volontario da sei – “Avendo la stessa qualifica abbiamo gli stessi diritti e doveri”.

Non è così in tutto il mondo. Alberto racconta: Il fatto che il settore dell’emergenza/118 sia in larga parte gestito dal settore volontario impone che si debba avere una formazione equiparata tra dipendenti e volontari: non puoi avere una scarpa e una ciabatta. In Svizzera, Francia, USA, Canada, Australia, UK e molti altri Stati il volontario affianca una figura più formata, il paramedico, che segue una formazione di 1000-1600 ore e può svolgere molte pratiche precluse ai soccorritori: immobilizzazioni particolari; accessi venosi – anche solo per somministrare liquidi, mantenere l’idratazione; misurare la glicemia. In Italia una figura del genere non esiste: o consegui una laurea da 3 anni in infermieristica, o una da 10 in medicina, prosegue Alberto.

Già, perché “in Italia sono le singole regioni a gestire l’emergenza-urgenza, affidandola a cooperative, società private o associazioni di volontariato in regime convenzionale – direttamente o tramite la centrale operativa 118, l’Asl o le aziende come AREU (Azienda Regionale Emergenza Urgenza) in Lombardia, ARES in Lazio e SEUS in Sicilia. Ma in particolare sono proprio le associazioni di volontariato a coprire fino all’80% del servizio di 118 a livello nazionale.1

Un servizio pubblico fornito da volontari? È possibile grazie al principio di sussidiarietà orizzontale, più volte citato sul sito di AREU4, che stabilisce il presupposto secondo cui alla cura dei bisogni collettivi e alle attività di interesse generale – lunga locuzione che qui sta a significare sistema sanitario, come confermato da questa sentenzaprovvedono direttamente i privati cittadini (sia come singoli, sia come associati) e i pubblici poteri intervengono in funzione sussidiaria, di programmazione, di coordinamento ed eventualmente di gestione”.

E la nostra Lombardia è così abile nell’uso di questo principio che, testuali parole3, il costo pro-capite dell’emergenza-urgenza nella regione è circa 19 euro pro capite all’anno, tra i costi più bassi in Italia. Le priorità più urgenti dell’amministrazione lombarda sono piuttosto evidenti dagli slogan riportati in questa presentazione del Presidente di AREU, il Dott. Alberto Zoli, che recita “+ SICUREZZA – COSTI (slide 20) e poi, in rosso per sottolinearne l’indubbio valore accademico, riporta l’equazione Gestione centralizzata = ECONOMICITÀ + STANDARD + QUALITÀ (slide 30).

Un sistema basato sullo sforzo dei volontari è un sistema per sua stessa natura instabile. Che incredibilmente riesce a reggere imperturbato da decenni, grazie al desiderio e alla costanza di chi vi lavora. Come dipendente o come volontario.

E così, un po’ a sproposito, un po’ per interesse antropologico, mi viene da chiedere: “Perché non farlo come lavoro retribuito, se è quello che ami fare?”. La risposta è immediata e chiaramente meditata: “Io ci ho pensato, dato che con la voglia di studiare non sono mai andato d’accordo. E poi ho optato per il volontariato – un po’ perché ho trovato altro, un po’ perché come dipendente perderei il fascino dell’ambiente, delle amicizie che trovi, sarebbero stravolte dalla quotidianità”. Luca continua, da dietro la mascherina: “Il giorno dopo vado sempre a lavorare, non dormo quasi mai la mattina dopo il servizio” – risata generale, ndr – “eh vabbè adesso c’è il coronavirus, dormo perché non lavoro!”. In effetti, l’atmosfera è quella di una compagnia di vecchi amici.

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Ed è una delle caratteristiche più interessanti delle associazioni di volontariato, in particolare sanitario, l’intergenerazionalità, o il fatto che a Marta capiti “di uscire a prendere una birra dopo il corso con gente che ha l’età dei miei genitori, di rimanere in piedi durante il turno di notte a parlare di tutto con persone che hanno 10, 20 anni più di te […] con le quali ci si rapporta praticamente da pari”. Sospira, come meravigliandosi di nuovo. “È davvero incredibile. Soprattutto se sei giovane, soprattutto se sei donna. Comunque un sistema di gerarchia c’è, inevitabilmente. Ma la gerarchia si basa sull’esperienza e non sull’età. Tra quattro o cinque anni, se sarò ancora qui, potrei essere una figura di riferimento a “soli” 23 anni.”

Può sembrare una follia che Marta dica (e senza neanche essere uscita in ambulanza, badate) “quando ti capita un turno il sabato sera, o la sera del diciottesimo di un amico, non ti spiace neanche così tanto”. Eppure, non c’è né falsità, né falsa modestia nei suoi occhi (il viso è sempre dietro la mascherina).

Ma non è follia, è solo tanta passione. Basti pensare che i dipendenti delle associazioni non risultano come operatori del settore sanitario, e dunque non hanno avuto e non hanno diritto ai test sierologici e tamponi forniti dalle istituzioni per far fronte alla pandemia6; come dice Alberto: “a livello sociale, per la gente, noi rientriamo nella categoria del personale medico. Ma per lo Stato non esistiamo”. Dipendenti o volontari che siano, le persone che ho di fronte hanno una tenacia che non riesco a comprendere.

Nessuno si abitua mai a morte e sofferenza, hai detto bene. (…) Ma sicuramente, con gli anni di servizio, posso dire che il mio rapporto con la morte è cambiato: quando sono in servizio entro in modalità “switch off” dei sentimenti. (…) Quindi, sì: ho imparato a soffrire molto di più”. Un’abilità, quella di Giulia, di cui potrebbero beneficiare in molti di questi tempi. ”Durante il periodo di emergenza Covid-19, quella sensazione di “inadeguatezza” – perché mi rendo conto che l’ultima persona che i pazienti vorrebbero lì in quel momento sono proprio io – subentra più spesso: devo comunicare ai parenti che non possono accompagnare il malato in ospedale, ma devono fidarsi completamente di me e della struttura ospedaliera”.

Personalmente mi fiderei ciecamente delle persone che ho di fronte, ma non è quello il punto. Il punto è dar voce a delle riflessioni – come quella sul triage, la procedura che permette di decidere molto velocemente chi “salvare” prima, che esiste da ben prima della pandemia Covid-19, come molte altre che non ho lo spazio per raccontare in questo articolo – che non hanno altro modo di venir fuori, per la natura stessa dell’attività: “Non siamo operai di una fabbrica, ma ingranaggi di un servizio pubblico essenziale”, dice Edoardo. E come tali andrebbero trattati.

Elisa Tremolada

1Silvia Granziero, The Vision, È giusto che il personale sulle ambulanze sia volontario?

2Basic Life Support DAE

3 http://www.areu.lombardia.it/web/home/areu-in-cifre, a fondo pagina

4 https://www.areu.lombardia.it/web/home/areu-e-volontariato
inoltre https://www.areu.lombardia.it/web/home/mission

5 Sanchini, Del Bianco, L’affidamento del servizio di trasporto sanitario al volontariato, Welforum: ”sentenza del giudice europeo dell’11 dicembre 2014, C-113/13 – meglio nota come “Spezzino” – attraverso la quale la Corte di giustizia, in nome dei principi di solidarietà, sussidiarietà e auto-organizzazione dei sistemi di sanità pubblica, ha ritenuto compatibile con il diritto europeo l’affidamento diretto e in via prioritaria del servizio di trasporto sanitario di urgenza ed emergenza in favore di associazioni di volontariato, orientamento poi declinato a livello interno con l’importante sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 26 giugno 2015, n. 3208.”

6 Fonti suggeriscono che ad oggi (9.06.2020) sia attiva una “lista d’attesa” per i test istituzionali anche per i soccorritori, la cui effettiva operatività rimane da confermare



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  1. francesca passeriMi chiamo francesca e ho 21 hanno e cerco lavoro provo a buttarmi su tutto
    7 aprile 2022 • 12:28Rispondi
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