27 maggio 2020

VIOLONCELLO E ORCHESTRA

Storia di un tipo di concerto particolare


La storia dei concerti per strumenti solisti e orchestra è lunga come tutta la storia della musica, almeno dal ‘600, cioè quando ha cominciato ad affermarsi la musica sinfonica e con essa le orchestre (la Staatskapelle di Dresda nasce nel 1584) che hanno fatto uscire la musica “colta” dalle chiese e l’hanno fatta entrare nei palazzi e nei castelli. Prima le Sonate a più strumenti, poi i Concerti e le Sinfonie hanno conquistato le corti europee, per poi raggiungere, con l’emersione delle classi borghesi, i teatri pubblici e le sale da concerto.

Il “concerto” ha uno spazio tutto suo, caratterizzato dal dialogo fra uno o più strumenti solisti e una compagine orchestrale più o meno ricca ed articolata. Della parola “concerto” si ipotizzano diverse origini – sia cum certamen (con la lotta o la contesa) che concertare (concordare, trovare un accordo) – ma in ogni caso si tratta sempre di due diversi soggetti che, amabilmente o aspramente, dialogano e si confrontano.

Gli strumenti principi del concerto sono il violino e il pianoforte, ma quasi tutti gli altri – archi, legni, ottoni, persino le percussioni – hanno trovato più di un compositore che li ha celebrati: fra tutti il violoncello ha un posto molto particolare per la sua voce straordinariamente calda e suadente. Sono personalmente convinto che solo il clarinetto possa gareggiare con il violoncello quanto a calore ed umanità della voce, che in entrambi i casi si pone allo stesso livello di sensibilità dell’ascoltatore e lo fa sentire in un rapporto paritetico di confidenza; il violino raggiunge acuti che vanno oltre l’estensione normale della voce umana, mentre il pianoforte, suonando contemporaneamente molte note, chiede un ascolto più complesso ed elaborato.

Fra i primi compositori che si sono dedicati ai concerti per violoncello merita un posto d’onore Antonio Vivaldi (16781741), che ne ha scritti ben 25, ma un posto altrettanto importante spetta a Luigi Boccherini (17431805), il lucchese che mezzo secolo dopo diventa un vero e proprio principe del violoncello e per esso scrive 4 magnifici concerti. Bisogna però citare anche i due concerti dell’istriano Tartini (1692-1770) e i tre concerti di Carl Philipp Emanuel Bach (17141788), il secondo dei venti figli di Johann Sebastian. Se poi passiamo dal barocco al classicismo e al romanticismo, troviamo i concerti di Haydn e successivamente di Schumann, Lalo, Saint-Saëns, Dvořák, Elgar, Villa-Lobos, Prokofiev, Honegger, Hindemith, Ligeti, Walton, Khachaturian, Šostakovič, fino a quello di Penderecki, scomparso solo due mesi fa a Cracovia.

La lunga premessa mi è servita per introdurre l’ultimo – in ordine di tempo – concerto per violoncello e orchestra, scritto da Fabio Vacchi poco più di un anno fa ed eseguito, credo una sola volta, in prima mondiale al Teatro Petruzzelli di Bari da Enrico Dindo con la direzione di John Axelrod; eravamo in attesa di ascoltarlo a Milano questa primavera quando il “virus cinese” – per dirla come l’improbabile Signore (si fa per dire) di Washington – ci ha chiuso tutte le sale. Lo si può ascoltare cliccando su questo link dove, vivaddio, non si trova un filmato con i primi piani degli strumentisti ma solo il ritratto dei tre musicisti (nell’ordine, da sinistra, Vacchi-Axelrod-Dindo), colti sorridenti durante una prova del concerto.

Segnalo quest’opera perché mi sembra che essa apra un’interessante svolta alla consolidata struttura del “concerto” e perché riesce ad esprimere una nuova poetica del violoncello. Vacchi non mette a confronto le due parti – solista e orchestra – isolandone i differenti caratteri ed enfatizzandone le diverse capacità espressive; al contrario, evitando ogni contrasto e frizione, riesce a fondere la voce del violoncello in quella dell’orchestra ottenendo una musica magmatica dalla quale, nei momenti di più intima poesia, emerge la voce “umana” dello strumento. Tutto ciò diventa particolarmente evidente nella “cadenza” del terzo tempo, magistralmente eseguita da Dindo, quando la voce del violoncello esce dal magma del “ripieno” per restare sì sola, ma totalmente protesa verso l’orchestra come per non perderne l’intimo rapporto, fino a quando viene risucchiata nel “tutti” esprimendo una sorta di gioia per il ritrovamento.

Come ho detto in altre occasioni, la musica di Vacchi – che Claudio Abbado definiva “complessa e non passatista ma che sa arrivare all’ascoltatore” – ha tutti i caratteri della modernità senza le ruvidezze dello sperimentalismo e dell’avanguardia più impudiche e sfrontate, non dà mai l’impressione di voler épater le bourgeois1; dice sempre qualcosa di nuovo ma non di diverso a tutti i costi.

In questo concerto per violoncello e orchestra Vacchi, pur muovendosi nel solco della migliore tradizione, costruisce un linguaggio e definisce un mondo sonoro del tutto nuovi che, nonostante questa complessità, riescono ad arrivare fino a noi, come dice Abbado, parlandoci con immediatezza in una lingua – a tratti onirica e trasognata – che ci sembra familiare. La sua è una musica che si percepisce come mai ascoltata ma conosciuta da sempre, e credo sia questa la strada giusta per colmare il fossato che il recente passato ha scavato fra la musica colta e il suo pubblico.

Paolo Viola

1 “sbalordire il borghese”, ndr



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  1. Robert SélitrennyAnche se è di origine culturale francese, manca nell'elenco dei Concerti per violoncello "attuali" quello di Henri Dutilleux ("Tout un monde lointain"), concerto di consistenza tutt'altra che superficiale e noiosa...
    3 giugno 2020 • 15:11Rispondi
  2. Paolo ViolaÈ vero, ma sono una infinità... Ho citato solo i compositori più noti al pubblico delle nostre sale. Grazie comunque, speriamo di poterlo ascoltare presto.
    3 giugno 2020 • 22:42Rispondi
  3. Vittoria MoloneMi è piaciuto questo articolo, che, tra l’altro, mi ha indotto a pensare che in questo momento di vuoto mi parrebbe una bella idea che Paolo ci facesse delle brevi lezioni di musica. In questo modo ci troveremmo più ferrati quando potremo di nuovo sentirla dal vivo.
    8 giugno 2020 • 07:30Rispondi
    • Paolo ViolaTroppo buona l'amica-lettrice Vittoria! Dimentica che non sono nè n musicista nè un musicologo (faccio tutto un altro mestiere). E che fin dall'inizio di questa rubrica (quasi cinquecento articoli fa) mi sono dichiarato esclusivamente un "ascoltatore", magari attento ed informato, ma nulla di più! Anzi, tutt'al più un "ascoltatore impertinente"!
      9 giugno 2020 • 10:24
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