13 maggio 2020

URBANISTICA DALL’ALTO (DEI GRATTACIELI)

L’architettura deve ripartire dai bisogni dei cittadini


Di quanti grattacieli ha bisogno Milano? Potrebbe anche bastare così, se l’unico scopo della loro costruzione è riempire le tasche degli speculatori e ospitare calciatori e influencer.

spada

Il settimanale Sette del Corriere della Sera, nel 2013, riportava un’intervista al solito Renzo Piano, che appariva in copertina, come una star, sentenziando che forse stiamo esagerando con i grattacieli. Senti chi parla, direbbe qualcuno. Infatti nel contempo difendeva ovviamente la sua Scheggia di Londra, edificio di oltre 300 metri, la costruzione più alta d’Europa.

Affermava inoltre che l’architetto deve essere come un “sensore” che interpreta i cambiamenti della società. Viene da sorridere perché questa definizione, in tutta la sua retorica, fa invece trasparire quella più volgare che definisce l’architetto “la puttana del Potere”, cui compito sarebbe quello di interpretare le voglie del cliente.

Infatti i grattacieli si fanno con i soldi, e ce ne vogliono tanti per costruirli. Oggi la tecnologia permette anche grandi altezze, impensabili fino agli anni sessanta, come a Dubai e in Cina: è solo una questione di denaro, concentrato in poche mani che, sia nel mondo occidentale sia nei paesi emergenti, determinano le scelte urbanistiche e architettoniche.

Allora si pone inevitabile la domanda: l’architettura la fa il committente o l’architetto? Da sempre l’architettura è un mass-media del potere, ne è la metafora, come ho già avuto modo di scrivere nel mio ultimo libro “L’altro architetto”, dunque segue le stesse leggi. Abbiamo qualche anno fa assistito a una sterile disputa tra Gregotti e Libeskind, dove quest’ultimo accusava il primo di progettare per i regimi autoritari come la Cina e questi gli rispondeva che lui era invece al servizio della grande finanza globalizzata. Botta e risposta che nascondono la crisi dell’architetto, che vorrebbe essere demiurgo e invece non è che “servo dei padroni”, per usare un’espressione cara al sessantotto ma ormai dimenticata.

Dunque un potere arrogante che vuole influenzare i media e incutere riverenza e timore non può che aspirare e stupire con la sfida tecnologica fregandosene del benessere dell’abitante. Nel già citato mio libro, dialogo socratico fra me e un giovane architetto, mi sono sforzato di mostrare che quando la bellezza, sia pure relativa alla propria epoca, ha cessato di essere considerata un bisogno fondamentale dell’uomo, si è manifestata la produzione di ogni sorta di provocazioni, dettate dall’esigenza di stupire più che di accogliere.

Tornando ai grattacieli, sono la dimostrazione del teorema accennato e fintanto che un potere spocchioso e arrogante, sganciato dal territorio, avrà mano libera nella trasformazione urbana, avremo questi segni evidenti della sua tracotanza. Non reggono le giustificazioni pseudo-urbanistiche di risparmio del suolo contro l’espansione a macchia d’olio della città, anche perché questi mostri sacri in generale non risolvono il problema di dare una casa alle masse dei diseredati, e accolgono invece uffici di rappresentanza o case per ricchi esibizionisti.

Dopo il disastro delle torri gemelle qualcuno aveva detto che il grattacielo era finito, invece si è continuato a costruirne in tutto il mondo e questo dimostra che ai poteri forti non interessano i segni del destino.

Comunque qui si ricorda, per chi se lo scordasse, che la forma delle città si decide nelle giunte comunali, almeno da noi, e dunque sono queste, cioè la politica, che dovrebbe porre un freno allo strapotere dei soldi. A Milano l’amministrazione Albertini è stata una specie di Federico Barbarossa che ha stravolto lo skyline della città e la sua identità dando il via libera alla grande speculazione dei gruppi bancari. Il logo di Unicredit sulla “guglia” di Porta Nuova ce lo rammenta in ogni momento.

È vero, come dice Piano nell’intervista citata, che per l’architettura ci vogliono i tempi lunghi e che prima o poi anche queste trasformazioni verranno metabolizzate, salvo i casi, ormai numerosi, di edifici che dopo qualche decennio diventano ecomostri vuoti da abbattere. Tuttavia, il costo per la comunità è troppo alto in termini di disagi urbani, non ultimo quello della congestione del traffico: mille abitanti concentrati in un edificio producono circa mille automobili in circolazione, alla faccia di qualsiasi Area C, e per favore non mi si parli di grattacieli ecologici che migliorerebbero l’inquinamento.

L’attuale amministrazione risulta essere troppo timida di fronte alle pretese degli speculatori, vedi San Siro e Scali ferroviari. Come si diceva tempo fa durante uno dei miei convegni, “La città dei cittadini”, a Milano operano due urbanistiche: una legata ai poteri che hanno costruito la città rendendola invivibile, e che vogliono disegnarne un futuro appariscente aumentando ancor più i problemi di sostenibilità, l’altra che vi si contrappone e che vorrebbe ridisegnare una città più umana.

Questa seconda è alternativa sia nelle idee sia nelle forze che la reggono. Le sue radici stanno nei comitati, nelle comunità, nelle cooperative, nei consorzi, nei sindacati e nelle associazioni democratiche della società civile, ma non riuscirà a incidere sulle decisioni generali se non è sostenuta da quei politici pur eletti con i suoi voti.

Maurizio Spada



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  1. luigi gennaricondivido! (in tutti i sensi) grazie
    20 maggio 2020 • 08:43Rispondi
  2. walter moniciCondivido In toto. Il problema è come convincere la politica, le categorie imprenditoriali e la massa ad essere d'accordo con noi. Forse quando cominceranno a capire che tutti cercano le case vecchia Milano.
    25 maggio 2020 • 09:45Rispondi
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