23 aprile 2020

MALEDETTA E BENEDETTA EREDITA’ DELL’EMERGENZA

Il lascito è immenso, tutto non si potrà fare. Scegliere sarà impegnativo


Dopo poco meno di due mesi di quarantena, si moltiplicano le previsioni su come sarà il futuro post Covid-19. Se c’è chi si augura di tornare al più presto alla normalità, c’è anche chi pensa che questa sia un’opportunità per cambiare, per trovare una nuova “normalità”, più equa e sostenibile per tutti.

Origlia 07.04

Non sarà facile dire cose non già dette e rimasticate da altri, visto il tempo regalatoci dall’epidemia di Covid-19 per riflettere sulle sue conseguenze, ma ci provo. Da un lato temo che, al di là di ogni buon proposito, appena finita l’emergenza rischiamo di ricadere rapidamente nei modelli di vita precedenti, con esplosione di consumi finalmente liberati da restrizioni, almeno da parte di chi ancora potrà, e strade, treni, autobus, metropolitane piene di gente, congestione e inquinamento come prima. Dall’altro questa scossa alle vecchie abitudini lascerà molte cicatrici, ma ci rivela almeno un’occasione unica e irripetibile per migliorare di molto la qualità della vita nella nostra città.

Grazie alle tecnologie evolute, che tutti peraltro avevamo già a portata di mano, l’emergenza sanitaria ci ha fatto scoprire che stando a casa si possono fare un sacco di cose che prima pensavamo di poter fare solo recandoci in luoghi dedicati. Per molti già prima era normale ogni tanto fare la spesa on-line, ordinare la pizza su Glovo o un elettrodomestico su Amazon, anziché uscire e andare al supermercato o al ristorante, e alcuni avevano già sperimentato, sia pure in modo limitato, il telelavoro nell’ambito smart working.

La novità è che l’epidemia ha costretto il settore terziario e istituzionale a attivare il telelavoro ovunque fosse possibile per non soccombere. Mancano ancora dati precisi, ma moltissime aziende, enti, istituti hanno rimodellato il lavoro su questa nuova modalità, scoprendo che ciò garantisce tra l’altro una buona efficienza lavorativa, come evidenziato da Gabanelli in Dataroom, e intendono proseguire su quella strada. D’altra parte significherebbe anche allinearsi con l’esperienza di altri paesi, visto che da noi il telelavoro finora interessava appena il 2% della popolazione attiva, mentre in Francia e nel Regno Unito si arrivava al 15-20%.

Lo stesso, sia pure con meno efficacia per l’impreparazione ad affrontare una simile emergenza, sta facendo tutto il sistema dell’istruzione. A ciò si è aggiunto il ricorso sempre più frequente agli acquisti on-line, sia per la spesa che per altre merci.

Superiamo per un momento l’inquietudine che suscita la inarrestabile, crescente dipendenza per ogni necessità quotidiana da tecnologie sempre più sofisticate, e pertanto manipolabili dai loro potentissimi proprietari, o lo strapotere di giganti come Amazon nel settore distribuzione. Auguriamoci che si appiattisca presto il divario ora molto grave che si è generato tra chi ha case grandi, istruzione e attrezzature adeguate, e chi manca in tutto o anche solo in parte di ciò.

Domandiamoci invece: se questa rivoluzione nel lavoro, nell’istruzione e nei consumi anziché regredire dopo la fine dell’emergenza si consolidasse, che effetto avrebbe su una città come Milano? Anche se moltissime attività artigianali e produttive continuerebbero a generare flussi pendolari, dei tre milioni e passa di spostamenti quotidiani di persone su mezzi pubblici e privati a Milano forse un quarto diventerebbe inutile, essendo molte attività svolte da casa.

Per contro molte aziende del terziario potrebbero ridimensionare gli spazi occupati da uffici, divenuti esuberanti, condividendoli o trasferendosi, e molte attività commerciali, legate agli spostamenti di persone o in concorrenza con lo shopping on-line, potrebbero dover chiudere o ridimensionarsi. Tutto ciò sembra essere un po’ una benedizione, e un po’ una maledizione.

Di sicuro sarebbe una benedizione poter arginare almeno in parte l’invasione di auto e la congestione del traffico e dei mezzi pubblici nelle ore di punta, con il carico di inquinamento che comporta, e che le restrizioni al traffico per zone non riescono a contenere. Non è ancora fugata l’ipotesi che proprio agli effetti dell’inquinamento atmosferico sia attribuibile l’anomala quantità di decessi da Covid-19 nella pianura padana. Mentre potrebbe diventare una maledizione l’abbandono di spazi costruiti: abbiamo già visto in molte zone di Milano che ciò rappresenta una minaccia per la qualità urbana e per l’economia.

Ma se si è consapevoli di questi possibili effetti, sta a chi governa questa città incentivare i vantaggi delle benedizioni, e volgere in positivo le maledizioni. Come?

Per ridurre gli spostamenti di persone non necessari, si incentivi sia il telelavoro che l’e-learning. Incentivi al telelavoro, di cui per la verità le aziende stesse dovrebbero farsi in parte carico, visto che chi lavora a casa paga in proprio spazio, allacciamenti e consumi che l’azienda invece risparmia. E incentivi alla didattica in rete, sia dotando le scuole e gli insegnanti di mezzi idonei, che sanando almeno in parte i divari sociali con agevolazioni alle famiglie per l’acquisto di hardware adatto e l’allacciamento a reti veloci.

Siamo così abituati a muovere noi stessi anziché le merci e le informazioni che ci sembra normale viaggiando in metrò o in autobus vedere che nove persone su dieci, anziché guardarsi in giro o osservare gli altri, stanno con gli occhi incollati sullo smartphone. Non ci viene in mente che quel viaggio è per tutti un vuoto noioso, riempito solo dalla necessità, e che se lo si può evitare si risparmiano, oltre che il proprio tempo, anche risorse e danni all’ambiente.

Ma se, come si è detto, sempre più impiegati lavoreranno da casa, e cresceranno gli acquisti on-line, aumenterà l’abbandono di edifici? Milano si riempirà di palazzi per uffici a luci spente, e di saracinesche abbassate?

Il modo per evitarlo c’è. Si incentivi allora il riuso del costruito, arrivando a imporre definitivamente e senza compensazioni di volumetria lo zero consumo del suolo, a parole accettato da questa amministrazione ma di fatto da essa aggirato sistematicamente. Basti come esempio ciò che sta accadendo a Città Studi, o il “mercatino” delle aree degli ex-Scali. Riuso che, consentendo o meglio incentivando cambi di destinazione d’uso, ove possibile da terziario a residenziale (trasformazioni spesso più costose di una nuova costruzione), potrebbe rispondere anche a parte delle carenze abitative attuali e future senza consumare terreno.

E per quanto riguarda i negozi, si riconosca a quanti garantiscono l’economia di prossimità il valore di servizio per la comunità, con una tassazione agevolata. Sono tutte decisioni coraggiose, ma alla portata di un’amministrazione pubblica seria. E, soprattutto, da prendere ora o mai più.

Ciò ci regalerebbe anche il piacere di vivere con meno tempo sprecato in spostamenti sempre meno necessari, chiusi per ore in auto nel traffico o pigiati e imbambolati su mezzi pubblici, e di riscoprire il piacere della vita all’aperto, sfuggendo ogni tanto alla saturazione degli spazi domestici, destinati ad affollarsi e a diventare sempre meno rifugio perchè vi si sovrapporranno da mattina a sera presenze umane, odori di cucina, lezioni scolastiche, e-mail e riunioni di lavoro via Skype.

Potremo godere del mondo esterno depurato dalla fretta e riconquistato, di una città sempre viva, ricca di attrazioni e risorse ma meno congestionata, con l’aria più pulita, meno rumori e più spazio per godersi la natura e gli altri. Per dirla come nell’insegna apparsa recentemente su un palazzo in Cile: “Ya no podemos volver a la normalidad, porque la normalidad era el problema1.

Giorgio Origlia

1Non possiamo più tornare alla normalità, perché la normalità era il problema



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  1. xavier vigorelliGraie delle proposte concrete e motivate!
    3 maggio 2020 • 15:41Rispondi
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