21 maggio 2020

LA NOSTRA VERITÀ E QUELLA DI SILVIA

Rispettare l’altro per imparare a conoscere se stessi


Più che farsi domande inutili e importune sulle scelte di Silvia Romano, ci si potrebbe interrogare sulle radici di tanta curiosità, spesso maligna, nei suoi confronti. Forse, conoscendo poco anche il nostro proprio “io” interiore, ci mette a disagio non poter conoscere quello di qualcun altro?

scarpante

Ho letto giorni fa un articolo scritto da Umberto Galimberti su La Stampa, dal titolo: “In quella solitudine ha trovato il suo dio”, dove il filosofo fa riferimento a Silvia Romano, la cooperante liberata dopo 18 mesi di prigionia, sottolineando nel suo intervento l’importanza del dubbio, il significato di non concedere mai il beneficio del dubbio ogni volta incontriamo sulla nostra strada la testimonianza dell’altro.

Umberto Galimberti scrive: “Forse Silvia si è convertita, forse per necessità, forse per sopravvivenza nel tempo della prigionia, forse per intima convinzione”, e poi prosegue “E allora perché la conversione? Non lo sappiamo. E non dobbiamo neppure indagare, per non violare quel segreto che ciascuno di noi custodisce nel profondo della propria anima, quale è appunto la nostra dimensione religiosa. Una dimensione così personale, così propria, così difficile da comunicare, perché quando si ha a che fare con sensi e significati che oltrepassano la nostra esperienza condivisa, ogni discorso, nel momento in cui si offre alla chiacchiera comune, rischia il fraintendimento”.

Ho riportato molto del suo articolo, che andrebbe letto con accuratezza e acume, imprigionando dentro noi quelle sue parole per farle diventare sempre più nostre, perché le parole di Galimberti ci invitano a non giudicare mai l’esperienza dell’altro, ad aver rispetto sempre e comunque della sua testimonianza, avulsi da pregiudizi e cercando di occultare risposte nostre che non possono mai trovare incontrare effettiva corrispondenza nel vissuto di un altro. L’esperienza è sempre individuale e mai interpretabile a fondo: può solo essere accolta, nei limiti del possibile.

Quante volte nella vita ci è accaduto – e ci capita – di intravedere risposte certe anche sul rapporto che nutriamo con noi stessi e capire poi, in seconda istanza, che la vita ci riserva comunque sorprese, realtà, anche inimmaginabili? Quante volte nella vita diamo un giudizio, asserendo una nostra verità che poi palesemente viene confutata quando siamo messi a vivere la stessa circostanza, e nella medesima prova rimaniamo come annichiliti perché devastati da una sofferenza acuta che non prospettavamo di così vasta entità? La vita ci cambia anche quando non lo vorremmo. Credo che per molti di noi a volte la realtà che ci viene incontro, il vissuto oltre l’immaginabile, le nostre precostituite categorie mentali, il nostro “buon senso”, non regga alla vastità della vita, dove nulla è certo, dove assaggiamo continuamente l’imponderabile dell’esistenza.

Questa reciprocità fatta dall’incontro con l’altro e dal nostro colloquio (Hölderlin), ancora oggi carente per investimento etico, va riconquistata, sensibilizzata per produrre senso civico, etica propedeutica nella ricerca di un nuovo Umanesimo che può aiutarci a traghettare verso nuovi mondi appaganti. E la politica, come investimento culturale sul concetto antico della polis, oggi sembra rinunciare al suo riscatto sociale viste le innumerevoli diatribe quotidiane a cui assistiamo, di così poco spessore individuale.

Proprio in questo periodo dove la “nostra verità” tende sovente a primeggiare, le realtà vengono sconvolte da nuovi scenari mondiali, legati all’ ineluttabilità del virus; oggi più che mai viene richiesta questa lucidità personale di apertura al possibile, come segno di occasione evolutiva e perturbabilità da valorizzare, possibilità di apertura allo “sconosciuto” come confronto arricchente. Ma quanto ancora siamo sconosciuti a noi stessi?

Il filosofo aggiunge: “E quando non siamo noi, come nel caso di Silvia in prigionia, a decidere della nostra vita, può accadere che si tocchi con mano quello che Freud, ateo, già constatava quando diceva che «il nostro io non è padrone in casa propria».”

Credo che l’esperienza di questa donna ci induca a spingerci oltre i nostri perenni steccati, i nostri millenari pregiudizi da cui facciamo sempre molta fatica a distanziarci, senza arrivare a pensare che così ci precludiamo ottime possibilità di conoscenza del sé, di approfondimento interiore, di “un’ulteriorità di significato rispetto a quello predisposto dall’ipertrofia del nostro io” (Umberto Galimberti).

Vorrei che questo dire del nostro illuminato filosofo fosse un invito rivolto a tutti noi, un invito a non adagiare nel nulla la nostra coscienza, a non disperdere mai il buono di noi per traghettare, insieme, verso lidi di speranza. Solo con la costruzione di un continuo colloquio retto da stima reciproca possiamo fondare un nuovo Umanesimo che sia segno di virtù morale e comunitaria.

Sonia Scarpante

Presidente Associazione “La cura di sé”



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


  1. ugo targettiGrande gioia per la liberazione di Silvia Romano. Grande rispetto e ammirazione per le scelte di una vita dedicata ad aiutare chi ha bisogno. Incondizionato rispetto per le convinzioni religiose. Non si può sapere se e quanto abbiano influito sulla conversione le terribili condizioni che Silvia Romano ha dovuto sopportare. Ciò detto la vicenda nella quale Silvia Romano si è trovata suo malgrado coinvolta, ha un indubbio risvolto politico perché la conversione così ostentata, è stata una vittoria politica dei terroristi; certo non per l’opinione pubblica nostra, ma per le popolazioni più influenzate dalla propaganda degli estremisti islamici. Le spregevoli affermazioni di alcuni esponenti politici, difensori della fede a spada sguainata, hanno solo accresciuta l’efficacia della propaganda dei terroristi. Sarebbe stato meglio che la politica e la stampa non avessero dato rilievo mediatico alla fase del rientro e forse si poteva evitare l’ostentazione delle vesti come prova della conversione. Resta il problema politico ed etico se pagare o no il riscatto, in generale, e come reagire quando viene colpito un nostro cittadino. Ma questa è altra questione. Siamo felici che Silvia sia tornata.
    31 maggio 2020 • 18:01Rispondi
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Sullo stesso tema


17 maggio 2022

GLI ALPINI E LA MODERNITÀ

Giuseppe Ucciero



19 maggio 2021

LA RIQUALIFICAZIONE DI PIAZZALE LORETO

Michele Sacerdoti






8 maggio 2021

LE DONNE NEL SISTEMA SANITARIO LOMBARDO

Elisa Tremolada



5 maggio 2021

È INESORABILE LA NOSTRA ESTINZIONE?

Marina Romanò





Ultimi commenti