18 maggio 2020

ALBERGO “MILANO”. TUTTO ESAURITO?

L’ipotesi di un nesso Covid-inquinamento e i possibili rimedi. Tutt’altro che facili


Davvero molto interessante l’editoriale dell’ultimo numero di ArcipelagoMilano, in cui si butta sul tavolo delle mille discussioni a tema Covid-19, anche quella di una possibile relazione – dati alla mano – tra inquinamento e vittime del contagio. Una discussione resa ancora più di attualità proprio in questi giorni che vedono i numeri della Lombardia in controtendenza rispetto a quelli di altre regioni che fanno registrare miglioramenti quotidiani molto più consistenti.

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Foto di Elisa Tremolada

In effetti, guardando i numeri balza all’occhio l’enorme tributo di vittime che ha pagato la regione, e con essa molte altre aree del Nord altamente produttive e quindi altamente inquinate. Certo, bisognerà attendere informazioni più sedimentate e studi più approfonditi per capire quanto questo combinato disposto sia stato letale: per il momento ci si interroga sui possibili rimedi.

Tra le varie proposte avanzate, come dicevo, mi ha colpito quella formulata da Luca Beltrami Gadola nel suo editoriale: per limitare l’inquinamento bisognerebbe evitare che aumenti il carico antropico dei residenti a Milano “con una politica urbanistica esattamente opposta a quella in atto”. In altre parole, si tratterebbe di disincentivare l’arrivo di nuovi milanesi, intervenendo sulla leva urbanistico-edilizia e in generale sull’attrattività della città, da sempre elemento di richiamo per lavoratori, studenti, imprese, esercizi commerciali. Tutti, ovviamente, alla ricerca del proprio spazio metropolitano. È una proposta tecnicamente fattibile? E, se sì, è politicamente sostenibile?

Senza stare a rispolverare le tesi schumpeteriane sulla differenza sostanziale tra crescita e sviluppo, la risposta a questi interrogativi purtroppo mi pare non possa essere altro che negativa, soprattutto se si considerano le esperienze di questi ultimi decenni proprio nel campo della lotta all’inquinamento.

Quando Milano e la sua provincia, nel recente passato, hanno timidamente – molto timidamente, diciamocelo – tentato di bloccare il traffico privato per arginare polveri sottili & co., si sono trovate ad agire quasi sempre in splendida solitudine e il risultato è stato spesso irrilevante dal punto di vista ambientale. Gli esperti hanno ogni volta sostenuto che per avere un effettivo miglioramento dell’aria si sarebbe dovuta bloccare e “raffreddare” tutta la Pianura Padana: niente traffico veicolare, fabbriche ferme, riscaldamenti azzerati. In poche parole, si sarebbe dovuta “spegnere” la zona più produttiva del Paese, quella che si muove di più, che consuma di più. Una delle zone più energivore del Pianeta, come ci hanno mostrato le immagini dei satelliti.

Peccato che ogni tentativo di Milano non sia stato seguito dall’area vasta di tutto il Nord, ma nemmeno di tutta la regione. Ormai è chiaro: nessuno è disposto a collaborare con i comuni vicini, anzi ogni amministrazione approfitta per inseguire sempre e comunque il proprio tornaconto, per fare di testa e di appalti suoi. Lo abbiamo visto con l’arredo urbano che cambia faccia ogni cinque chilometri nell’operosa Pianura Padana, lo abbiamo visto con le zone industriali, ormai una per ogni comune senza alcun senso logico, lo abbiamo visto in tutti quei particolari su cui ogni comune può far valere la propria autonomia di scelta.

Dispetti politici di amministrazioni che agiscono su sponde diverse, volontà di differenziarsi per pura smania di protagonismo, ricerca di consenso a buon mercato anche in barba alla logica che vorrebbe tutti gli schieramenti impegnati almeno nella ricerca di un comune obiettivo come quello di tutelare la salute pubblica. Tutto ha contribuito a creare di volta in volta queste situazioni, anche di fronte ai rischi di pesanti sanzioni europee per i ripetuti sforamenti dei limiti delle polveri sottili.

Bisognerebbe quindi domandarsi che cosa accadrebbe se Milano cominciasse a “respingere” nuove ondate di inurbazioni, senza essere seguita in questa scelta dal resto della Lombardia. Risposta fin troppo facile: tutti coloro che non riescono a trasferirsi nel capoluogo, potrebbero agevolmente trovare una soluzione a poche decine di chilometri, “a soli trenta minuti dal centro”, o quaranta, come preferite. E poi via di commuting. A questo punto cambierebbe qualcosa per il carico antropico della Pianura Padana? Nulla. Non per il traffico veicolare, né per l’impatto degli impianti di riscaldamento, tantomeno per il pendolarismo forsennato che ha il capoluogo come elemento catalizzatore.

In un simile contesto, l’unica strada per evitare aumenti di concentrazioni antropiche sarebbe quindi una sola: una dittatura amministrativa in grado di imporre con la forza scelte prese altrove e senza alcuna possibilità di discussione, sul modello di piani quinquennali e programmazioni che oggi suonano lontane nello spazio e nel tempo.

Vuoi costruire nuove case a Milano? Non puoi. E non puoi neppure progettare spazi per uffici o per i commerci. Una sorta di lunghissimo fermo biologico in cui non si potrebbe toccare nulla in tutta la provincia e in tutta la regione. Forse in tutto il Nord. Ma a questo punto preferirei tornare al rischio del contagio. Voi no?

Ugo Savoia



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  1. Carla Maria CasanovaNon c'entra, ma, dando un occhio alla triste foto, questo "partigiano" della Pergola (l'osteria è aperta o abbandonata?) che "odia gli indifferenti", non potrebbe rimediare allo scempio del muro di destra, magari facendoci un'altra scritta che dissuadesse i grafittari?
    20 maggio 2020 • 10:56Rispondi
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